Né col regime né con
l’opposizione: la terza via dei kurdi di Siria
August 30, 2013
di Enrico Campofreda -
Anche dal
disastro, dai massacri, dalla guerra fra bande cercano di trovare lo spiraglio
d’un futuro politico per il loro popolo in un Kurdistan sovranazionale. Secondo
il sogno di Abdullah Öcalan messo nero su bianco nell’ormai nota Road Map. Sono
i kurdi siriani, o meglio coloro che seguono le indicazioni del Partito di
Unità Democratica (Pyd) vicino al Congresso Nazionale del Kurdistan (Knk) in
contrasto, e conflitto, con altre componenti: il Partito Democratico Kurdo
(Pdk) e il Partito dell’Unione Libertà (Azadi) che attuano differenti tattiche
e nel caos del conflitto si sono trovati a coadiuvare attacchi in zone controllate
dai Comitati di autodifesa del Pyd. Kurdi contro kurdi.
Guerra
confessionale o convivenza interetnica – Lo afferma un documento dell’Esecutivo
del Knk che ripercorre momenti intensi e cruciali della crisi siriana, dalle
manifestazioni anti regime del marzo 2011, i primi cortei che si ricollegavano
alle Primavere tunisina ed egiziana. Sempre in prima fila fra gli scontenti
d’una protesta vociante, severa, ma non certo armata c’era questa fazione kurda
già attiva e organizzata nel 2003, strutturata pure in Forza di difesa
popolare. Un organismo che nel 2004 non riuscì a evitare gli eccidi di quello
che loro definiscono “il regime Baath” a Qamislo, una delle tante cittadine a
ridosso delle centinaia di chilometri su cui corre l’attuale confine turco. Le
frontiere e dal 1923 la ferrovia Berlino-Baghdad divisero una popolazione che
vive tuttora la sua diaspora in varie nazioni. Dai mesi sempre più tumultuosi
della prima protesta, repressa a colpi di mitra da polizia ed esercito siriani,
alla successiva nascita dell’Esercito Siriano Libero, foraggiato da Turchia e
da un Occidente smanioso di colpire Asad. Fino alla presenza sempre più
capillare, e nell’ultimo anno inquietante, della componente jihadista che
raccoglie guerriglieri, armi, fondi da sauditi e altre monarchie felici di
accrescere il fondamentalismo. Un campo che si amplia anche con liberazioni di
prigionieri filo qaedisti definiti dal report del Knk “pericolosi criminali”
condannati e spediti in terra siriana “800 dalle prigioni irachene di Abu Graib
e Taci, 1200 dalla libanese Bingazi Kuveyfite, 250 dalla pachistana Dera Ismail
Han” per rinfocolare le speranze del Fronte Al-Nusra di creare lo Stato
Islamico Iraq-Damasco, ben oltre la fascia territoriale attualmente controllata
dai suoi miliziani.
Prove di
contropotere – In questi anni il Pyd s’è dedicato alla formazione di strutture
territoriali nelle città di Aleppo, Hessaké e in centri minori guardando a
tutta la fascia denominata Kurdistana Rojava. Una zona ampia e ambitissima per
la presenza di petrolio nel sottosuolo e in alcuni punti, come nella regione di
Cizre, per la fertilità del terreno, ben altra cosa dai deserti della Siria
meridionale. Ricollegandosi a certi mesi di luglio che hanno segnato la recente
storia politica kurda: quello del 1979, quando Öcalan “tracciava il percorso
della rivendicazione identitaria” o quello del 1982 quando quattro detenuti
kurdi nel carcere di Diyarbakir avevano avviato “la resistenza”, lasciandosi
morire di fame per denunciare torture e pressioni dell’allora Turchia golpista.
Così nel luglio