Il profeta Asad, presidente della “rivoluzione culturale” in Siria
[Carta di Laura Canali tratta da Limes 9/13 L’Iran torna in campo]
RUBRICA DAMASCO-BEIRUT Era scontato che il "dottor Bashar"
venisse riconfermato capo di Stato. Il dato più interessante è la percentuale
concessa ai suoi due sfidanti. Il falso pluralismo e le
previsioni avverate.
È tutta racchiusa in quei 9 punti
percentuali in meno rispetto a 7 anni fa la "rivoluzione culturale" del regime siriano degli Asad. Il "dottor Bashar"
è stato rieletto presidente con l’88,7% delle
preferenze lo scorso 3 giugno. Nel referendum del 2007 aveva ottenuto il 97,6%
dei voti.
Allora, l’unica foto con cui i
quotidiani di regime aprivano la prima pagina del giorno del voto
era quella di Bashar al Asad
che si recava alle urne con la moglie Asma. Oggi, lo stesso spazio è diviso in tre:
un quadrato per ciascun candidato. Asad non è nemmeno
al centro.
[La prima pagina del giornale Tishrin di mercoledì 3 giugno 2014. Da
sinistra: Asad al voto con la moglie Asma e i due
sfidanti Hassan Nuri e Maher Hajjar. Foto di
Lorenzo Trombetta]
Roba da far impallidire il defunto padre
Hafez, che in ben 5 referendum, dal 1971 al
La sicurezza che ora, con maggior forza,
appare sul sorriso di Bashar al Asad non è ostentata. È sentita. E
per questo il suo consenso può scendere sotto il 90% e concedere spazio a due
"sfidanti", regalando loro rispettivamente un 4,3% e un 3,2%.
"Altro che riforme… è questa la vera rivoluzione
siriana", è il fumetto dipinto sulla testa di molti sostenitori degli Asad.
A Damasco ci si è accorti, dopo decenni,
che si può far finta di concedere spazio a delle voci dissonanti, mantenendo ugualmente il potere. Anzi,
si è più forti e credibili proprio perché si domina in
un contesto di "pluralismo". Una svolta non scontata per chi è cresciuto all’ombra dei dettami del Baath.
Poi tutti sanno, anche se agiscono come
se non sapessero,
che questo "pluralismo" funziona solo in un contesto
di prolungata e incessante repressione poliziesca e militare sostenuta con
tutti i mezzi dai propri protettori regionali e internazionali.
Questo inedito "pluralismo"
funziona anche in un contesto di marcata
polarizzazione e
di emergenza di un qaidismo che spaventa assai più
dell’asadismo. Molti di coloro che nel 2000 e nel
2007 sono andati ad apporre il loro "sì" per la conferma di Asad al referendum
presidenziale lo avevano fatto perché non era contemplato fare altro. Perché così va il mondo.
Nel contesto
attuale, molti siriani sono andati a votare "convinti" che Asad sia davvero la soluzione migliore. O almeno la meno peggiore di fronte alla catastrofe in cui si trova il
paese.
La Siria è
distrutta: oltre 160mila uccisi documentati, ampi territori urbani rasati al suolo
e milioni di siriani costretti ad abbandonare le case. Asad
è invece ancora lì.
Tutte le sue previsioni – guarda un po’
– si sono avverate:
"volete un nuovo Afghanistan infestato da qaidisti?", chiedeva nel novembre 2011 ai
"nemici" occidentali. "Fate attenzione,
perché i jihadisti che combattono in Siria poi ve li troverete in Europa", aveva affermato
nel 2012.
Coincidenza: Mehdi Nemmouche, accusato di aver compiuto l’attacco al museo ebraico di Bruxelles lo scorso 24 marzo, è un jihadista francese che ha combattuto in Siria. Anche i jihadisti sciiti di Hezbollah combattono in Siria, ma in Europa non sono percepiti come una minaccia quanto i loro rivali sunniti. Nonostante l’attentato di Burgas, in Bulgaria
, compiuto contro turisti israeliani nel luglio 2012 e dalle autorità di Sofia attribuito proprio al movimento sciita libanese filo-iraniano.Per approfondire: Le elezioni presidenziali in Siria,
nel contesto