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Le opportunità della storia nel Rojava

05 Novembre 2014. -

di CAN EVREN

Come è possibile sentir parlare, a livello internazionale, della questione del Rojava come di una lotta che rappresenta qualcosa che non riguarda la sola regione del  Rojava e i curdi? Questa è la domanda di partenza per questo breve intervento. Perché oggi bisogna discutere di questo per mettere in discussione alcune delle rappresentazioni dominanti di ciò che sta succedendo a Kobane e in generale nel Rojava. Sfortunatamente, ma senza che ciò sorprenda, i media mainstream internazionali hanno ripetutamente ridotto la situazione a Kobane come a una lotta contro l’estremismo. Una narrazione che abbiamo già conosciuto in numerose altre occasioni nel corso dei decenni di guida statunitense nella linea politica in “Medio Oriente”, e che principalmente descrive la regione come attraversata da settarismi etnici o dalla contrapposizione tra radicali/estremisti e moderati. Ovunque volti lo sguardo, questa lente vede una lotta lungo queste due linee.

Conosciamo bene questa narrazione. Dopo il 1990 ha presentato quella che potremmo definire una divisione del lavoro sul piano globale tra tipi di conflitti. È come se una parte del mondo, il cosiddetto “Medio Oriente”, potesse essere solo luogo di un certo tipo di conflitto: un grande conflitto tra forze secolari e religiose, tra conservazione e progresso, attraversato da settarismi etnici. Come se tale ambito geografico non potesse sostenere richieste politiche di riorganizzazione sociale ma solo impantanarsi in divisioni specifiche alle proprie particolarità culturali oppure essere politico solo nel senso di rovesciare un regimi e fondarne uno nuovo. La rivoluzione del Rojava, però, va avanti dal 2012, e ha scritto il suo contratto sociale in un’altra direzione. NeL’atto costitutivo del Rojava”, la popolazione presenta se stessa e la propria cooperazione morale e sociale in termini molto differenti da quanto è stato, in modo reiterato, immaginato dai media mainstream o dalle strutture politiche. Ed è attraverso questi nuovi modi della solidarietà sociale che vogliamo sentir parlare del Rojava.

Voglio aggiungere qualcosa sul perché, a livello internazionale, deve essere questa la nostra priorità nel sentir parlare del Rojava. Il suo atto costitutivo rappresenta un importante avanzamento poiché delinea una nozione coerente dei diritti sociali e dei principi di un sistema socio-politico di democrazia funzionale. Mentre i media mainstream svuotano ripetutamente i conflitti del loro contento sociale, riducendoli a un racconto costruito attraverso le categorie del paradigma di sicurezza. Nel senso che, la regione del Rojava è rappresentata solo come una forza di opposizione all’ISIS. Cosa che rivela la prospettiva di una politica estera che vede la regione come una zona cuscinetto e non come un mondo sociale a se stante. Dobbiamo combattere contro questa narrazione così come contro la brutalità dell’ISIS perché cancellare il contenuto sociale di questa lotta rivoluzionaria vuol dire bloccare ogni possibilità di immaginare e creare, nella regione e non solo, un sistema sociale pluralista, genuinamente democratico e egalitario. 

Per esempio, la rivoluzione del Rojava propone un approccio nuovo alla questione di genere. Libera dalla dicotomia secolare-religioso il discorso di liberazione delle donne nella regione, a lungo imprigionato dentro queste due prospettive differenti, comunque orientate a ricostituire il controllo patriarcale. L’atto costitutivo del Rojava affronta, invece, il patriarcato in modo diretto, ponendo il conflitto sociale sul terreno del genere come un asse di lotta irriducibilmente autonomo ma più complessivamente parte della liberazione generale della società. La divisione del lavoro e la partecipazione politica diventano principi centrali da mettere in discussione e ripensare su base egualitaria — è respinta la divisione sessuale del lavoro e la partecipazione politica delle donne è garantita da uno stretto sistema di quote. Vengono realizzati nuovi modelli formativi come l’Accademia delle idee femminile che produce una filosofia della liberazione delle donne.

Un altro esempio da discutere è come la rivoluzione del Rojava intende la parole “democrazia.” Nell’atto costitutivo, la democrazia è estesa oltre l’eguaglianza formale rispetto alla legge fino a includere l’eguaglianza sociale. Il processo democratico e politico non è ridotto al voto ma include la partecipazione attiva ai consigli nei quartieri, nelle città e nei cantoni, e si estende tra il piano locale e quello translocale. In modo simile, l’indipendenza economica non significa la delega degli obiettivi di sviluppo a un borghese nazionale ma presuppone una società fondata sull’associazione dei lavoratori organizzati in consigli, e la riorganizzazione della divisione del lavoro tra i sessi, le professione e attraverso le altre linee di gerarchizzazione. Anche l’economia assume l’obiettivo di trasformare le strutture di proprietà da private in comuni, con tutte le risorsi naturali sotto la proprietà comune. Tutti questi esempi fanno del Rojava una rivoluzione sociale oltre e al disopra della mera dimensione politica; è un nuovo modello di società, di economia e di politica. Nel senso che il Rojava da forma a un nuovo modello di solidarietà sociale che costruisce le sue strutture della rappresentanza attraverso il proprio sistema politico, in contrapposizione a molti stati-fantoccio nella regione che hanno una rappresentazione diplomatica senza che questa corrisponda a nuovi modelli di solidarietà sociale. Inoltre, rende il conflitto e l’eguaglianza non riducibili a un conflitto interno contro un nemico esterno, ma riconosce la natura necessariamente antagonista del mondo sociale e costruisce meccanismi atti a combattere le forme interne di gerarchia lungo le linee di genere, classe, etnia e religione.

Nel condividere con il resto del mondo il suo atto costitutivo, il Rojava non chiede solo “aiuto” internazionale, ma chiama all’azione tutti i movimenti egalitari del mondo. Da questa prospettiva, il Rojava va visto alla luce della più complessiva riorganizzazione socio-politica che il suo atto esprime. E la lotta a Kobane e nel Rojava può essere rappresentata oltre l’idea di falsi – ed egemonici – conflitti binari come tra curdi e arabi o tra religioso e secolare. In questo modo il Rojava entra a far parte della storia di quelle lotte definite primariamente dagli ideali che sostengono e dalla nuova società che immagino. Ed è per questo che uno dei comandanti della forza per la difesa popolare di Kobane (Popular Defense Forces of Kobane) ha definito la resistenza come “la difesa di Stalingrado”, uno delle più simboliche lotte contro il fascismo del ventesimo secolo, che diventa momento importante nella solidarietà internazionale anti-fascista. O perché l’antropologo David Graeber, quando parla di Kobane, ricorda correttamente la comunità internazionale nella tradizione della guerra civile spagnola. Kobane è molti luoghi e molti tempi. Sebbene combattuta sotto condizione più dure e in modi differenti, può valere l’idea che la rivoluzione del Rojava si mescoli alle altre lotte per la trasformazione sociale sul piano globale che sono inclusive e per la trasformazione sociale su livelli multipli (classe, genere, etnia) e non particolaristiche e meramente conflittuali. Ed è per questo che è nostro dovere evidenziare il contento sociale della rivoluzione del Rojava, e il suo carattere sovversivo rispetto alle multiple forme di sfruttamento e oppressione.  

Per chiudere voglio parlare di un eroe, tra altri mille, morto combattendo a Kobane contro l’ISIS nella lotta ancora aperta per difendere la città.  Voglio parlare di lui non perché era straordinario ma perche era un buon amico. Un socialista turco, Nejat Agirnasli è morto a Kobane il 5 ottobre mentre combatteva con le forze di difesa popolare. Con la sua morte, ci ha ancora una volta ricordato le forme di solidarietà che la rivoluzione del Rojava può rappresentare sul piano storico e nello spazio di geografie larghe. Neco è morto con l’alias Paramez. Ha ripreso il suo nome dall’alias usato cent’anni fa da Madteos Sarkisyan, un socialista armeno del partito Huncakian, impiccato a Istanbul nel giungo 1914. Sarkisyan e i suoi compagni socialisti, prima della loro esecuzione da parte dei nazionalisti turchi, hanno affermato il loro essere per una società non nazionalista basata sul principio dell’eguaglianza. Sarkisyan ha dichiarato:

“Ciò che chiediamo è eguaglianza. Non siamo rozzi nazionalisti. La nostra richiesta è che armeni, turchi, curdi, aleviti, laz, yazidi, assiri, arabi, e copti vivano insieme in eguaglianza e fraternità.

Neco, morendo con l’alias di Sarkisyan, ha ricordato, in altri modi, l’importanza storica e in relazione all’area geografica della lotta a Kobane e in generale nel Rojava. Non deve sorprenderci allora che, forse per la prima volta, il partito socialdemocratico armeno Hunchakian (Armenian Social Democratic Hunchakian Party) ha mandato un messaggio di solidarietà alla famiglia e ai compagni di Neco dopo la sua morte. Lasciatemi seguire Neco a cui piaceva citare il punto di vista di Walter Benjamin sulla storia, secondo cui le lotte rivoluzionarie di oggi puntano a rianimare le opportunità perse nella storia. La lotta per Kobane e la rivoluzione di Rojava rappresentano uno di queste lotte.

 

* Il presente testo è la trascrizione di un intervento nell’ambito del seminario “Feminism and Autonomy in the Rojava Revolution”, Duke University, 28 Ottobre 2014. Il seminario si inserisce in un momento di lotta a sostegno della guerriglia a Kobane iniziato il 7 di ottobre quando quattro studenti internazionali hanno dato vita a un accampamento, nella zona ovest del campus a Duke University, e avviato uno sciopero della fame di tre giorni per portare l’attenzione sui combattenti curdi che difendevano Kobane dall’attacco dell’ISIS.  In risposta all’assenza di attenzione mediatica e della comunità scientifica per la resistenza di Kobane ma anche per l’abbandono da parte dalla comunità internazionale e della NATO, Navid Naderi, Can Evren, Eylül İşcen and Darya Mentes hanno deciso di agire in solidarietà con la resistenza a Kobane e con quante e quanti nel resto del mondo erano in sciopero della fame in solidarietà.
 

Traduzione dall’inglese di Lenora Hanson.