Medio Oriente: il coraggio di cambiare strategia per ridare
stabilità e pace alla culla della civiltà
L'irresistibile
ascesa dell'ISIS e il ruolo dei kurdi nella regione
25 / 8 / 2014
Riceviamo e pubblichiamo con molto piacere questo articolo
del giornalista curdo Suveyda Mahmud inviatoci come i precedenti dalla Rojava,
regione autonoma del Kurdistan siriano.
Si tratta di una approfondita analisi sulla genealogia del
conflitto in corso in Siria ed Iraq, sulle molteplici questioni che lo
attraversano, sulle possibili prospettive politiche future in grado di bloccare l'avanzata dell'IS e riportare la pace in
quella regione.
Tutto cio' mentre le organizzazioni del PKK e del YPG
sembrano essere le uniche che in modo efficace stanno bloccando l'avanzata dei
fondamentalisti islamici costruendo corridoi umanitari e rappresentando
"de facto" l'unico aiuto per le popolazioni in fuga.
La richiesta che si alza forte alla comunità
internazionale é immediato aiuto umanitario, e non armi, e
riconoscimento delle istanze dei combattenti Curdi, per prima cosa accreditare
il Pkk come organizzazione politica e non terroristica e riconoscimento
dell'autogoverno della Rojava.
Il Medio Oriente è un luogo eccezionale nel quale si
sono formate le prime culture e forme statali, e sono sorte le prime religioni.
In quanto territori in cui la cultura ha lasciato delle tracce permanenti,
rappresentano una ricchezza di elevato valore la cui esistenza perdura fino ai
nostri giorni.
Tuttavia, sembra quasi che il cuore di questo tesoro, ossia
il Medio Oriente, in ogni angolo del quale resta nascosto il senso di
appartenenza collettiva e tutti i simboli relativi alle nostre radici, si
ritenga adatto solo alla guerra e alla violenza.
Questi territori che furono all’avanguardia nella
filosofia, nella letteratura, nell’astronomia, nella medicina e in varie
altre discipline scientifiche oggi sono presi di mira
da chi vorrebbe trasformarli in una terra di arretratezza, dispotismo e
anti-collettivismo.
Nonostante tutte le rivolte e le
crudeli guerre avvenute nel corso della sua storia, il Medio Oriente ha
dimostrato la sua capacità di tenere insieme le diverse visioni del
mondo, ognuna con la propria peculiarità, e di riuscire a convivere
nonostante tutte le differenze; tuttavia, oggi è spinto verso altri
orizzonti.
Com’è dunque giunto a questo punto il Medio
Oriente? Come si è estesa la “piaga” dell’ISIS in un
momento storico in cui sono iniziati i dibattiti sulla riforma
dell’Islam? Si può arrestare questo corso degli eventi? Quale
strategia dovranno seguire i curdi, che occupano una posizione piuttosto
importante all’interno di questo equilibrio? Per poter dare risposte
obiettive a tutte queste domande è alquanto fondamentale individuare il
problema in maniera opportuna.
Iniziamo la nostra analisi con le caratteristiche che
costituiscono il fondamento dell’organizzazione terroristica denominata
ISIS (o, più recentemente, IS-Islamic State), che il giorno 10 giugno
Con una tattica identificabile come tentativo di riscatto
dalla sconfitta in Vietnam da parte del blocco socialista, gli Stati Uniti
formarono circa centomila mujaheddin radicali provenienti da quaranta paesi
islamici per contrastare l’occupazione sovietica dell’Afghanistan.
I costi di questa operazione sono stati sostenuti sfruttando
l’intelligence pakistana attraverso il traffico di eroina, coltivata ai
confini tra Afghanistan e Pakistan, che frutta 200 miliardi di dollari
l’anno.
Questo ideale “jihadista” si è diffuso
rapidamente: varie persone provenienti dai più disparati luoghi del
mondo e appartenenti a popoli diversi sono andati nei campi di addestramento
jihadisti del Pakistan e dell’Afghanistan e in nome di questo ideale
hanno raggiunto ogni parte del mondo. Questi gruppi addestrati saranno
successivamente menzionati con il nome di Al Qaida e, sotto la guida di Osama
bin Laden e grazie a finanziamenti sauditi, creeranno altri gruppi organizzati
in vari Paesi.
Dopo l’11 settembre, in realtà, i gruppi
jihadisti non hanno più avuto alcun rapporto con l’Occidente.
Tuttavia questi gruppi, usando come giustificazione l’occupazione
americana dell’Iraq, hanno coinvolto nella loro guerra tutto il mondo
islamico. Con gli strascichi della caduta del regime Baa’th e la mancata
accettazione della leadership sciita da parte dei clan sunniti, proprio facendo
leva sul sostegno di questi ultimi, fu annunciata la formazione
dell’ISIS.
Facendo delle rivolte arabe scoppiate nella regione e del
nazionalismo sunnita perseguito già da tempo la propria bandiera,
l’ISIS attualmente fa propaganda ponendosi come avanguardia della sintesi
arabo-islamica. Questa organizzazione, che si sta ingrandendo
utilizzando le risorse americane e l’area resa accessibile proprio dagli
USA, e allo stesso tempo cerca di espellere questi ultimi dall’Iraq, ha
giocato un ruolo importante nei numerosi e ormai decennali attacchi esplosivi e
nelle azioni che hanno portato alla morte di decine di migliaia di persone.
Queste organizzazioni si posero, originariamente, a difesa
dell’ideologia e dei metodi del jihad, volto a contrastare
l’imperialismo americano, tuttavia con il tempo hanno trasformato in
violenti scontri il circolo vizioso costituito dai contrasti tra sunniti e
sciiti. Frazionate al loro interno in varie sezioni, queste organizzazioni,
sfruttando il più piccolo dei contrasti per iniziare gli scontri e
ampliandosi progressivamente con una cultura conquistatrice e aggressiva, sono
facilmente finite sotto l’influenza di svariate forze.
Durante l’occupazione dell’Iraq, svariate
organizzazioni già in lotta contro gli USA
misero in atto ribellioni armate in risposta alla chiamata alla guerra della
più radicale delle organizzazioni e sotto l’effetto delle
insurrezioni popolari scoppiate nel 2011. Allo scopo di trascinare il Medio
Oriente nella spirale della guerra e della violenza, il blocco imperialista che
detiene la leadership negli USA, impiegando tutte le proprie forze e gettando
benzina sul fuoco, ha aizzato conflitti e istigato scontri appoggiando varie
organizzazioni, alcune più esplicitamente di altre. In questo modo ha
imprigionato in un circolo vizioso i popoli in rivolta contro i governi
dispotici. In questo quadro, ovviamente, hanno giocato un ruolo fondamentale
anche gli stati sostenitori dello status quo, interessati ad assicurarsi delle
entrate a livello locale.
L’ISIS, formatosi in breve
tempo all’interno delle organizzazioni jihadiste con il suo discorso e le
azioni radicali, approfittando del vuoto formatosi in Siria e Iraq, con questa
connotazione ha messo all'angolo Al Qaida, all’interno della quale si era
sviluppato, e ha imposto la sua presenza a tutte le forze intenzionate ad agire
nella regione. Traendo
da queste forze sostegno logistico e militare (armi e servizi segreti), tale
organizzazione, che ha cercato di presentarsi come “seconda rivoluzione
wahhabita”, non si è rivolta né al blocco imperialista,
né agli stati dispotici. Il sistema governativo più adatto alla
natura del Medio Oriente, trascinato in sterili
scontri, è stato individuato solo nel Rojava, che ha allestito un
governo democratico radicale basato sul sistema delle Comuni.
Paesi come
In vari campi per rifugiati, in particolare in quello di
Karkamiş, nella provincia turca di Antep, questo gruppo svolge azioni di
reclutamento e addestramento e il governo turco ha, in questo senso, un ruolo
rilevante nella sua diffusione e sviluppo nella zona.
Questa alleanza è subentrata allo scopo di negare il
diritto all’esistenza di un’entità curda democratica e
indipendente, fondata sull’ideologia di Abdullah Öcalan, sul confine
meridionale. Non avendo qui ottenuto i risultati sperati, malgrado i numerosi
attacchi, l’ISIS è stato inviato a Mosul tramite i “centri
di azione rivoluzionaria” di Turchia e Siria.
Un’altra ragione che sta
chiarendo la situazione in Iraq è il fatto che l’ISIS, definito
dall'ex Ministro degli Affari Esteri turco, il candidato a primo ministro Ahmet
Davutoğlu, “una fanatica frangia sunnita”, abbia trovato un
terreno solido sulla base del vecchio partito Baa’th, che ha acquisito
nuova forza grazie ad Al-Maliki e alle sue politiche inadeguate che hanno
accelerato il processo di disgregazione. Anche nei mesi invernali trascorsi, prendendo
Felluja e i territori circostanti, l’ISIS ha svolto delle precise
attività in particolare nell’area nota come regione di Al-Anbar.
Cosicché, in breve tempo e con inaspettata
rapidità (esattamente allo stesso modo con cui avevano pianificato i
centri d’azione), il 10 giugno Mosul e successivamente svariate altre
città irachene sono passate nelle mani dell’ISIS. Questo stato di
cose, allo stesso tempo, si traduce nella frammentazione, già
pianificata dagli USA, dell’Iraq in tre aree de facto. Tale condizione è
altrettanto valida per
rivalutazione delle frontiere e una tendenza ad una nuova
ridefinizione dei confini della regione.
Questo contesto rivela anche la disintegrazione dei confini
stabiliti in Medio Oriente nella Seconda Guerra Mondiale. Nuove frontiere,
nuovi poteri, nuove alleanze e nuove guerre ci aspettano.
Il Presidente degli USA Barack Obama ha sintetizzato questa
situazione ormai nota a tutti con le seguenti parole: “Ormai dobbiamo
scegliere dei nuovi alleati e l’Iran deve essere uno di questi”.
È evidente l’intenzione di revisionare ancora una volta, nel XXI
secolo, i confini del Medio Oriente tracciati nell’accordo Sykes-Picot da
parte dei contraenti il patto. Da una parte differenti gruppi etnici,
dall’altra un disegno che emergerà dagli scontri settari. In questo
disegno rientrano anche i progetti dell’ISIS, che sarà utilizzato
come una sorta di “ariete”; progetti ostacolati maggiormente dai
curdi e dalle minoranze che vivono in Medio Oriente.
Il tentativo di modificare il perimetro del Medio Oriente
(nel quale, tra l’altro, religioni e sette differenti convivono da
millenni) per mezzo delle guerre settarie indubbiamente porterà ad una
pianificazione del territorio di durata secolare e dalle conseguenze
sanguinose. Vi è una chiara intenzione affinché la forza del
Medio Oriente, di queste terre antiche, si consumi, trascinata in una guerra
cieca, come è quella settaria, e negli scontri. È questo,
appunto, il ruolo che nel XXI secolo i governi locali e le potenze
internazionali hanno attribuito al Medio Oriente. Questi poteri caotici
attualmente sono la causa del versamento di sangue delle popolazioni del Medio
Oriente. I curdi, con il loro atteggiamento ostinatamente contrario a questo
spregevole progetto, da una parte cercano di vincere questa sterile
lotta, dall’altra di creare una reale alternativa attraverso un sistema
democratico fondato sui valori propri delle popolazioni
mediorientali. Naturalmente vogliono raggiungere questo
obiettivo sebbene siano soggetti a incursioni spaventose e irregolari.
In Kurdistan, dove vivono i curdi e svariate minoranze,
l’ISIS ha creato gruppi di offensiva piuttosto diffusi. Nel mese di
giugno, in seguito alla caduta di Mosul e all’impossessamento degli
arsenali militari, il suo primo obiettivo era il Rojava; tuttavia a
Kobanê non ha ottenuto la vittoria sperata. Costretto a ritirarsi di
fronte alla dura controffensiva delle YPG e delle unioni civili rivoluzionarie
costituite dal popolo per fini di autodifesa, si è successivamente posto
come obiettivo Hasekê e il cantone di Cizîre. Tuttavia a causa dei
violenti scontri, uniti all’insurrezione delle YPG, anche qui non sono
arrivati i risultati sperati; cosicché le mire dell’organizzazione
si sono rivolte al Kurdistan meridionale e ai curdi yazidi dell’area di
Şengal.
Nonostante si fosse già preventivato un attacco di
grandi dimensioni nella regione, le forze di Barzani addette alla difesa
dell’area si sono ritirate senza combattere, abbandonando la popolazione
civile indifesa proprio come aveva fatto l’esercito iracheno a Mosul. Le forze di difesa dei curdi del Rojava, le
YPG(Yêkineyên Parastina Gel - Unità di Difesa del Popolo),
che già avevano sperimentato durante la guerra l’impatto degli
attacchi dell’ISIS sulla popolazione, allo scopo di colmare il vuoto che
si era creato e contrastare eventuali massacri, si sono trasferite nella
regione e hanno organizzato le barricate dell’insurrezione.
Immediatamente dopo, l’ala armata del PKK,
l’HPG (Hêzên Parastina Gel- Forze di Difesa del Popolo), con
l’invio dei suoi guerriglieri nella , ha potuto
evitare la tragedia umana prima che si trasformasse in un massacro. Le YPG/YPJ e l’HPG e YJA Star hanno dato vita a una
resistenza contro l’ISIS, che per una settimana aveva attaccato in vari
luoghi allo scopo di accerchiare Şengal e massacrarne la popolazione di
credo yazidita (dichiaratamente vista come nemica dell’Islam), ed
è riuscita a porre fine a questi attacchi seppure pagando il prezzo di
dieci guerriglieri.
L’ISIS, preso dalle sue
contraddizioni interne e dalle controversie nonostante la tendenza agli
assalti, ha reso noto che, in caso di indebolimento della sua forza offensiva,
la sua strategia è quella di continuare la guerra servendosi di vari
gruppi, senza badare se otterrà o no risultati che daranno luogo ad un
processo di disgregazione. Già prima del fallimento a Şengal, un
chiaro indicatore di questa strategia è individuabile
nell’offensiva subita a Maxmur dai rifugiati curdi costretti a fuggire
negli anni ’90 a causa delle pressioni del governo turco e sotto la
supervisione delle Nazioni Unite, oltre che nelle mire sulle grandi
città curde di Hewler e Duhok e nel tentativo, dall’altra parte,
di conquistare alcuni centri abitati in prossimità della frontiera
iraniana.
Tutte queste offensive sono piuttosto
rilevanti dal punto di vista della chiara manifestazione, da parte dello Stato
turco, del suo atteggiamento e delle sue politiche, poiché questi
attacchi dell’ISIS proseguono di pari passo con la strategia del
“lasciare i curdi senza identità” su cui è impostata
la politica estera del governo AKP e del suo leader Erdoğan (diventato
dodicesimo presidente della repubblica alle ultime elezioni).
Dopo aver prefissato come obiettivo la dichiarazione
democratica del Rojava, pronunciata il 12 luglio 2012, l’ISIS ha iniziato
ad attaccare queste regioni. Avendo l’ISIS individuato i curdi come
vittime sacrificali perché “terroristi e zoroastriani”,
Şengal e i territori circostanti, che tra l’altro hanno conservato questa
credenza religiosa, sono diventati il suo obiettivo come risultato di un lungo
processo di preparazione psicologica. Il fatto che il campo rifugiati di
Mahmura sia diventato un obiettivo dell’ISIS, non è casuale. Erdoğan, che non manca mai di pronunciare l’espressione
“processo di risoluzione”, ha lavorato sempre con grande sforzo per
l'evacuazione del campo profughi di Mahmura, e che tra i vari gruppi con i
quali si è alleato, contribuendo allo sviluppo e all’ascesa
dell’ISIS, quest’ultimo abbia scelto come capro espiatorio proprio
i curdi di Turchia verso i quali nutre un forte risentimento, porta alla
luce un quadro inequivocabile.
In questo contesto di caos, definito “terza guerra
mondiale”, i curdi, malgrado i numerosi attacchi e la loro suddivisione
in quattro parti, cercano di essere uniti e di organizzarsi tutti sotto lo
stesso tetto. Attualmente il gruppo di difesa comune creato come effettiva
controparte all’offensiva dell’ISIS potrebbe riunirsi e
trasformarsi nel primo nucleo del mai realizzato Congresso Nazionale Curdo.
Questa unione potrebbe eventualmente essere l’occasione per la
realizzazione del secolare sogno curdo. Il Movimento Curdo di
Liberazione, dopo aver portato avanti per anni la guerra in Kurdistan
settentrionale e aver conseguito con successo l’azione di difesa dei
propri territori in Siria a partire dall’anno 2011 sotto forma di
organizzazione di autodifesa e con il nome di YPG, attualmente in Kurdistan
meridionale è passato in primo piano come attore politico attivo grazie
alla sua esperienza militare e alle sue previsioni politiche. In
particolare, la sua azione di stop alle violente offensive
a Şengal, svolta davanti agli occhi del mondo intero, ha dimostrato al
mondo l’efficacia della politica messa in atto dal movimento del PKK. Uno
dei motivi per cui la cittadina di Mahmura è stata inserita tra gli
obiettivi dell’ISIS è, difatti, la volontà di vendetta sul
PKK. È noto a tutti che gli abitanti del campo rifugiati di Mahmura, che
conta decine di migliaia di persone, vivono in esilio da ormai da
vent’anni perché simpatizzanti del PKK.
Secondo quanto esplicitamente dimostrano tutte queste
considerazioni, il blocco occidentale che detiene la leadership negli USA vive
un momento di grave impasse in Medio Oriente e soprattutto nella politica
irachena e siriana. La politica che segue e le alleanze che ha stretto sono ben
lontane dall’essere durature. Stesso discorso vale per i governi locali.
Acquisendo un certo atteggiamento in favore della continuazione
dell’equilibrio ottenuto in Iran,
libertà ed è fondato sul sostegno delle
popolazioni oppresse (soprattutto quelle del Kurdistan) e dei gruppi etnici;
l’altra è l’ISIS, sorto come braccio iracheno di Al Qaida e
diventato ormai un gruppo nefando.
I poteri locali ed internazionali,
traendo profitti da questa situazione di caos, restano insensibili all’ascesa
dell’ISIS, e anche se assumono un atteggiamento distaccato non potranno
ignorare il PKK, che si organizza come un’onda silenziosa proveniente dal
profondo, e che rappresenta un’alternativa concreta che, una volta
sconfitto l’ISIS, costituirà un modello per il nuovo Medio
Oriente. Un
passo fondamentale a tale scopo sarebbe la cancellazione del PKK dalla lista
delle organizzazioni terroristiche e l’avvio della lotta
al vero terrorismo.