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Siria, la rivolta e la repressione


Dar‘a e tutto l’awrān, il granaio della Siria, assistono da anni a un crescente malcontento popolare causato dall’assenza dello Stato, che non avrebbe sostenuto la regione afflitta da sei anni di siccità e da una massiccia immigrazione proveniente dalle province orientali dell’Eufrate, i cui raccolti sono i più colpiti dall’assenza di precipitazioni.


A ciò si aggiungono tensioni più recenti, in primis la controversia tra Syriatel (compagnia di telefonia mobile di proprietà di Rāmī Malūf, cugino del presidente) e la cittadinanza di Dar‘a, che rifiuta l’installazione di alcuni ripetitori. I residenti denunciano inoltre numerosi episodi di corruzione, tanto che il sindaco, membro di uno dei clan locali, si sarebbe schierato con gli abitanti contro il governatore, Fayal Kulūm, rappresentante di Damasco e primo bersaglio delle proteste di piazza.


Qualche giorno prima dello scoppio della rivolta nell’awrān, nella confinante regione di Suwaydā’, a maggioranza drusa, si era recato a parlare con i leader dei clan locali il presidente al-Asad in persona, accompagnato da sua moglie Asmā’.


L’obiettivo della visita era quello di assicurarsi che le tribù del basaltico altipiano druso (Ğabal al-Durūz) rimanessero fedeli al regime e che non si unissero ai turbolenti clan di Dar‘a. Che già davano preoccupanti segni di irrequietezza. Ma i drusi del Sud (poco più dell’1% dei 22 milioni di siriani) potrebbero in futuro scendere in strada se il loro status di protetti dovesse essere minacciato.


Idem per i curdi (poco meno del 10%), in attesa di capire se gli eventi possono facilitare o meno il raggiungimento dell’agognata «autonomia culturale e politica».


Diverso il caso dei cristiani (circa il 10%), che da decenni si sentono protetti dal regime degli al-Asad e che oggi si considerano le prime vittime di un’eventuale guerra intestina a sfondo confessionale.


Quanto agli alauiti (il 12% circa della popolazione), minoranza sciita originaria delle montagne a est di Latakia e delle pianure costiere a sud della città portuale, sono spesso associati alla famiglia al-Asad e ai clan ad essa alleati, come se la Siria fosse «dominata dagli alauiti».


Da quanto si sa dell’attuale struttura del regime, l’unico vero fattore che assicuri l’accesso al circolo più ristretto di potere (vertici della Guardia repubblicana, delle Forze speciali, delle Brigate di difesa, della Sicurezza presidenziale, dei Servizi d’informazione militari, di quelli dell’Aeronautica, della Sicurezza politica e della Sicurezza dello Stato8) è l’appartenenza alla famiglia al-Asad o a uno dei pochi clan alleati.”


Citazione da “Il clan al-Asad alla prova della piazza“.

Carta tratta da Limes 3/2011 (Contro)Rivoluzioni in corso