October 19, 2014
ISIS provocatorio mentre la
guerra civile e’ sul punto di arrivare in Turchia: “Erdogan ci ha
aiutato molto, ma ora non abbiamo più’ bisogno di lui.
Un contributo da Istanbul
tratto da ROAR Magazine.
Un’ultima occhiata a Kobane
e vedo due pilastri di fumo salire dal centro della città, subito prima
di essere trascinato via dalla collina con la forza dai soldati turchi nei loro
carri armati. Qualche minuto prima, si odono due forti esplosioni, dopo le
quali nubi di polvere e detriti emergono dagli edifici della
città’, poco al di la’ del confine con
Nonostante i jet e i droni della
coalizione circolino sopra le teste invisibili ma chiaramente distinguibili al
suono, e’ evidente che questi non sono stati attacchi aere: le esplosioni
sono un’area ancora sotto il controllo del YPG/YPJ, ed il fumo e’
diverso da quello normalmente visibile dopo le incursioni aeree.
Ciò’ lascia solo un’altra possibilità': queste erano
le esplosioni dovute a due auto-bomba dell’ISIS volte a scardinare le
difese delle linee curde senza successo.
Subito dopo l’esplosione
della seconda auto – esplosa dall’ISIS o neutralizzata dal YPG/YPJ
– una mezza dozzine di carri armati turchi si riversa di fretta dal
confine verso la collina dove i giornalisti stranieri e gli osservatori locali
si sono radunati per monitorare la situazione. I soldati intimano a tutti,
media compresi, di lasciare la zona. Non e’ data alcuna spiegazione,
così’ facciamo ritorno a Suruç, città’ sul
confine ad otto chilometri di distanza.
Solidarietà’
da un attivista locale
Qualche giorno fa, sul bus che da
Urfa ci riportava a Suruç, un uomo comincia a parlarmi. Dice di
chiamarsi Müslüm, un 31enne attivista curdo della zona di
Suruç, e mi parla del fratello che combatte a Kobane con il YPG.
Müslüm non parla con lui da cinque mesi, perche’ ogni contatti
con qualsiasi membro del YPG a Rojava metterebbe lui e la sua famiglia nelle
condizioni di essere arrestati dalle autorità’ turche.
“Sta combattendo per il
sistema dei distretti, per la libertà’ del popolo curdo e per la
libertà’ di tutti, dice. L’indipendenza di Rojava e’
un problema per
“Il governo mi chiama
terrorista perché’ prendo parola alle proteste che chiedono
democrazia per i curdi. A loro non piace nulla che abbia a che fare con la
libertà’ del popolo curdo. Ma io non li ascolto! Ogni sono attivo
per la causa del popolo curdo. Tutti qui sono come me.”
Il governo turco mantiene
registri di tutti gli attivisti curdi, e il nome di Müslüm appare in
una lista nera, cosicche’ ogni volta che viene controllato dalla polizia
rischia di essere portato al commissariato. Cio’ nonostante mi offre
tutto l’aiuto di cui avrei bisogno e nei giorni seguenti ce la
mettera’ tutta per portarmi nei villaggi che costellano il confine
siriano – villaggi occupati da attivisti solidali, cosiddetti scudi
umani, e non autorizzati agli stranieri.
Discutendo
un’autonomia democratica
Dopo il funerale di sette
combattenti del YPG/YPJ, i cui corpi sono stati trasportati da Kobane in
Turchia per essere seppelliti li’, un numerosa folla si raduna al
quartier generale locale del Partito Democratico delle Regioni (DBP),
simpatizzante coi curdi. Mentre tutti seguono le ultime news su un canale curdo
e bevono te’, Ayse Muslim, moglie di Saleh Muslim – presidentessa
del Partito di Unione Democratica (PYD), e leader de facto di Rojava – si
fa largo e comincia a gridare agli uomini: “Cosa ci fate qui a bere e
guardare
Più’ tardi, nel
villaggio di Measêr, dove in centinaia si sono riversati per vedere dal
vivo l’assedio a Kobane, mi metto a sedere con alcuni uomini alla moschea
del luogo per discutere il loro punto di vista sul sistema dei distretti di
Rojava sulla teoria dell’autonomia democratica di Ocalan. Tra di loro
c’e’ il fratello di uno dei più’ alti comandanti del
PKK, felice di esplicitare le sue idee.
“Il sistema dei distretti
ed il progetto di autonomia democratica non e’ un progetto unicamente
curdo”, dice. L’idea e’ di facilitare la vita comune di
persone di diversa religione, etnia e lingua. Certo, il PKK ha combattuto per
l’indipendenza, ma questo al tempo della guerra civile. Dopo la caduta
del muro di Berlino ed il crollo del blocco socialista abbiamo dovuto capire
che l’idea di un governo per un popolo non era la direzione
giusta.”
Con le esplosioni a Kobane sullo
sfondo più’ uomini si uniscono alla discussione.
“L’anno scorso Barzani (il leader conservatore del Kurdistan
iracheno) ha fatto appello per l’unione del popolo curdo sotto un singolo
governo”, aggiunge uno. “Ma il PKK non e’ d’accordo,
perché’ uno stato così’ sarebbe alla stregua di
quello turco. I curdi hanno religioni differenti e parlano varie lingue. Come
potremmo unirci sotto un singolo governo?”
Tutti concordano con il fatto che,
data la forza dello stato e delle forze armate turche, l’adozione su
larga scala del sistema dei distretti di Rojava e’ ancora in la’ da
venire. Ma vedono l’autonomia democratica come unica alternativa.
“Non vogliamo politici di professione, preferiamo che la gente comune
prenda decisioni sulla propria via, basate sul consenso ed attraverso i
consigli locali.”
Appena fuori il villaggio,
all’ombra della base militare che copre la piccola collina che guarda a
Measêr da un alto ed al confine siriano dall’altro, mi incontro con
Sabri Altinel. Questo veterano del KBP sta chiacchierando con il suo amico
insegnante venuto da Kars a dimostrare solidarietà’ alla gente di
Kobane. Altinel sorride e conviene con me che “tutti qui ora sono anarchici.
Siamo contro l’ISIS come contro lo stato turco”.
Kobane linea rossa
Giorni fa Abdullah Ocalan, il
leader del PKK attualmente imprigionato, ha presentato allo stato turco una
proposta a scadenza per una pace con il popolo curdo. Il testo recitava:
“Possiamo aspettare fino al 15 ottobre, dopo di che non c’e’
nulla che possiamo fare. Loro [le autorità turche] parlano di
risoluzioni e negoziati ma non c’e’ nulla di tutto ciò.
Questa situazione e’ artificiale; non siamo in grado di andare più
avanti”.
Gli uomini di Measêr sono d’accordo,
perché non ne possono più’ della situazione con il governo
turco, che ripropone la questione curda ogni volta che le elezioni sono vicine,
salvo poi dimenticare le promesse quando la pressione si fa alta. Pensano che Ocalan
abbia posto una scadenza cosicché le promesse fatte nei negoziati non
possano essere più posposte – ed alla luce dei fatti di Kobane il
governo sarà costretto a mostrare il suo volto.
“Kobane e’
tutto” dice il fratello del comandante del PKK. “Kobane e’ la
linea rossa: per il PKK, per Ocalan, per i curdi, per tutti. Senza Kobane non
possiamo parlare di nulla”. L’opinione diffusa tra i curdi ed i
loro sostenitori qui al confine e’ che il governo turco abbia a che fare
con l’assalto dell’ISIS a Kobane. Quest’opinione e’
stata confermata da un membro dell’ISIS con cui abbiamo parlato al
telefono a duecento metri di distanza dal confine con
Mentre camminavo per i campi con
il mio amico Murat incontriamo un uno che ci spiega di essere appena fuggito da
Kobane. Ci dice che due giorni prima ha provato a chiamare un amico che
combatte con le Forze di Difesa delle Donne. Ma qualcun altro aveva risposto al
telefono per dirdgli che il suo amico era morto per mano dell’ISIS e che
il suo telefono ora apparteneva a lui.
Murat sprona l’uomo a
comporre di nuovo il numero, e, dopo numerosi squilli a vuoto, la stessa
persona risponde. Il nostro amico parla col combattente dell’ISIS per un
po’ in arabo e poi chiede come si stia comportando il loro amico Erdogan.
La risposta conferma il sospetto di molti: “Erdogan ci ha aiutato molto
in passato. Ci ha dato Kobane. Ma ormai non ci serve più.
La scadenza del 15 ottobre si
avvicina in fretta, e con il confine ancora chiuso al supporto materiale e
logistico ai difensori della città’ curdi, le
probabilità’ di una nuova guerra civile in Turchia aumentano di
giorno in giorno. Gli uomini di Measêr avrebbero preferito una soluzione
politica alla violenza ma sanno che, se il governo turco continua a rimanere
fermo, chiudendo il confine mentre i loro compagni a Kobane continuano ad
essere massacrati dall’ISIS, non avranno altra scelta.
Sembra che la guerra civile
siriana possa esondare in Turchia, non ultimo perché la maggioranza dei
combattenti del YPG a Kobane sarebbero del PKK in aiuto dei compagni siriani il
lotta contro l’ISIS. Mentre emergono nuove notizie di raid aerei turchi
sulle posizioni del PKK nel sud-est del paese, e’ chiaro che il cessate
il fuoco stia per essere rotto.
Così stando le cose, i prossimi
giorni saranno decisivi per il processo di pace turco-curdo. A meno che il
governo turco non faccia improvvisamente un cambio di marcia, aprendo il
confine a Kobane e supportando la resistenza curda contro l’ISIS,
sarà difficile prevenire un’ulteriore escalation di violenza nella
regione.
*Iskender Doğu è uno
scrittore e giornalista freelance, attivista ad Istanbul e redattore di ROAR
Magazine. Su Twitter è @Le_Frique, questo contributo è tratto da
roarmag.org, traduzione a cura di dinamopress.it
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2014-10-19-U Un
Combattente dell’ISIS a Kobane, ‘Erdogan ci ha aiutato molto’