Nazione curda, il salto di
qualità contro l’Isis
August 31, 2014
Yilmaz Orkan
è rappresentante in Italia, a Roma, del Congresso Nazionale Kurdo, dentro il
quale è presente anche il Pkk, l’organizzazione armata che da decenni si batte
per i diritti del popolo kurdo in Turchia e che ora non si sta risparmiando per
combattere contro l’esercito integralista dell’Isis. Dopo aver lavorato per
alcuni anni in Belgio, Yilmaz si occupa delle relazioni internazionali qui in
Italia.
Mi accoglie
nella storica sede romana dove fanno bella mostra di sé le foto di Abdullah
Ocalan e del nostro Dino Frisullo. Con lui facciamo il punto della drammatica
situazione in Medio Oriente e sul ruolo che sta giocando il suo popolo. “Prima di
tutto dobbiamo esporre con chiarezza – sottolinea Orkan – come è cominciata
quella crisi nel Kurdistan del Sud. Sono quasi due anni che nella regione
kurdo-siriana del Rojava c’è un conflitto tra l’Isis e l’Ypg, l’esercito che si
batte per l’autonomia in Siria e che sta difendendo i tre cantoni kurdi,
Cizîre, Kobanê e Efrîn, dall’attacco degli estremisti islamici. Poi, il 10
giugno scorso, Isis è passato direttamente in Iraq, e ha occupato Mosul,
Falluja, Tigri, Anbar. Tutta la regione popolata dai sunniti. E’ importante
ricordare come l’Isis rappresenti una vera minaccia per l’area e si connoti
come una forza particolarmente negativa. Da quando è diventato un protagonista
in Medio Oriente si è distinto solo per tagliare la gola agli altri popoli,
alle minoranze religiose e via dicendo. Non fa altro che uccidere e basta. Il 3
agosto la città kurda di Sengal, popolata da una comunità zoroastra, da sciiti
turcomanni e da assiri cristiani, è stata occupata da loro, con tanto di
massacri e rapimenti delle donne”.
Come
hanno reagito le forze kurde?
L’Ypg ha
occupato le montagne per creare un corridoio umanitario al fine di trasferire
oltre centomila civili verso Rojava dove è stato creato un campo che si chiama
“Newroz”. Una parte di questi kurdi sono andati in Turchia, anche nel Kurdistan
del Sud e pian, piano stanno arrivando purtroppo anche in Europa. Sono arrivati
in questa regione anche i guerriglieri del Pkk. Adesso possiamo dire che da
Jalallah fino ad Efrin, una linea lunga quasi
In che
misura è presente il Pkk?
Nel Sud del
Kurdistan ci sono migliaia di combattenti del Pkk che si battono contro l’Isis.
Si tratta di uno scontro difficile perché dobbiamo considerare che questo
esercito è sostenuto dal Qatar, dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e
precedentemente anche dalle potenze occidentali.
Perché
l’Isis è diventato così forte? Che idea vi siete fatti?
Non abbiamo
ancora capito bene perché l’Isis è stato creato, fomentato. Certamente perché
quando l’Occidente sosteneva di voler esportare la democrazia in Medio Oriente
ha scelto male l’interlocutore viste le caratteristiche dell’Isis. E dietro il
sostegno che hanno avuto ci sono sicuramente altri interessi. Questo conflitto
possiamo interpretarlo in due modi diversi: o semplicemente uno scontro tra
sciiti e sunniti; oppure come uno scontro che si estende in tutta quell’area
geografica e che rischia di sconfinare anche in Turchia e in Giordania con il
fine di creare qualcosa di nuovo. Le caratteristiche di questa espansione non
lascia adito a dubbi: sono a rischio i diritti delle minoranze, delle donne,
rapite a migliaia per essere vendute. Per mettere fine a tutto questo abbiamo
fatto appello fin da subito alle Nazioni Unite con la richiesta esplicita di
fermare i Paesi che appoggiano gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi, compresi
ovviamente quelli occidentali. Se non sarà così rischiamo di ritrovarceli anche
in Europa.
Quali
sono in questo momento i rapporti tra voi e i kurdi iracheni?
Quando parliamo
di politica e di idee il tema cambia. Nell’universo kurdo ci sono partiti
comunisti, partiti liberali, partiti socialdemocratici. In Kurdistan ci sono
più di cinquanta partiti, tanto per rendere l’idea. Però in questo momento non
possiamo discutere e scontrarci su questo terreno. C’è una priorità: come
possiamo difendere i civili kurdi dagli attacchi dell’Isis e anche le altre minoranze
religiose con le quali i kurdi hanno sempre convissuto pacificamente. Per
questo, come ho già detto prima, nel Sud del Kurdistan tutte le forze kurde
stanno operando insieme. Partiti kurdi iraniani, turchi, siriani più il governo
regionale del Kurdistan iracheno. Ed impedire loro di conquistare le zone
ricche di petrolio, un altro loro obiettivo che permetterebbe al califfato di
vivere tranquillamente. Come i Paesi del Golfo per intenderci.
Proprio
questa vostra pluralità spaventa l’Isis…
Certo. Queste
bande attaccano la nostra regione proprio per questa ragione: perché vogliamo
creare lì una democrazia con tutte le minoranze esistenti, siano esse religiose
che etniche. Possiamo creare anche qui dei cantoni, come già successo in Siria,
che tutelino assiri, turcomanni e tutte le altre minoranze. Collegati con
Chiedete
un sostegno internazionale per questo vostro progetto?
Certamente.
Chiediamo che anche gli Stati Uniti lo sostengano per introdurre veramente la
democrazia in Medio Oriente. Per esempio nel cantone di Cizîre ci sono tre
lingue ufficiali, l’arabo, il kurdo e l’assiro. E questo perché lì vivono tre
diverse etnie e dunque non possiamo imporre il kurdo. Il presidente del governo
cantonale è un kurdo ed i vicepresidenti sono una donna cristiana assira e un
uomo arabo. Anche la difesa è gestita insieme. Tutto è incentrato sulla
necessità di vivere insieme. E questo sistema può essere esteso anche in tutte
quelle aree che sono fuori dalla Federazione del Kurdistan.
Che cosa pensate
dell’opposizione di Rifondazione comunista e di Sel all’invio di armi ai kurdi?
E’ un punto delicato che fa discutere…
Secondo alcune
leggi internazionali non si possono consegnare direttamente delle armi al
governo regionale del Kurdistan o a dei movimenti. Legalmente non si può fare.
Ci deve essere un’autorizzazione del governo centrale iracheno. Il governo di
Maliki si era opposto giuridicamente alla possibilità che il governo kurdo
autonomo potesse ricevere armamenti attraverso dei contratti che aveva già
stipulato. E questo vale sicuramente fino al 10 settembre quando si insedierà
il nuovo governo iracheno che non sappiamo ancora come si muoverà su questo terreno.
Per quanto ci riguarda noi abbiamo sempre detto che in Medio Oriente la difesa
resta un punto importante. E quando ci troviamo di fronte una forza con Isis
non possiamo non interrogarci sul fatto che le armi che maneggiano sono
occidentali. Armi americane, italiane, francesi. E quando hanno tentato
l’attacco alla diga di Mosul tutti hanno potuto vedere che non erano in
possesso di armamenti convenzionali. E chi glieli ha dati? Con questo non
vogliamo dire che gli Usa hanno fornito attrezzatura bellica ad Isis. Ma
all’esercito iracheno sì. Ovvero l’esercito di un Paese tutt’altro che
stabilizzato. E’ facile capire quindi come siano arrivate in mano a loro. Per
tornare alla domanda noi fin dal primo giorno abbiamo chiesto di non inviare
armi ma aiuti umanitari. Appoggiateci politicamente perché conoscete
l’autonomia democratica di Rojava, e sostenete il progetto che prima avevo
descritto per collegare tra loro le varie regioni kurde. Detto questo è
necessario che gli Stati Uniti, l’Europa, le Nazioni Unite, facciano pressione
perché nessuno più sostenga l’Isis. Insomma, togliamo armi ad Isis. Se si
agisce in questo modo altre armi non servono. E anche adesso pensiamo la stessa
cosa.
Parliamo un
momento del Pkk, che, paradossalmente, si trova ancora in una lista nera
composta da organizzazioni terroristiche stilata dagli Stati Uniti con il
sostegno in questo caso della Turchia. Ed è di questi giorni il fatto che la
procura di Milano ha nel mirino una quarantina di kurdi che vivono in Italia
accusati di terrorismo. Come si esce da questo scenario paradossale?
Quella lista che
conosciamo è tutta politica, senza alcuna valenza giuridica. Realizzata dopo
l’11 settembre dagli Usa, vi hanno trovato posto in realtà tutti i movimenti
che combattono per la libertà dei propri popoli. Successivamente l’Unione
Europea l’ha fatta sua senza neanche discuterla. Il Pkk dal canto suo non ha
mai agito con finalità terroristiche. Ha sempre lottato contro il fascismo,
contro il sistema oligarchico turco per avere riconosciuti i nostri diritti,
Come sapete nel Kurdistan turco vivono più di 25 milioni di persone di etnia
kurda. Tutte queste persone ancora non hanno diritto a parlare la loro lingua o
ad insegnarla. Negli ultimi anni, grazie alla lotta del Pkk, le cose sono in
parte cambiate, e ci sono state delle trattative tra il governo turco e
l’Unione Europea, finalizzate all’ingresso di Ankara in Europa, che hanno
affrontato questo problema. Ma la questione nel suo complesso è ancora ben
lungi dall’essere risolta completamente. Sono in corso dei negoziati tra Ankara
e il Pkk. Potrebbe esserci il primo settembre un invito del presidente Ocalan
rivolto a tutti i militanti del suo partito ad uscire dalla Turchia. E da parte
turca ci potrebbero essere nuove leggi favorevoli ai kurdi. Tornando invece al
nostro ruolo ho letto invece sui giornali che a Sengal sono stati gli americani
a salvare la vita a tutte quelle persone. Ma questo non corrisponde alla
realtà: è stato il Pkk a mettere in salvo migliaia di uomini, donne e bambini. Anche
qui, da Rojava, è stato creato grazie ai guerriglieri di Ocalan un corridoio di
circa 70-
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