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L’atlante della rivolta in Siria

 

RUBRICA DAMASCO-BEIRUT
Sparita dalle prime pagine dei giornali italiani, la ribellione (e la repressione governativa
) in Siria dura ormai da sette mesi.
Homs e il suo interland sono l’epicentro della sommossa. Il racconto di un attivista.


(Carta di Laura Canali tratta da Limes 3/2011 "(Contro)rivoluzioni in corso" – Per ingrandire clicca qui)

di Lorenzo Trombetta

Il pressoché unanime silenzio mediatico italiano sulla Siria è in contrasto con quello che sta avvenendo all’interno del paese, in particolare nella regione centrale di Homs.

A metà strada tra l’asse sud-nord Damasco-Aleppo, confinante con il nord del Libano, Homs e il suo ampio hinterland, che finisce per inglobare anche Hama poco più a nord, sono oggi più di ieri al centro del paese. Non solo geograficamente.

La regione a maggioranza alawita è quella a nord-ovest, che dalle spiagge di Latakia-Jabla-Banias si estende verso est fino alle montagne dove sorgono i villaggi da cui provengono i padri e i nonni degli al-Asad e degli altri clan alleati al potere da decenni. Tra la capitale e le montagne dei Nusairiti (termine con cui la storiografia arabo-sunnita per secoli ha chiamato gli alawiti, branca dello sciismo) si trova la regione di Homs. Composta in larga parte da sunniti, ospita a ovest significative sacche di cristiani (Wadi an-Nasara), presenti fino a Safita e a Tortosa sul mare. A sud-ovest c’è il Libano: la regione di Wadi Khaled, punteggiata di qualche località alawita ma tradizionalmente feudo di sunniti e di minoranze cristiane. A est si estende invece la regione desertica che arriva fino ai confini con l’Iraq, interrotta dall’oasi di Tadmor (Palmira), abitata per lo più da tribù sunnite.

Da metà aprile Homs è l’epicentro della rivolta anti-regime più difficile da domare per Damasco. Secondo le cifre fornite dagli attivisti e non verificabili sul terreno, sono 935 gli uccisi provenienti dalla terza città siriana e dai suoi dintorni, su un totale di oltre 3.279 morti (bilancio aggiornato al 5 ottobre 2011). A Daraa, nella regione meridionale dell’Hawran e prima località a ribellarsi a marzo, si contano oltre 600 uccisi, e da Hama (terzo posto) giunge una lista di 391 vittime.

È a Homs, e solo successivamente ad Hama, che i manifestanti erano riusciti a formare un sit-in permanente di protesta nella piazza principale, prima di esser spazzati via dall’esercito e dalle milizie lealiste note come shabbiha; gli attivisti locali affermano che in quella notte del 19 aprile furono uccise centinaia di persone, i cui nomi risultano iscritti ancora tra i "dispersi" perché i corpi non sono stati ancora ritrovati.

È in due cittadine nei pressi di Homs che centinaia (secondo altre fonti, migliaia) di soldati disertori si sono rifugiati e hanno organizzato il primo fronte di resistenza contro le forze fedeli al presidente Bashar al-Asad.

La prima è Rastan, centro di 40 mila abitanti che si trova a metà strada tra Homs e Hama, quest’ultima nota ai più per esser stata nel 1982 teatro di un massacro dalle dimensioni mai ancora appurate compiuto dal regime contro i locali e i ribelli legati alla Fratellanza musulmana al termine di sei anni di guerra civile.Rastan è anche la città natale dell’ex ministro della difesa Mustafa Tlass, sunnita, membro della cerchia di potere del defunto raìs siriano Hafez al Assad. I Tlass sono una dei clan più numerosi e in vista della città. Numerosi suoi membri hanno ingrossato nel corso degli ultimi due decenni le file degli ufficiali e sottufficiali dell’esercito regolare, ma di loro solo Manaf, figlio dell’ex ministro della difesa e vicino a Maher al-Asad, fratello del presidente, è indicato come fedele, almeno formalmente, al regime.

Uno dei primi disertori ad annunciare nei mesi scorsi la sua defezione in un video amatoriale diffuso dalle tv satellitari panarabe veniva proprio da Rastan ed era un Tlass. Assieme a lui, col passare delle settimane, si sono uniti alla rivolta molti altri coscritti e sottufficiali, assieme a un pugno di ufficiali. Questi – secondo i racconti che giungono confusi dalla regione di Homs – hanno provato a resistere all’assalto condotto la settimana scorsa dalle forze governative contro Rastan. I pochi sopravvissuti si sono rifugiati a Talbisse, l’altra località chiave nel braccio di ferro in corso nel centro della Siria.

Talbisse si trova tra Homs e Rastan e, mentre si scrive, vengono riportate notizie di arresti e perquisizioni seguite a spari di arma da fuoco ed esplosioni di colpi di artiglieria, mentre la cittadina è descritta come circondata dai carri armati dell’esercito governativo.

Se attorno a Homs la terra brucia, in città si moltiplicano le notizie di una serie di omicidi mirati, a sfondo confessionale. Il tessuto sociale e urbano di Homs rappresenta un esemplare microcosmo siriano: storicamente dominata dalla borghesia commerciale sunnita che abita i quartieri centrali, condivise anche da cristiani concentrati nell’antico rione di Hamidiya. Vi sono poi quartieri sunniti più popolari – Bab Sbaab, Bab Dreib, Khalidiya – che sono gli epicentri cittadini della rivolta. Questi non distano molto da due sacche alawiteNuzha e Zahra – confinanti a loro volta con Hamidiya cristiano.

Proprio mentre infuriava la battaglia di Rastan, nel giro di quattro giorni sono stati uccisi da non meglio precisati sicari ("terroristi" per i media di regime, "lealisti" per gli attivisti) tre accademici, un primario di chirurgia e due insegnanti scolastici.Il medico, titolare all’ospedale pubblico di Homs, secondo alcuni resoconti sarebbe stato ucciso per vendetta: avrebbe consentito a uomini dei servizi di sicurezza di prelevare i feriti dai loro letti dopo le manifestazioni di protesta.Uno dei due accademici sarebbe invece stato punito dagli shabbiha perché alla delegazione di deputati russi recatisi di recente a Damasco e Homs "per valutare la situazione" avrebbe raccontato una versione dei fatti diversa da quella suggerita dal regime.

L’agenzia ufficiale Sana ha riferito dal canto suo del sequestro di numerosi carichi di armi nella regione di Homs giunti illegalmente dal Libano. E la tv di Stato trasmette con frequenza quasi regolare le confessioni di "terroristi", siriani, che ammettono di essere in contatto con cellule nel vicino Libano.

Interpellato da Limes, Nasser Diya, pseudonimo di un attivista di Homs rifugiatosi a Beirut, ammette che "sì le armi ci sono in città, ma la stragrande maggioranza degli episodi di violenza sono commessi dalle forze di sicurezza. Se qualche locale risponde o si vendica della perdita di un proprio caro, si tratta ancora di episodi individuali".

"Non si può parlare di opposizione armata", aggiunge Diya. "Non esistono posti di blocco degli oppositori. È impensabile, perché la città è piena di milizie lealiste e soldati fedeli al raìs".

"È vero – prosegue l’attivista di Homs ci sono stati casi in cui un ospedale privato è stato protetto per qualche giorno da guardie beduine, del quartiere periferico di al-Waar, che si sono unite alla rivolta ma che sono state poi sopraffatte dall’assalto delle forze di sicurezza. Perché le munizioni in mano a chi tenta di resistere sono limitate, mentre il regime ha rifornimenti in abbondanza".

L’ospedale privato al-Barr era stato protetto perché nelle altre cliniche l’ordine impartito a medici e infermieri era quello di non accogliere attivisti feriti, ricorda Diya, confermando quanto trapelato da altre città siriane teatro di repressioni. I media ufficiali smentiscono questa versione dei fatti.