Nonostante le continue smentite dell’Akp e
del suo leader Erdogan, lo stretto legame tra l’establishment turco e le bande
jihadiste inquadrate nell’Isis e in altre organizzazioni del fondamentalismo
sunnita, che sono state finanziate, sostenute logisticamente e coperte allo
scopo di indebolire il governo siriano di Bashar al Assad e allungare le mani
di Ankara sulla Siria, scrive Marco Santopadre
di Marco Santopadre – CONTROPIANO
Roma, 25 settembre 2014, Nena News – Lo spazio aereo turco e le sue basi aeree non sono state utilizzate per
gli attacchi militari franco-statunitensi contro gli avamposti e le raffinerie
dell’Isis in Siria. Ci ha tenuto a dichiararlo una fonte del governo turco. “Il nostro spazio aereo a
la nostra base non sono stati utilizzati”, ha precisato in forma anonima il
rappresentante di Ankara
smentendo in maniera indiretta quanto aveva detto l’Osservatorio siriano per i
diritti dell’uomo (Osdh) secondo il quale “degli aerei venuti dalla Turchia”
avevano realizzato gli attacchi.
Nei giorni scorsi Ankara ha chiuso la porta
in faccia a Washington
rifiutandosi non solo di partecipare ai raid contro i jihadisti, ma ha irritato
Stati Uniti e soci anche rifiutando l’uso delle proprie basi per operazioni di
tipo ‘umanitario’. Dopo aver accolto circa 100 mila profughi curdi e siriani
sfuggiti dall’ultima avanzata di terra delle milizie fondamentaliste sunnite, Ankara ha chiuso i
valichi di frontiera e ha mandato poliziotti e militari a disperdere con la
forza i manifestanti curdi e gli sfollati che protestavano. D’altronde è noto,
nonostante le continue smentite dell’Akp e del suo leader Erdogan, lo stretto
legame tra l’establishment turco e le bande jihadiste inquadrate nell’Isis e in
altre organizzazioni del fondamentalismo sunnita, che sono state finanziate,
sostenute logisticamente e coperte allo scopo di indebolire il governo siriano
di Bashar al Assad e allungare le mani di Ankara sulla Siria. Un legame
confermato nei giorni scorsi quando il governo turco ha ottenuto dalle milizie
di Al Baghdadi la liberazione di decine di ostaggi turchi in cambio della
liberazione di alcuni combattenti islamisti che, feriti durante i combattimenti
con le milizie curde o l’esercito siriano, si erano rifugiati in territorio
turco e si erano fatti curare senza problemi negli ospedali delle regioni di
confine con Damasco.
Un rapporto privilegiato tra Ankara e Isis che sta facendo infuriare la guerriglia curda, da
tempo impegnata in un difficile cessate il fuoco con l’esercito turco che a
questo punto potrebbe saltare. Recentemente il movimento di liberazione dei
curdi di Turchia ha accusato il governo dell’Akp di aver avviato una nuova
guerra contro i curdi sostenendo di fatto l’avanzata nel nord della Siria dei
jihadisti dell’Isis. Il consiglio direttivo del
Kck – l’Unione delle comunità del Kurdistan,
una sorta di fronte urbano del Partito dei lavoratori del
Kurdistan (PKK) – ha denunciato che “lo stato
di non conflitto” è stato nei fatti interrotto dalle iniziative del Partito per
la giustizia e lo sviluppo al governo. L’organizzazione curda ha quindi deciso
“di intensificare la lotta in ogni campo e con ogni mezzo per rispondere alla
guerra avviata dall’Akp contro il nostro popolo”. La nota accusa il governo
dell’Akp di approfittare degli sforzi di pace del
leader del
PKK in carcere Abdullah Ocalan, affermando che la tregua è ora “priva di
senso”. La tregua è in vigore da marzo 2013, seppur con varie interruzioni e
violazioni, potrebbe quindi saltare presto. “Di fronte alla politice dell’Akp,
il nostro consiglio esecutivo è stato incaricato di assumere qualunque
iniziativa politica e militare per invalidare le politiche infauste e torbide
contro il popolo curdo” si legge nella nota del KCK.
Già nei giorni scorsi Abdullah Ocalan aveva emesso un comunicato attraverso
uno dei suoi legali esprimendo impazienza circa l’immobilismo dell’AKP nel
processo di pace, accusando Ankara
di essere più disponibile a negoziare con l’Isis che a trattare con i curdi.
Poi il capo militare del
PKK Murat Karayilan, che guida la guerriglia dalla base sul monte Kandil nel
nord dell’Iraq, è andato oltre affermando che “il processo di pace è finito”.
Nena News