October 14, 2014
Intervento di Dilar
Dirik*
Voglio ringraziare le
organizzatrici per questo grande evento e salutare la coraggiosa e storica
resistenza del popolo e in particolare delle donne a Kobane, che stanno
conducendo una lotta per l’esistenza contro l’oscurità del
cosiddetto Stato Islamico e la cui coraggiosa resistenza dovrebbe far
vergognare tutti coloro che stanno in silenzio a guardare o che contribuiscono
attivamente agli attacchi contro la città.
Come molti di voi probabilmente
sanno, dopo gli attacchi di IS a Kurdistan, Siria e Iraq, i media mainstream e
il discorso politico hanno dato attenzione alla resistenza del popolo curdo
contro gli atti brutali e genocidi di IS, e più in particolare al ruolo
delle donne in questa lotta. Il mondo si è accorto della notevole lotta
delle donne curde che hanno preso le armi per combattere il gruppo jihadista
ultra-patriarcale, cosa che viene percepita come inusuale, dato che il
Kurdistan si trova in una parte del mondo che è nota per essere
straordinariamente patriarcale, feudale e sotto il dominio maschile. Il fatto
che queste donne, in una società altrimenti conservatrice, dominata
dagli uomini, combattano militarmente e sconfiggano un’organizzazione
brutale, ha affascinato molti osservatori esterni. Tuttavia affermazioni
sensazionaliste come “IS teme le donne curde perché se uccisi da
una donna non andranno in paradiso” si concentra su elementi superficiali
di una situazione profondamente complessa, ignorando che in questa lotta
c’è più del solo combattimento con le armi, ovvero un
progetto di emancipazione politica più ampio.
Di seguito vorrei parlare di due
sistemi opposti che al momento si combattono in Kurdistan.
L’organizzazione assassina IS con le sue intenzioni, ambizioni e azioni
monopoliste, egemoniche, ultra-patriarcali e repressive è la
personificazione della modernità capitalista. La resistenza e il
movimento delle donne curde che lotta per un sistema di società
alternativa basato sulla modernità democratica, una significativa lotta
per libertà, giustizia e democrazia oltre gli stati-nazione, economia
capitalista e potere egemonico.
Per fare questo prima di tutto
dobbiamo capire gli elementi rivoluzionari delle donne in una società
come quella del Kurdistan che prendono le armi contro un’ideologia
così brutale. Per prima cosa, va capito il significato della lotta
armata delle donne nel contesto dei concetti patriarcali di guerra e
militarismo. Tradizionalmente le donne sono viste come parte delle terre che
gli uomini devono proteggere. La violenza sessuale viene usata come strumento
di guerra per “dominare” il nemico, in particolare dove il concetto
di “onore” viene costruito intorno ai corpi e comportamenti
sessuali delle donne. Le donne militanti vengono accusate di violare la
“santità della famiglia” perché osano uscire dalla
prigione centenaria che è stata loro assegnata. Il fatto ce le donne
curde prendano le armi, simboli tradizionali del potere maschile, per molti
versi è una devianza radicale dalla tradizione. Anche questa è
una ragione per la quale molte donne che lottano, ovunque nel mondo, sono
soggette ad una violenza sessuata, sia come combattenti, che come prigioniere
politiche. Nel contesto delle donne militanti, lo scopo della violenza
sessuata, fisica o verbale, è di punirle per essere entrate in una sfera
riservata al privilegio maschile.
IS ha dichiarato esplicitamente
una guerra contro le donne. Usa sistematicamente la violenza sessuata
attraverso rapimenti, matrimoni forzati e stupro. Strumentalizza la religione
per i suoi scopie sfrutta il concetto di “onore” prevalente nella
religione. Secondo rapporti, migliaia di donne yezide di Shengal (Sijnar) sono
state catturate, vendute nei mercati degli schiavi o “date” agli
jihadisti come bottino di guerra, Questa sistematica distruzione delle donne
è una forma specifica di violenza: il femminicidio.
L’ideologia sciovinista di
IS non solo strumentalizza la religione per i suoi scopi egemonici, ma mira
inoltre a stabilire un sistema di monopolismo completo. (…)
Nonostante il fatto che i media
parlino delle donne al fronte, le motivazioni politiche della loro lotta sono
spesso tralasciate. Per esempio, nonostante le ragioni della militanza delle
donne curde siano molteplici, la maggior parte dei combattenti delle
Unità di Difesa del Popolo (YPG) e delle Forze di Difesa delle Donne
(YPJ) del Rojava (Kurdistan occidentale/Siria settentrionale) che stanno
combattendo IS da due anni, sono leali all’ideologia del Partito del
Lavoratori del Kurdistan, il PKK.
Il PKK nonostante venga definito
“organizzazione separatista”, da tempo è andato oltre i
concetti di stato e nazionalismo e ora sostiene un progetto do liberazione
alternativo in forma di autonomia regionale e autogoverno, il “confederalismo
democratico”, basato su parità di genere, ecologia e democrazia
dal basso, messo in pratica attraverso i consigli popolari. Nelle sedi delle
YPG/YPJ, che ora insieme al PKK aiutano anche le forze dei peshmerga dei curdi
del sud (curdi irakeni) a difendere la regione da IS, in genere si trovano
ritratti di Abdullah Öcalan, l’ideologo del PKK in carcere, le cui
teorie hanno contribuito in larga parte alla liberazione delle donne in
Kurdistan. Il PKK sfida il patriarcato e pratica la co-presidenza, che divide
l’amministrazione in modo paritario tra una donna e un uomo, dalla
presidenza dei partiti fino ai consigli di quartiere e ha quote di genere 50-
L’amministrazione del
Kurdistan occidentale (Rojava) che ha dichiarato tre cantoni autonomi nel
gennaio del
Oppresso e marginalizzato in
molte forme, etnia, classe, genere, il movimento delle donne curde è
consapevole che la libertà deve comprendere tutti gli aspetti della
vita. In questo modo la liberazione delle donne è diventata un prerequisito
nella resistenza curda contro l’oppressione e non sorprende che le donne
in tutta la regione, arabe, turche, armene e assire, partecipino sia alle
unità armate che nelle amministrazioni.
È interessante notare che
nonostante il fatto che il movimento delle donne sembri essere
sull’agenda di oggi, le motivazioni e l’ideologia del movimento
sembrano essere omesse a bella posta. Per esempio mentre alcuni articoli hanno
iniziato ad ammirare il coraggio delle donne che lottano contro il regime e le
forze legate ad Al-Qaeda nel Kurdistan occidentale, gli stessi autori spesso
non citano il fatto che queste donne affermano in modo esplicito che la forza
motrice dietro a questa mobilitazione è l’ideologia di Abdullah
Öcalan, “L’uomo è un sistema. L’uomo è
diventato stato e ha trasformato questo nella cultura dominante. Oppressione di
classe e di genere si sviluppano insieme; la mascolinità ha prodotto il
genere che comanda, la classe che comanda e lo stato che comanda. Se il maschio
viene analizzato in questo contesto, è chiaro che la mascolinità
deve essere uccisa. In effetti, uccidere il maschio dominante è il
principio fondamentale del socialismo. Ecco cosa significa uccidere il potere:
uccidente il dominio unilaterale, la disuguaglianza e l’intolleranza.
Inoltre uccide fascismo, dittatura e dispotismo”.
E che piaccia o meno,
l’ideologia del PKK è un fattore cruciale per raggiungere questo,
Analizziamo gli attacchi a Kobane in questo contesto. Molti attori della
regione, in particolare Turchia, Qatar e Arabia Saudita hanno usato IS per i
propri interessi e per molto tempo gli hanno fornito sostegno militare,
finanziario e politico. Larga parte della comunità internazionale ha
contribuito alla crescita di IS, se non altro con la passività e la tolleranza
silenziosa. IS ha beneficiato dal sistema dello stato-nazione con le sue
implicazioni capitalistiche (…).
In effetti molti sono stati
contrari a chiamare IS “Stato Islamico” perché gli da una
legittimità. Va messa in discussione la validità di questa
affermazione, considerando che IS di fatto prende in prestito tutti gli
elementi oppressivi dell’attuale sistema capitalista, patriarcale,
orientato allo stato-nazione, ma in versione estremista.
Le strutture di autogoverno del
Rojava sono state marginalizzate fin dall’inizio da tutto il mondo. I
curdi sono stati esclusi da Ginevra II, vi sono embargo economici e politici
contro i cantoni. E mentre Kobane è completamente assediata da IS, la
comunità internazione ancora esita, perché
Le donne di tutte le parti del
Kurdistan stanno lottando contro lo stato turco che ha il secondo più
grande esercito della NATO e un governo conservatore che dice alle donne di non
sorridere e di fare almeno tre figli, il regime iraniano che priva le donne dei
loro diritto fondamentali, presuntamente in nome dell’Islam, e gli
jihadisti radicali ai quali vengono promesse 72 vergini quando vanno in
paradiso per le loro atrocità, dichiarando “halal”
violentare le donne del nemico. Ma le donne curde sottolineano che
continueranno a lottare contro il patriarcato in Kurdistan, contro i matrimoni
di bambine, contro i matrimoni forzati, i delitti d’onore, la violenza
domestica e la cultura dello stupro. Per le istituzioni patriarcali, accettare
le donne come alla pari in combattimento, significherebbe mettere in
discussione la loro egemonia. Così per IS, le donne curde combattenti
sono il maggiore nemico.
IS non ha paura delle donne curde
perché meglio equipaggiate o addestrate militarmente, ma perché
l’ideologia di liberazione delle donne ha il potenziale di distruggere
completamente l’egemonia del califfato patriarcale.
IS è solo la forma
attualmente più estrema non solo di oppressione fisica delle donne; ma
cerca anche di distruggere ideologicamente tutto ciò che la liberazione
delle donne rappresenta. La lotta delle donne curde non è solo una lotta
militare contro IS per l’esistenza, ma una posizione politica contro
l’ordine sociale e la mentalità patriarcale alla base
dell’ordine sociale e della mentalità patriarcale. Sfidare le
strutture sociali attraverso la mobilitazione politica e l’emancipazione
sociale, insieme all’autodifesa armata, è un contropotere sostenibile
a lungo termine per sconfiggere la mentalità di IS.
Le donne del Kurdistan si
percepiscono come le garanti di una società libera. È facile
usare adesso le combattenti curde per dare un’immagine simpatetica di un
nemico di IS, senza riconoscere i principi che stanno dietro alla loro lotta.
L’apprezzamento per queste donne non dovrebbe essere correlato soltanto
alla loro lotta militare contro IS, ma anche al riconoscimento della loro
politica, delle loro ragioni e visioni. Se ci sarà una vittoria contro
IS, avverrà per mano delle donne curde.
Dilar Dirik (Ricercatrice
Università di Cambridge)
Roma, 11 ottobre 2014
©
2013 UiKi ONLUS Team
2014-10-14-U
Lotta tra due sistemi
contrapposti, ISIS ( modernità capitalista) e donne (modernità
democratica)