Un
gruppo di attivisti romani in viaggio al confine turco
con
Nel mezzo
del conflitto siriano, nelle tre principali aree
curde del nord della Siria, uno straordinario esperimento di democrazia ha
folgorato tutti gli amanti della libertà. Dopo aver espulso gli emissari
di Assad, e nonostante l’inimicizia di gran
parte dei vicini,
Proprio le
donne, unite nelle brigate delle YPG, stanno guidando l’eroica resistenza
di Kobane contro l’avanzata dello Stato Islamico. Al califfo Al-Baghdadi
non deve andare giù che a fermare il suo esercito siano
proprio le donne che lui vorrebbe vendere come merci nei mercati di Raqqa.
Non deve
andar giù nemmeno che una città ribelle, con un esercito
popolare e male armato, stia resistendo da oramai due mesi, quando grandi
città come Raqqa e Mosul sono cadute in meno di 24 ore. Abbiamo
l’impressione che Kobane da sola stia scompigliando le carte dei grandi
attori internazionali nella regione, in una partita che va ben al di là della sua sopravvivenza.
Se fino all’attacco dell’ISIS sul monte Sinjar il mondo
aveva ignorato
In un Medio
Oriente in cui la geopolitica occidentale traccia da secoli confini sulle mappe
geografiche basandosi su divisioni etniche, linguistiche e religiose,
considerate a torto irriducibili, si scopre che
proprio in questa terra, dove per definizione i popoli saprebbero vivere solo
sotto l’egida di regimi autoritari, donne e uomini possono cooperare dal
basso per una democrazia radicale, egualitaria, laica e anticapitalista.
Una
democrazia in cui lo sfruttamento dell’uomo sull’altro uomo e la padronanza dell’uomo sulla donna e sulla
natura sono abbandonati per cercare di spezzare il circolo della violenza
creato dai diversi nazionalismi in competizione per il controllo dello
stato-nazione. Scopriamo che se in una società il più forte coopera
con il più debole per fare rete e non per dominare
l’altro possiamo intravedere “il regno
della libertà”. Con
Il
confederalismo democratico contiene diverse innovazioni teoriche molto
interessanti, prima fra tutte il federalismo bottom-up,
la possibilità dei commons di organizzarsi dal basso. Il PKK ha infatti dichiarato di non perseguire più la
creazione di uno Stato-nazione kurdo indipendente. Inspirato dall’utopia
insita nell’ecologismo sociale, in Rojava sono sorte comunità
auto-governate basate sui principi della democrazia diretta
e capaci di mettere in comune anche al di là dei confini dello
Stato-nazione. Nella visione di Ocalan, il movimento
curdo potrà diventare un modello per un movimento mondiale verso la
democrazia diretta, la cooperazione economica e la dissoluzione delle
burocrazie statali.
Nella Rojava
ci siamo riconosciuti, abbiamo ritrovato quel filo che unisce esperienze
lontane e non,
Guerra e crisi: mettere in
discussione questo binomio significa reinventare modelli di coesistenza
differenti, di integrazione non unilaterale, significa
chiudere i tanti ghetti in cui finiscono i migranti in fuga dalla guerra quando
sopravvivono alle tragiche traversate del Mediterraneo.
Andiamo
anche per capire come viene affrontato l’arrivo
di migliaia di profughi in un sistema di accoglienza autogestito ed in assenza
della cooperazione internazionale. Andiamo alle porte dell’Europa per
cercare di creare nuove connessioni e nuove
prospettive con i movimenti euro mediterranei. Andiamo immaginando un nuovo
movimento no war e lo vogliamo fare insieme alle tante
delegazioni di cui si compone la staffetta.
Partiamo per
Suruç con un gran desiderio di formazione politica e per continuare ad
agire e sognare insieme a loro. Partiamo per rompere
l’isolamento in cui il PKK è stretto da anni, per costringere le
istituzioni europee a togliere il Partito dei lavoratori curdi dalle liste del
terrorismo internazionale e ottenere il riconoscimento politico dei Cantoni
della Rojava.
Viva la
resistenza di Kobane!
di Staffetta Romana per Kobane