October 27, 2014
di Emanuela Irace –
Un’intervista shock ad una giovane yazida rapita dai terroristi dello
Stato islamico. Lei è riuscita a fuggire, le altre donne della sua
famiglia sono rimaste prigioniere degli jihadisti.
Ci sono dolori troppo forti per
essere raccontati. Le immagini ricompaiono. E la paura toglie il fiato.
Difficile riuscire ad esprimere sentimenti, specie se hai solo diciassette anni
e il tuo paese è in guerra. Una guerra asimmetrica. Preparata
minuziosamente dall’estremismo islamico quasi un decennio fa. È il
2006, l’anno in cui la cellula irachena di Al-Qaeda si salda con lo Stato
Islamico dell’Iraq. Il movimento nato per unificare sotto una unica sigla
la galassia jihadista post Saddam Hussein. Ma il salto di qualità
è nel 2010, quando Abu Bakra al-Baghdadi trasforma lo scacchiere siriano
nella piattaforma del terrorismo internazionale finanziato da comparti
geo-politici antagonisti. Ad agosto lo sceicco proclama lo Stato Islamico della
Siria del Levante e dell’Europa sud occidentale. Conosciuto in Italia
come ISIS. È l’inizio della fabbrica del terrore.
Il califfato tra Siria e Iraq
sembra diventare un problema da affibbiare nel 2017 al prossimo inquilino della
Casa Bianca. E la recente coalizione più un’operazione di facciata
che una reale deterrenza. Politicamente la forza della barbarie, che negli
ultimi mesi ha spazzato via intere comunità è un coacervo
inestricabile. Alla volontà di riscatto sunnita verso gli sciiti –
saliti al potere in Iraq in seguito all’invasione statunitense del 2003
– c’è il solito corollario. Il controllo delle risorse
energetiche e la suddivisione della rendita petrolifera. Il resto è
cronaca di questi giorni. Cronaca di guerra. Come per il Rojava, dove i kurdi
difendono da mesi il proprio territorio e la città di Kobane. Diventata
simbolo di resistenza per tutte le minoranze. Yazidi e cristiani compresi.
Popolazioni perseguitate e massacrate sotto lo sguardo silenzioso della
comunità internazionale. È l’emergenza profughi. Un milione
e mezzo solo nella regione autonoma del Kurdistan Iracheno.
Abasha è yazida. Ha i
capelli lunghi e il fisico minuto. Fino a due mesi fa viveva a ovest di Mossul.
In un villaggio a pochi chilometri dal confine con
Ti ha aiutata qualcuno?
“No. Ho fatto tutto da sola”
Hai elaborato un progetto di fuga e in che modo sei riuscita a
scappare?
“Avevo notato che il momento migliore era durante la cena. C’era
più confusione e meno controllo. Una sera ci siamo messi a mangiare alle
otto. Eravamo in tanti. Ho preso qualcosa, del cibo, e mi sono sporcata le
mani. Ho chiesto di andare al bagno per lavarmele. Invece sono entrata in una
stanza dove c’erano tutti i niqab, i veli neri preparati dai jiadisti per
la nostra conversione, ne ho indossato uno e sono uscita. Ho corso e sono
entrata in una casa. Ma quando hanno capito che ero una delle ragazze rapite mi
hanno mandata via. Allora sono andata in un altra casa. E loro mi hanno
aiutata. E adesso sono qui. Ma le altre donne sono ancora prigioniere”.
Cosa succede alle donne sequestrate?
“Donne e ragazze sono vendute al mercato. Vengono portate in
Siria…”.
Abasha non se la sente più
di proseguire. “Può raccontarti lui” mi dice indicandomi
l’interprete, “lui lo sa. Era presente quando sono arrivata qui. Sono
passati pochi giorni e per me è troppo doloroso. Troppo faticoso
parlare..”. L’interprete è un ragazzo giovane. Mi dice che
quando Abasha è arrivata al villaggio è stato straziante. Ha
raccontato di una bambina violentata da 20 soldati. E la paura che potesse
succedere anche a lei. E poi la fuga. E le botte. Dice che lei non è
stata violentata. Ma non riesce più a dormire e ha smesso di sorridere.
Ha il terrore che possa succedere qualcosa alle donne della sua famiglia.
Quanto costano e a chi vengono vendute le donne rapite?
“I prezzi variano dai 30.000 dinari ai 200 dollari. Ma adesso non valgono
più niente. Spesso vengono cedute e basta. O usate dai soldati dello
Stato Islamico. Abasha non è stata valutata. Ma è stata
trattenuta, il suo prezzo sarebbe stato 200 dollari. Quelli che le comprano
sono capi di tribù arabe e gli sceicchi delle Monarchie del Golfo
.”
La comunità yazida accoglie queste ragazze?
“Adesso le accoglie. Prima sarebbe stato diverso. Meno di un mese fa
Babasher, uno dei capi della comunità yazida responsabile del Consiglio
Religioso, ha detto pubblicamente che bisogna rispettare le ragazze rapite. Ha
anche parlato di aiuti psicologici e ha chiesto l’appoggio di
associazioni europee”.
Abasha si alza in piedi e mi saluta. Si è fatto tardi anche per noi. Le
dico di essere forte. Annuisce senza sorridere. Poi mi abbraccia.
NOIDONNE
©
2013 UiKi ONLUS Team
2014-10-27-U
Il prezzo di una donna al
mercato del terrore