October 29, 2014
di Silvia Todeschini –
C’è sempre qualcuno che guarda verso Kobane, di giorno, di notte.
Qui sono tutti specialisti: riconoscono se a sparare è la resistenza
delle Ypg e Ypj o i fascisti dell’isis dal suono delle armi. Quasi tutti
noi che dormiamo nel villaggio di Masl abbiamo qualche conoscente o amica/o
dall’altra parte, ci sono molte madri in attesa dei figli e delle figlie.
Ieri sera, vicino al fuoco, una
profuga di Kobane, dopo aver scherzato sugli strani giochi della sorte che
hanno fatto si che il minareto del suo quartiere crollasse sulla casa
dell’unica famiglia cristiana, mi ha detto: “da quando sono uscita,
sono stata a Suruc e a Urfa, e poi però sono tornata qui, che sono
più vicina a Kobane, mi sembra di respirarne l’aria, qui quasi mi
sento a casa. Quando Kobane sarà libera vieni che ci entriamo assieme?
Ti ospito a casa mia! Però prima devi imparare il curdo, così
quando entri parli con tutti.”
Una volta qui è arrivata
una cattiva notizia. Una madre piangeva ed era vicina allo svenimento dal
dolore. Una volta sola però: qui, quello che vedo, è una ferma
volontà: noi vogliamo vincere. Noi vogliamo liberare Kobane. Per poter
liberare Kobane, dobbiamo essere sicuri che ce la faremo. Dobbiamo portare
ottimismo. Quindi solo buone notizie, per favore: per le cattive notizie ci
sarà sempre tempo. Il morale è alto, il sorriso è sempre
pronto. Però gli occhi girano ancora verso la città di Kobane, ad
ogni bomba, ad ogni sparo. Ad osservare il fumo che sale, a non sapere chi
possa essere rimasto sotto le macerie, a sperare per il ritorno alle proprie
case, o a quello che ne rimane.
Intanto, coloro con cui parlo, si
raccomandano che dica alcune cose alla gente in Italia, che le metta in chiaro,
che si sappia. E principalmente, riguardano il fatto che
E, nonostante questo, Kobane
resiste.
Mi è stato mostrato l’originale di un video, direttamente dalla
telecamera, di alcuni soldati turchi che chiacchierano con combattenti
dell’ISIS. (chi me lo ha mostrato lo aveva dato alla televisione locale
che lo ha trasmesso la sera stessa, è finito anche sul giornale tedesco).
Gli stessi soldati turchi che tengono il confine chiuso per i e le combattendi
del YPG – YPJ. Gli stessi soldati turchi che sparano ai curdi quando (per
le loro vie) tornano da Kobane, come mi raccontava Ali. I soldati della Turchia
alleata con l’occidente. Kobane è chiusa da 3 lati
dall’ISIS, e dal quarto dai turchi, e i curdi qui si sentono abbandonati
dal mondo: anche per questo è importante la solidarietà
internazionale e la scadenza del 1 novembre.
Sembra che invece un certo
cambiamento reale sul campo sarà dovuto alle armi portate dai Peshmega.
Su una cosa sono tutti d’accordo, che saranno armi utili, e che il fatto
che arrivino è un buon aiuto alla Resistenza: sia perché sono le
armi giuste, che perché contribuisce ad alzare il morale e trovare
motivazione a continuare. Dopodichè, chiaramente a livello politico
questo gesto viene letto in diverse maniere: c’è chi punta
l’attenzione sull’importanza dell’unità del popolo
curdo, e quindi sull’importanza che ha questo gesto di collaborazione, e
c’è chi afferma che Barzani (il leader del movimento a cui fanno
riferimento i Peshmerga) accetti supinamente quello che gli Stati Uniti gli
dicono di fare: per questo inizialmente non ha combattuto contro l’ISIS
quando è entrato nel Kurdistan iraqeno; per questo, ora che ha accettato
di portare le armi in aiuto delle YPJ-YPG è perché gli Stati
Uniti hanno deciso di porre fine a questa loro ennesima creazione (l’ISIS
viene paragonato ad Al Quaeda e Saddam Hussein) e Barzani può sfruttare
questo come propaganda.
Ieri è arrivata
un’altra ondata di profughi da Kobane: 150 l’altroieri sera e poi
altri il giorno dopo. Ora i turchi li lasciano passare ma non lasciano che si
portino dietro le automobili, e alcuni rimangono fermi al confine in attesa.
Sono stati portati nei campi, dove sono state allestite le tende e dove
troveranno qualche cosa da mangiare: i volontari che si occupano di questo sono
per la maggior parte giovanissimi. Intanto, Kobane resiste. Dentro,
c’è qualche migliaio di civili (qualcuno dice 2000, qualcuno
5000), chiusi in casa nelle zone sotto controllo curdo, senza acqua,
elettricità e con cibo scarso; e qualche migliaio in più di
combattenti (qualcuno dice 8000, qualcuno 4000), uomini e donne. E questo
particolare che ci siano anche le donne, lungi dall’approccio occidentale
per cui i loro volti diventano “fashon”, è per loro davvero
importante: è un’affermazione della libertà femminile non
solo nei confronti dell’ISIS che vende le donne e le tratta come schiave,
ma anche nei confronti del nostro occidente, dove spesso la donna viene
oggettificata e valutata per il suo corpo, più che per le sue azioni.
L’orgoglio negli occhi di queste donne, la loro fierezza e ostentato
buonumore, sono cose che insegnano davvero molto al nostro mondo composto
spesso da bambini viziati in la con gli anni. L’altro giorno, ad esempio,
ci sono state diverse esplosioni causate dall’ISIS. La sera, abbiamo
gridato slogan più forte del solito, perché stando a pochi km da
Kobane sapevamo che di la i combattenti curdi ci sentivano, e speravamo di dar
loro un po’ di supporto. Dopo, abbiamo ricevuto una telefonata da una
combattente che si trovava li: diceva che l’autobomba che avevamo sentito
non aveva fatto nessuna vittima e che le case bombardate erano vuote. Che
sarebbe cambiato tutto, che la resistenza curda avrebbe vinto. Solo buone
notizie. Perché fino a che Kobane non sarà libera, non possiamo
perdere la forza e la certezza di farcela. Ieri ci sono stati 5 funerali,
più o meno nella media, ma qui, per questo, non ne parlerò. Prima
che cada Kobane, cadrà Istanbul.
Qui siamo davvero pochi
stranieri, a parte i giornalisti. Ci sono diversi turchi qui in
solidarietà, ma da fuori
di Silvia Todeschini
http://libera-palestina.blogspot.com.tr/2014/10/guardando-kobane.html
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2014-10-29-U
Guardando Kobane