La
solidarietà per i combattenti kurdi in Siria è forte e aumenta
proporzionalmente alla durata dell’assedio islamista a Kobanè. Ma l’appoggio
per la città assediata è minimo: i 150 peshmerga sono troppo pochi.
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Diyarbakir, 4 novembre 2014, Nena News – Il sole
tramonta, la tensione sale. Nella città vecchia di Diyarbakir succede ormai
quasi ogni sera, dal 7 ottobre scorso quando scoppiò la rabbia kurda
per l’apatia di Ankara
verso Kobane. «Non si passa, la polizia ha chiuso la strada», ci dice
un’anziana signora mentre accende un fuoco nella piccola piazza a ridosso delle
mura. Qualche scaramuccia, i poliziotti che intervengono e chiudono con le
transenne e un paio di auto l’ingresso in città vecchia. Dopo mezz’ora torna la
calma.
«Durante i giorni di coprifuoco, all’inizio
di ottobre, la situazione era esplosiva – racconta al manifesto Bilal,
attivista del movimento politico kurdo – La polizia lanciava i lacrimogeni
nelle case, la notte non si dormiva. Da allora il governo ha dato piena
autorità ai poliziotti: lo chiamano ‘ragionevole sospetto’. Se ritengono che
possano esserci proteste, hanno mano libera. Ne approfittano per provocare la
gente e avere poi la scusa per reprimere: chiudono le strade, fermano qualche
giovane, perquisiscono le abitazioni».
Nei discorsi di tutti resta però una parola
fissa: Kobane. Nelle tv la metà dei notiziari è dedicata
alla battaglia al di là della frontiera, alla radio passano canzoni che
celebrano il Kurdistan unito. La
solidarietà per i combattenti kurdi in Siria è forte e aumenta
proporzionalmente alla durata dell’assedio islamista. Che ieri ha
ottenuto ulteriore sostegno: il Fronte al-Nusra, formazione qaedista oggi
vicina all’Isis, si è ammassato nella cittadina di Sarmada, a soli 6 km dallo strategico
passaggio di frontiera di Bab al-Hawa tra Siria e Turchia. L’eventuale presa di
Bab al-Hawa avrebbe conseguenze nere per la coalizione guidata dagli Usa che da
quella frontiera ha finora sostenuto le opposizioni moderate al regime di
Assad.
La situazione volge al peggio soprattutto
dopo la presa da parte di al-Nusra di un’altra città, Khan al-Subul, e di altri
villaggi nella provincia nord-occidentale di Idlib, prima in mano ai moderati del movimento Hazm e
dell’Esercito Libero Siriano, che già la scorsa settimana aveva perso il
controllo di alcune comunità a favore dei qaedisti.
Insieme ai villaggi, al-Nusra si è
impossessato anche di armi consegnate ai gruppi anti-Assad da Washington, tra cui missili anti-carro. Se
questo è il sostegno di cui gode il califfato, quello a favore di Kobane è
minimo: i 150 peshmerga sono troppo pochi e resteranno – come detto dal primo
ministro del Kurdistan iracheno, Nechervan Barzani – solo «temporaneamente» a
sostegno della resistenza di Rojava. Nessun ruolo politico futuro, ha messo in
chiaro il premier, nessun successivo discorso unitario.
A Diyarbakir
qualcuno storce il naso: c’è chi addirittura sostiene che un gruppo di
peshmerga abbia approfittato del
viaggio in Turchia per disertare, altri li chiamano «inutili cowboy con i Ray
Ban». Non faranno la differenza, soprattutto contro il
potenziale militare islamista. Tra le file militari kurde, ha aggiunto poi
Barzani, ci sono anche peshmerga contrari all’avventura siriana e che
vorrebbero concentrarsi sulla ripresa delle città occupate in Iraq, lamentando
l’assenza del governo di Baghdad. Il premier al-Abadi vive un
periodo nero: i massacri contro le comunità sunnite che si sono
sollevate contro l’Isis proseguono con numeri senza precedenti insieme agli
attacchi suicidi. Ieri un’autobomba è esplosa nel quartiere sciita di Sadr
City, nella capitale, uccidendo 23 persone durante la tradizionale processione
al-Husseiniya della settimana dell’Ashura, festa religiosa sciita. Domenica
un’altra marcia era stata target a sud di Baghdad:
31 morti. Nena News
Entrambi gli attacchi sono stati rivendicati
dall’Isis. Ma nel mirino del
califfato non ci sono solo gli «apostati» sciiti. Ci sono anche i sunniti che hanno
preso le armi contro l’avanzata islamista. Dopo le stragi della scorsa
settimana nella provincia di Anbar, nuovo bersaglio è la tribù di Albu Nimr:
oltre 200 i civili giustiziati in pochi giorni. Numeri da far tremare qualsiasi
governo, tanto più quello di Baghdad incapace di difendere la popolazione,
sunnita e sciita. Nena News