November 06, 2014
La sveglia stamattina a Meheser
è suonata alle sette.
Abbiamo dormito in una stanza in
9.
La colazione è un momento
fondamentale della vita al campo:pane, formaggio, olive piccanti e cay vengono
serviti gratuitamente ad un banchetto, mentre intorno si ripete spesso la scena
di donne anziane in vestiti tradizionali che ascoltano da una radio che legge
ancora audio-cassette le notizie della giornata.
Noi abbiamo consumato la nostra
colazione su uno dei tetti delle case, dove si appostano decine e decine di
compagni ad osservare e controllare quello che accade.
Kobane è lì, a
poche decine di metri e da lontano si intuiscono solo i rumori di quelli che
potrebbero essere i colpi dei mortai.
La gente del posto è in
grado di riconoscere chi è che spara, se l’Isis o le forze di
protezione del popolo.
E quando sono queste ultime a
sparare dei sorrisi silenziosi, ma convinti, si diffondono nell’aria.
Col sole caldo, ma non
caldissimo, del mattino,saliamo in macchina per Suruc.
Oggi ci tocca una giornata di
lavoro: all’interno della Warehouse, il centro di smistamento dei
prodotti alimentari, di igiene e di vestiario, ci sono centinaia di volontari.
Decine e decine di camion
caricano e scaricano di tutto. Alle 12.30 ci si ferma per la pausa pranzo:
pane, brodo di pollo e riso sono le pietanze servite.
Naturalmente l’onnipresente
cay ci disseta e ci riscalda. Nella pausa pranzo molti dei volontari si rendono
conto che non siamo curdi, ma italiani,e allora cominciano a stringerci le mani
e a ringraziarci per quello che facciamo per loro.
Finita la pausa si riprende il
lavoro; ad un certo punto ci fanno salire su un camion pieno di sapone che
dobbiamo andare a scaricare in un altro deposito.
Questo deposito è una
delle tante sale che vengono usate normalmente per i matrimoni e perle altre
festività collettive; ci raccontano che da quando è cominciato
l’assedio a Kobane tutte le feste sono state interrotte. Nessuno si
sposa, non c’è niente da festeggiare.
Tutti gli occhi e tutti i cuori
sono a Kobane, insieme ai guerriglieri e alle guerrigliere dell’Ypg
edell’Ypj.
Verso le 16 ritorniamo al campo
profughi prima che faccia buio (h17) ed intervistiamo una famiglia di Kobane
che ci racconta cosa è successo li, nelle loro case di sempre che ora
sono state distrutte per la maggiore dei casi.
Nei loro occhi si legge sia la
disperazione di aver perso una parte molto grossa delle loro vite e a volte
aver perso dei cari, sia la fierezza di appartenere ad un popolo che non china
la testa e combatte.
Combatte non per un’idea di
stato, ma perla libertà di tutti.
Tornati alla Warehouse ci
informano che è in corso un evento a Mehser, così saliamo in
Dieci minuti e siamo arrivati. Al
villaggio troviamo nel piazzale davanti la moschea una decina di fuochi con
intorno centinaia di persone che cantano e ballano.
Ci dicono, che
nell’anniversario dei 50 giorni di resistenza di Kobane, più di 50
tra artisti, musicisti e cantanti, sono venuti a portare solidarietà da
ogni angolo del Kurdistan e della Turchia.
Questo è il primo
festeggiamento che avviene dopo più di un mese e mezzo.
L’atmosfera è
contagiosa e così anche noi muoviamo dei passi impacciati con loro,
mentre in sottofondo e di rado rumori di artiglieria ci fanno stare tutti con
il fiato sospeso.
In questa serata di fuochi,
troviamo il tempo perc onoscere e confrontarci con compagni venuti da Istanbul,
e tutti insieme provare ad immaginare un mondo migliore.
Avanti!
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2014-11-06-U
Kurdistan – I fuochi
della sera