10 -06- 2014

L’ISIL occupa la sede del governo, esercito e polizia in ritirata. Il governatore provinciale in fuga. I qaedisti avanzano anche nella vicina Siria: obiettivo, non la mera caduta di Assad ma la creazione di uno Stato islamista.

  

AGGIORNAMENTO ore 13.45 – IL PREMIER MALIKI DICHIARA LO STATO D’EMERGENZA

Dopo la caduta di Mosul nelle mani dei qaedisti dell’ISIL, il premier Nouri al-Maliki in un messaggio alla televisione ha chiesto al parlamento iracheno di dichiarare lo stato d’emergenza.

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di Chiara Cruciati

Roma, 10 giugno 2014, Nena News – L’avanzata degli islamisti dell’ISIL appare inarrestabile, amplificando sia il caos siriano che i settarismi interni all’Iraq. Le azioni che i miliziani qaedisti stanno portando avanti in questi giorni al confine tra Iraq e Siria dimostrano ancora una volta il potere accumulato in pochi mesi e la capacità di penetrare in profondità nelle pieghe della guerra civile.

A cadere, ultima in ordine di tempo, dopo la devastata provincia sunnita irachena di Anbar, è stata la provincia nordoccidentale di Ninawa. Dopo il tentativo dell’ISIL di assumere il controllo della città di Mosul pochi giorni fa, soffocato dall’offensiva delle forze governative di Baghdad (sostenute da alcune milizie tribali), ieri la polizia e l’esercito iracheni sono stati costretti alla ritirata dalla vasta operazione islamista che in poche ore ha occupato le sedi governative e altri edifici chiave del potere centrale. I miliziani hanno attaccato il quartier generale del governo di Baghdad con armi automatiche e granate e dato alle fiamme numerose stazioni di polizia, liberando – secondo gli stessi islamisti – almeno duemila detenuti (mille secondo dati della polizia). Occupato anche l’aeroporto della città.

I residenti di Mosul hanno raccontato alla stampa di bandiere nere di Al Qaeda issate in diverse parti della città; tante le famiglie in fuga in queste ore per timore di immediati scontri tra ISIL e esercito. Ma per ora di esercito e polizia nelle strade non c’è traccia. Anche il governatore provinciale Atheel al-Nujaifi è riuscito a fuggire, non prima di essersi appellato ai residenti perché resistano all’attacco qaedista: “Chiedo agli uomini di Mosul di resistere con forza e di difendersi contro gli stranieri, di formare dei comitati pubblici nei distretti per aiutare la gente e proteggere i quartieri”. Quello che il regime del rieletto Al Maliki non sa fare, viene chiesto alla popolazione, stremata da otto anni di occupazione militare statunitense e ora costretta ad affrontare una violenza settaria di vastissime proporzioni. La stessa violenza che ha portato all’esodo di 480mila iracheni dalla provincia di Anbar e dalle città di Ramadi e Fallujah, parzialmente occupate da dicembre dai miliziani dell’ISIL.

Sulle spalle del governo Maliki pesa la gravissima responsabilità di non aver saputo arginare le milizie armate, spesso provenienti dal permeabile confine con la Siria, e di aver inasprito i settarismi interni proseguendo nella sua cieca campagna contro la comunità sunnita, discriminata a livello politico ed economico. Mosul è la terza città a cadere in pochi mesi nelle mani dei miliziani qedisti dell’ISIL, da considerare ormai come il primo e più potente gruppo armato sunnita nel Paese: “L’ISIL sta realizzando progressi tremendi in Iraq e sta espandendo il suo spazio operativo – ha commentato Theodore Karasik, direttore dell’Istituto per il Vicino Oriente e il Golfo di Dubai – Controllano porzioni sempre più ampie di territorio perché vedono Al Maliki sull’orlo del fallimento e questa è la loro occasione di ottenere vittorie sostanziali”.

Oltre il vicino confine siriano, la situazione non è migliore: l’ISIL avanza e spinge in un angolo le opposizioni rivali, sia i moderati dell’Esercito Libero Siriano che gli islamisti del Fronte al-Nusra. La faida interna tra gli stessi ribelli continua a fare morti (45 nella sola giornata di domenica nella provincia di Deir el-Zour) e, se da una parte rafforza le posizioni del regime di Damasco, dall’altra peggiora le condizioni della popolazione siriana. Dal 30 di aprile ad oggi, secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, sarebbero oltre 630 le vittime degli scontri interni (di cui 39 civili), 130mila i profughi.

E mentre Assad annuncia l’amnistia, escludendo ovviamente le azioni delle opposizioni, l’aviazione governativa continua a sganciare sulle aree controllate dai ribelli migliaia delle famigerate bombe barili, che non fanno distinzione tra civili e miliziani (le stesse che, secondo Human Rights Watch, il governo iracheno lancia copiose sulla provincia di Anbar). La guerra civile sta assumendo contorni sempre più sanguinosi: e se da una parte Assad non crolla e si garantisce il controllo di parte del Paese, l’altra parte vede l’avanzata prepotente di Al Qaeda, sempre più radicata sul territorio e in grado di marginalizzare le ormai quasi inesistenti opposizioni moderate. Il conflitto si è così radicalizzato, finendo per contagiare il vicino Iraq, e si sta traducendo nella creazione di due Stati paralleli, quello di Damasco e quello qaedista: da tempo è ormai chiaro che obiettivo dell’ISIL non è quello della mera caduta del regime, ma la nascita di uno Stato islamista che applichi la Shari’a con le modalità più estremiste possibili. Nena News