November 05, 2014
Da alcune settimane il gruppo
Stato Islamico – IS – sta conducendo un assalto alla città
di Kobane, situata in territorio siriano a breve distanza dalla frontiera con
In primo luogo traspare che
proprio le autorità siriane non sono in grado di agire con determinante
efficacia nell’area; dispongono di forze logorate dal conflitto interno,
che perdura dal 2011, e preferiscono pertanto concentrarle a difesa di punti
nodali per la conservazione del potere, come ad esempio la capitale Damasco. Bashar
Al-Assad non sottovaluta la pericolosità di IS, ma è anche
consapevole della dispendiosità di eventuali sforzi su vasta scala per
contrastarne l’espansione, dal momento che IS dispone di ingenti risorse,
sia in termini di uomini che di armamenti, e appare anche in grado di muoverle
sul terreno con rapidità, tanto in territorio siriano quanto in
territorio iracheno.
Kobane si trova in un’area
della Siria settentrionale abitata prevalentemente da curdi, teatro da luglio
2012 di un’esperimento di amministrazione autonoma su base cantonale.
Tale area è ormai nota come Rojava. La visibilità internazionale
del Rojava è emersa soprattutto a seguito dell’offensiva di IS
contro Kobane, ma anche di un altro fattore. Nell’avvicinamento alla
città IS ha agevolmente conquistato decine di villaggi circostanti,
grazie alla preponderanza dei suoi mezzi bellici, ma a Kobane è
incappato nella resistenza valida e tenace dei curdi, organizzati da tempo in
Siria in un movimento di autodifesa denominato YPG. Pur sotto attacco sulle vie
d’accesso alla città da est, da sud e da ovest, i curdi hanno
comunque resistito all’offensiva, che in particolare nel periodo dal 6 al
14 ottobre è stata particolarmente violenta; e la loro resistenza ha
contribuito a catalizzare l’attenzione internazionale.
Dall’attenzione
all’intervento il passo è tutt’altro che breve. Gli Stati
Uniti a lungo si sono dimenati in sforzi per organizzare una coalizione di
Paesi, sia europei che del mondo arabo, disposti a contrastare IS con attacchi
aerei; inizialmente l’obiettivo era indebolire IS in Iraq, con riluttanza
a intervenire colpendone le postazioni in Siria, per evitare di concedere un
qualsiasi vantaggio all’ormai inviso Bashar Al-Assad. Tuttavia le
circostanze hanno indotto in ottobre, pur con ritardo e dopo lunga esitazione,
a paracadutare armi e munizioni per agevolare i difensori di Kobane e poi a
colpire con attacchi aerei i militanti dell’IS che assediano la
città.
L’esitazione statunitense
è da ricondurre a una valutazione geopolitica della spinosa situazione
geopolitica nell’area. Washington comprende l’ingente
difficoltà di uno sforzo, pur necessario, volto a sradicare un gruppo
come IS, pericoloso in quanto non si limita ad azioni di stampo terroristico ma
compie anche azioni di tipo militare e tende altresì a prendere il
sopravvento su tutti gli altri gruppi impegnati nella ribellione contro
Damasco. Washington vorrebbe pertanto che l’agire contro IS rientrasse
nel quadro di una strategia complessiva, volta a disegnare un futuro equilibrio
nell’area.
Tale strategia fatica a
delinearsi, e sembra unicamente possibile scorgere un chiaro obiettivo finale:
salvaguardare l’integrità territoriale tanto della Siria quanto
dell’Iraq, che però appare già alquanto compromessa proprio
per effetto delle violente scorrerie dell’IS!A fronte di ciò
Kobane sembrerebbe insignificante; tuttavia diventa necessario contribuire a
difenderla per contrastare le mire principali di Stato Islamico: il perdurante
accanimento su Kobane garantisce a IS visibilità mediatica mondiale e
pertanto agevola gli sforzi volti a reperire nuove reclute desiderose di
partecipare a un possente sforzo jihadista; inoltre, un’eventuale
conquista di tale città potrebbe agevolare un tentativo di IS di creare
un corridoio di collegamento più rapido fra i propri militanti impegnati
nella zona di Aleppo e il quartier generale di Raqqa.
Come contrastare tutto
ciò? I Paesi occidentali, Stati Uniti in testa, vorrebbero fare
affidamento sulla Turchia: si tratta di un Paese della NATO, del resto, che ha
una lunga linea di confine tanto con
Come spiegare la protratta
riluttanza da parte turca? Il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine
Zeitung, in un commento del 10 ottobre, ha parlato sin dal titolo di
“Assioma di Ankara”. Tale assioma consiste nella volontà
turca, soprattutto di fronte ai Paesi occidentali alleati, di evidenziare la
necessità di una strategia comune, prima che
Tuttavia, non è pensabile
un’iniziativa volta a esautorare Al-Assad senza ricorrere a truppe
terrestri: gli Stati Uniti, in particolare, non guardano a tale ipotesi con
favore poiché i tempi di realizzazione non sono prevedibili con
esattezza; inoltre, incide sulla loro valutazione delle opzioni strategiche la
rilevante preoccupazione che riguarda il rischio di disgregazione territoriale
dello stato siriano. Pertanto le scelte strategiche di Washington e Ankara.
appaiono destinate a collidere.
Ankara non considera strategica
la difesa di Kobane; il Presidente turco Erdogan ha espressamente dichiarato,
alcune settimane orsono, di considerare alla stessa stregua, come gruppi
terroristici, tanto Stato Islamico quanto il PKK: ben sapendo che il PKK
già da tempo reca aiuto ai curdi siriani impegnati nella difesa della
città dall’assalto dei militanti di IS. Tuttavia, Ankara si
scontra con una nuova “dura realtà”.
In agosto, i guerriglieri
dell’HPG, braccio del PKK, hanno collaborato con l’YPG per la
creazione di un corridoio umanitario nell’estremo nord-ovest della Siria,
ai confini con l’Irak: esso ha costituito una via di fuga e di salvezza
per migliaia di Yezidi che erano asserragliati sul Monte Sinjar, in Irak, per
tentare di resistere a loro volta all’assalto sterminatore dell’IS
nei loro confronti. Ciò ha suscitato un’ondata emotiva di sdegno
in molti Paesi occidentali, per il fatto che il PKK è tuttora inserito
in varie liste di organizzazioni terroristiche, pur se ha dimostrato di saper
agire, con prontezza ed efficacia, a fini umanitari.
Scagliarsi, anche solo
verbalmente, in maniera dura contro il PKK, che tuttora aiuta i curdi siriani,
è una mossa rischiosa: unitamente alla protratta riluttanza turca a
recare aiuto agli abitanti di Kobane, ciò potrebbe pregiudicare il buon
esito dei colloqui di pace che le autorità turche hanno intrapreso lo
scorso anno con il PKK, proprio in una fase come quella attuale, in cui l’attenzione
internazionale all’area mediorientale è notevole. Si tratterebbe
di uno smacco ingente e il conflitto turco-curdo divamperebbe nuovamente: solo
in parte Ankara potrebbe, a fronte di tutto ciò, recuperare il buon nome
per il fatto di aver consentito a 150 peshmerga di partire dal nord
dell’Iraq, attraversare alcune province anatoliche e giungere a inizio
novembre in aiuto ai difensori di Kobane.
Come si evince agevolmente da
tutto ciò, IS è incappato a Kobane in una resistenza, forse
inattesa, il cui prolungarsi ha messo in luce una serie di rilevanti aspetti
strategici: la resistenza – in lingua curda – ha certamente un
inestimabile valore simbolico, per tutti i curdi; il suo protrarsi sta
assumendo altresì importanza sempre maggiore, per il destino
dell’intera Siria e per il futuro equilibrio geo-politico mediorientale!
DIROK
© 2013 UiKi ONLUS Team
2014-11-05-U Berxwedan a Kobane valore strategico di una resistenza