26 agosto 2014 - Memed
Aksoy
Cento anni di resistenza curda e
lo Stato islamico
Traduzione di Marta Saba
Quasi 100 anni fa, il Kurdistan è stato trasformato in una colonia
internazionale dalle potenze coloniali dell’epoca, Francia e Inghilterra. Fin
dall’accordo Sykes-Picot (1916) e poi il Trattato di Losanna (1923), che
separava il popolo curdo sotto il dominio di quattro stati (Turchia, Iran, Iraq,
Siria), il popolo kurdo è stato in guerra, in una forma o nell’altra. In
migliaia si sono ribellati, hanno resistito, sono stati massacrati, impiccati,
esiliati, assimilati e torturati. In breve, ai curdi non è stata data la
possibilità di autodeterminarsi e non sono stati riconosciuti dal mondo come
società o nazione distinta. Ciò in cui essi, e gli stati che hanno cercato di
ridurli in schiavitù, sono stati catturati è la “Trappola curda”, istituita dai
poteri dominanti del mondo.
Non voglio parlare di tutte le ribellioni curde o massacri perché vi sfinirei.
Di seguito verrà data un’idea della tragedia curda dei tempi moderni:
In Turchia (Kurdistan settentrionale) ci fu il massacro di Zilan (1921), il
massacro di Sheikh Said (1925), il genocidio di Dersim (1938), il massacro di
Maras (1978), e la ribellione del PKK (dal 1978) contro questi eventi. In
totale, questi massacri hanno richiesto più di 300.000 vite.
In Iran (Kurdistan orientale), le ribellioni di Simko (1918 e 1926), di Qazi
Muhammad e la breve durata della Repubblica curda di Mahabad (1946), e la
rivolta del KDP-I del 1979, si sono concluse con la morte di almeno 50.000
persone e con lo sfollamento di massa.
In Iraq (Kurdistan meridionale) ci fu la ribellione di Barzani (1961-1970) e la
rivolta del 1983 che si concluse con la campagna genocida “Al Anfal”
(1986-1989), che costarono la vita a oltre 190.000 curdi.
In Siria (Kurdistan occidentale), centinaia di migliaia di curdi non sono stati
riconosciuti dal governo come cittadini e, pertanto, non ebbero alcun diritto
dal 1962 in poi. Il “cordone arabo” del 1965 sfollò coercitivamente centinaia di
migliaia di curdi e insediò arabi nelle loro case, per “arabizzare” le terre
curde. Dal 2004 vi è stata un’escalation costante di massacri curdi, che ha
raggiunto l’apice con la guerra siriana e continua oggi nel nord della Siria (Kurdistan
occidentale) mentre i curdi, ancora uccisi a centinaia, resistono contro lo
Stato islamico (IS).
Perché il Kurdistan è importante
Ora i curdi affrontano un’altra alba, combattendo i terroristi internazionali
nella forma dello Stato Islamico (IS). Ma perché il Kurdistan è così prezioso
per le potenze regionali e internazionali, e perché la terza guerra mondiale sta
avendo luogo sul suolo curdo?
Petrolio, acqua, sali minerali e importanza geostrategica sono tutti fattori
rilevanti, ma in modo più significativo il Kurdistan e la regione circostante
detengono gli indizi per le domande senza risposta sulla nostra civiltà.
E’ dal Kurdistan, la Mezzaluna Fertile e la Mesopotamia, che la maggior parte,
se non tutte le rivoluzioni sociali, si sono sparse per il resto del mondo. Il
primo problema sociale della disuguaglianza di genere e poi la disuguaglianza di
classe, sono pure sorti qui.
In realtà Kurdistan, con il suo patrimonio etnico, religioso, ideologico,
culturale e storico, è l’ingranaggio centrale e quindi microcosmo di tutto il
Medio Oriente. In breve, chi controlla il Kurdistan controlla la regione. Questo
è il motivo per cui il Kurdistan non è mai stato lasciato al dominio di una
potenza e perché tutte le potenze coinvolte hanno cercato di mantenere il
controllo. Da qui il motivo per cui la “trappola curda” è stata utilizzata da
potenze internazionali per più di cento anni, al fine di indebolire, dividere e
rendere dipendenti i curdi e i loro vicini.
Recente prova di questo è stata l’intervista di Barack Obama con il New York
Times; in poche parole, egli dice al KRG e al governo iracheno: se non
eseguirete le politiche degli Stati Uniti, porteremo avanti solo azioni limitate
contro l’IS. Il presidente degli Stati Uniti continua a dire che il KRG deve la
sua democrazia e la stabilità al sacrificio fatto dai soldati americani. Il
significato sottointeso è: i curdi ce lo devono. Ciò che Obama omette è che i
curdi del Kurdistan meridionale (Nord Iraq) costituiscono solo il 20% circa dei
curdi e che i curdi che vivono sotto il dominio della Turchia, Iran e Siria non
hanno ricevuto alcun sostegno da parte degli Stati Uniti, ma al contrario sono
stati colonizzati dagli stati da loro sostenuti e dalle potenze occidentali.
L’inserimento del PKK nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, da parte
degli Stati Uniti e dell’Unione europea, ne è un esempio tipico, e il completo
disinteresse verso la resistenza delle YPG contro l’IS e gli altri elementi
regressivi in Siria è un altro. E ‘anche ironico che queste sono le due forze
che hanno combattuto contro l’IS per aprire un corridoio sicuro per i rifugiati
di Sinjar, salvando ad oggi oltre 50.000 vite.
La resistenza curda contro l’IS
L’IS è stato, senza dubbio, sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea,
quando faceva parte dell’Esercito Siriano Libero, e si è formato nel vuoto
creato dall’intervento imperialista. Esso continua ad essere sostenuto da
Turchia, Arabia Saudita e Qatar, tutti alleati occidentali. Ma questo non
significa che l’IS non abbia la propria agenda. Precedentemente noto come lo
Stato islamico dell’Iraq e della Siria, l’IS ha una storia di lotta di almeno
dieci anni, che inizia con l’invasione americana dell’Iraq. Le sue radici
ideologiche e politiche si trovano nell’interpretazione salafita dell’Islam, che
è diventato sempre più politicizzato con la primavera araba, attirando giovani
sunniti alienati e insoddisfatti. Inoltre lo Stato Islamico ha un desiderio
genuino di diffondere l’Islam com’è stato vissuto, secondo loro, al tempo del
Profeta Maometto. Evidentemente, la loro è una lettura del Corano e della Sunnah
letterale e distorta e non rappresenta la maggioranza dei musulmani in tutto il
mondo. Ma questo tradizionalismo anacronistico è anche il motivo per cui
pochissime organizzazioni musulmane hanno preso una posizione aperta contro l’IS
e i loro massacri nella regione, e per cui l’IS è stato in grado di strisciare
fuori da sotto l’ombra di Al Qaeda e Al-Nusra fino ad attirare alla sua jihad
migliaia di giovani uomini, e alcune donne, provenienti da tutto il mondo.
Per oltre due anni c’è stata una resistenza silenziosa al saccheggio dello Stato
Islamico nel Kurdistan occidentale (Siria settentrionale), o come ai curdi piace
chiamarlo, Rojava. Le Unità di Difesa del Popolo (YPG) sono state coinvolte in
una vittoriosa guerra di guerriglia, prima contro il fronte Al-Nusra e poi, dopo
la loro separazione da questo gruppo, lo Stato Islamico. Le YPG non sono formate
solo da curdi e hanno unità composte da arabi, turcomanni, armeni e assiri, in
pratica qualsiasi gruppo che vive nel Rojava. Il silenzio della comunità
internazionale su questa resistenza è comprensibile, perché non rientra nella
loro grandiosa narrazione del Kurdistan e del Medio Oriente. In realtà c’è una
rivoluzione in corso in Rojava, dove sono stati dichiarati tre cantoni autonomi,
amministrati dalle assemblee dei popoli, dove il comunitarismo è praticato
ovunque possibile, dove la rappresentanza femminile è del 60%, e dove tutte le
diverse etnie e fedi trovano rappresentanza in una società democratica laica.
Il Partito dell’Unione Democratica (PYD) è la forza trainante di questa
rivoluzione, ma ci sono anche altri partiti politici che partecipano
all’amministrazione. La visione ideologica e paradigmatica di questo sistema,
che la gente chiama “Autonomia democratica”, è stata formulata da Abdullah
Ocalan, il leader curdo in carcere dal 1999 in un’isola-prigione in Turchia.
Ocalan chiama questa visione “il paradigma democratico, ecologico e
dell’emancipazione di genere”, e sembra dare i suoi primi frutti in Rojava.
E’ questo sistema e la società che sta creando, che rappresentano un grande
pericolo per lo status quo in Medio Oriente. I dittatori locali, i regimi
repressivi e i loro cospiratori internazionali temono la democrazia radicale che
si sta sviluppando in Kurdistan e diffondendo in Medio Oriente. Questa è la
ragione per cui l’IS ha attaccato il Rojava senza mollare per due anni ed è
anche il motivo per cui è sempre stato sconfitto. Il sistema nel Rojava ha unito
le persone indipendentemente dalle differenze e dato loro la speranza di una
nuova vita.
L’incursione dell’IS in Iraq e l’assedio comico di Mosul dove è stato
rinvigorito con nuove armi e tecnologia militare, era solo per preparare un
nuovo attacco nel Rojava al secondo anniversario della rivoluzione del luglio
2014. Il suo attacco a Sinjar e nella regione confinante il Rojava è stato anche
per evitare che la rivoluzione si diffondesse ad altre parti del Kurdistan.
Tuttavia l’IS sta perdendo la battaglia e i suoi attacchi stanno solo
rafforzando l’unità tra curdi. Il popolo curdo sta cominciando a vedere chi è
amico e chi no, dal momento che il PKK, le YPG e alcune forze peshmerga si sono
unite per difendere la loro gente.
Ora, secondo i report, il califfo dell’IS Abu Bakr al-Baghdadi ha chiesto un
cessate il fuoco con i curdi, dopo due settimane di massacro nel Kurdistan
meridionale. Che cosa lo ha indotto a farlo? E’ stato il clamore internazionale,
il bombardamento degli Stati Uniti o la nomina di un nuovo Primo Ministro
iracheno, che sta presumibilmente riportando le tribù sunnite in carreggiata e
fermando il loro sostegno per l’IS? O il loro compito di ripulire l’area da
yazidi, cristiani, caldei, kakais e altri gruppi etnici e religiosi nel
Kurdistan meridionale, è stato portato a termine?
Anche se non nello stesso modo, la storia sembra ripetersi in queste situazioni;
il caos è stato creato, milioni sono stati massacrati e sfollati, le mappe sono
ridisegnate secondo il capitale finanziario e, infine, un gruppo selezionato
consolida il proprio potere e guadagno. L’unica speranza che la storia non si
ripeta giace nel sistema del Rojava e nel rifiuto della mentalità dello stato-nazione,
dei dogmi religiosi e del patriarcato.
La politica della carota e del bastone
Una delle questioni su cui spesso ci si interroga è: i curdi vogliono un
intervento militare da parte delle potenze occidentali?
La risposta è un sonoro ‘No’. Perché una ragione di questa disastrosa situazione
è l’intervento militare da parte delle potenze occidentali in Iraq e Siria e
negli altri paesi della regione. Tuttavia possiamo vedere che è stata avviata
una campagna attiva, volta a far sembrare che i curdi vogliano che Regno Unito e
Stati Uniti inviino truppe in Kurdistan. Non è questo il caso. Ciò che questi
poteri possono fare è utilizzare i loro rapporti diplomatici per fermare il
sostegno all’IS. Impedire ai militanti IS di attraversare il confine Turchia-Siria,
agli jihadisti internazionali di recarsi nella regione e colpire la loro
economia, contribuirebbe a indebolirli. Inoltre, gli Stati Uniti e l’UE devono
immediatamente togliere il PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche e
impegnarsi con tutte le parti curde a risolvere la questione del Kurdistan e il
caos in Medio Oriente in modo giusto e democratico.
Tuttavia, se le potenze internazionali pensano di poter ricolonizzare il
Kurdistan, fornendo sostegno e poi chiedendo fedeltà o obbedienza, avranno
penosamente sbagliato. I curdi non devono niente a nessuno e l’insistenza sul
mantenimento della “trappola curda” non è un’opzione.
Se i partiti curdi riescono a unirsi, sviluppare una cultura democratica
dall’interno e rimanere fedeli al ricco patrimonio del Kurdistan con tutte le
sue diverse etnie, religioni e culture, allora i curdi e il Kurdistan possono
essere un faro di speranza per lo sviluppo di una modernità democratica nel
cuore del Medio Oriente. Altrimenti, gli imperialisti internazionali e i loro
alleati regionali continueranno ad attuare la politica del bastone e della
carota sui popoli del Medio Oriente, dividendo, indebolendo e sfruttando
ulteriormente loro e le ricchezze in cui vivono per almeno i prossimi 100 anni.
di Memed Aksoy
Traduzione di Marta Saba