Kobane is not alone
4 / 11 / 2014
Suruc è una cittadina di 100.000 abitanti nel kurdistan turco.
Dopo l'avanzata dei tafkiri dell'Isis, sono stati aperti una decina di campi
profughi aumentando la popolazione di altri 150000 rifugiati: due di questi sono gestiti
direttamente dal governo turco, ospitano le popolazioni siriane e non è
consentito accedervi. Gli altri otto sono gestiti dalla municipalità di
Suruc, ospitano le popolazioni kurde scacciate dall'isis e non è stato
facile, emotivamente parlando, entrarci.
Quando si entra nella cittadina di
Suruc, nella piazza centrale si erge un monumento raffigurante una mano che stringe un melograno,
frutto simbolo di questa terra e anche di questo periodo. Tant'è che
anche di fronte alla piazza c'è dipinto un altro melograno aperto in due
su una parete gigante. Questo bellissimo frutto, a nostro avviso, contiene in
sé l'essenza e la sintesi del quadro politico e sociale che i kurdi
vivono attualmente e lo utilizzeremo come metafora per
raccontare questo secondo giorno di carovana che stiamo cercando di avviare al
meglio delle condizioni possibili.
Prendiamo la nostra giornata e
dividiamola in due, come quando si spacca il melograno: da un lato c'è
la buccia che brilla di un amaranto irregolare e lo scrigno bianco, dall'altra,
all'interno, custoditi come perle preziose, ci sono i chicchi.
L'amaro della buccia lo abbiamo
assaporato questo pomeriggio quando siamo
entrati all'interno dei campi profughi per distribuire i dolci
ai bambini. Vedere centinaia di loro correre, a volte scalzi
e magari senza genitori, aggrapparsi alle nostre braccia e riuscire comunque a
ridere, vederci come un'ancora che distribuisce sicurezza, per noi che non
c'è mai capitato di entrare in questi luoghi è stato qualcosa che
ci ha lasciato senza parole e con le lacrime agli occhi. Distribuivamo
delle merendine che per i nostri figli sarebbero state banali, eppure per loro
erano un tesoro che fermava le lacrime e apriva un sorriso che si estendeva
immediatamente ai loro occhi. Quando abbiamo finito di distribuire i dolcetti,
siamo stati invitati ad entrare in una tenda per bere il tradizionale cay , il the che si beve ad ogni ora della giornata. In una
tenda di otto mq saremmo stati in più di quindici; seduti in cerchio via
hanno servito il cay e poi le donne hanno cominciato a intonare dei canti
tradizionali ed altri che inneggiavano a Kobane e a tutta la resistenza kurda.
A volte diventa facile capire una lingua che non si conosce, e le donne e gli
uomini kurdi in questo sono maestri.
Quando siamo usciti da quegli
accampamenti ci siamo diretti verso la postazione dove partono gli autobus per Mehser, il villaggio dove siamo
ospiti, e quelli per Kobane. Nei secondi abbiamo visto
tantissimi giovani ragazzi e nei loro occhi abbiamo intuito la fierezza e la
determinazione di chi magari ha anche perso tutto, ma sa benissimo
perché e contro chi si combatte: contro chi ha distrutto i propri
villaggi e ucciso i propri cari e per un'idea nuova di libertà ed
autonomia che si chiama Rojava. Ed è proprio il Rojava, Kobane e
tutti villaggi liberi dei kurdi a comporre quel mosaico dei fantastici chicchi
che trasformano l'amaro della buccia nel sapore unico dell'autonomia.
Stamattina sul confine fra Mehser e Kobane abbiamo sentito il
rumore dell'artiglieria, l'odore della polvere da sparo e abbiamo riconosciuto
il sapore del melograno. Perché se come crediamo questo mondo
va ricostruito, bisogna farlo a partire dall'esempio che queste donne e questi
uomini danno all'umanità.
E allora: che la lotta
continui, che il simbolo della vittoria si posi su Kobane, che il Rojava si diffonda, che i melograni
diventino anticorpi contro l'ignoranza e le malvagità di questo mondo!
Lunga vita alle ribelli e ai ribelli di tutto il mondo!
Roberto Cipriano, cso Labàs
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2014-11-04-GP Viaggio a Suruç, Il melograno del Rojava