November 22, 2014
C’è uno slogan, qui,
che vuol dire più o meno “che le donne vivano in
libertà”: “Jin, Jîyan, Azadî”. Mi è
stato chiesto di scrivere qualche cosa sulle donne curde. Avrei voluto scrivere
del fatto che è solo nel combattere che la donna si emancipa davvero,
che è nella lotta che la donna arriva ad essere completa. Eppure mi
sembra banale, mi sembra un’ovvietà. Ciononostante, il fatto che
queste donne prendano le armi va al di la delle lotte femministe dei nostri
Paesi, è proprio un gesto che si pone su un altro livello.
Qui le donne combattono.
Per la libertà.
E non lo fanno per apparire
davanti ad una telecamera o macchina fotografica, come modelle esibizioniste.
Non lo fanno per essere più belle. Vi basti pensare a questo: in molti,
quando dall’occidente guardano le foto di queste orgogliose combattenti,
la prima cosa che dicono è: “come sono belle!”. Non importa
se per belle intendono belle fisicamente o belle dentro per il loro orgoglio e
la loro fierezza, non è questo il punto… il punto è che noi
occidentali, quando vediamo delle donne combattere, pensiamo a quanto sono
belle (o in alcuni casi addirittura che le donne non dovrebbero combattere,
quasi come se combattendo una donna smettesse di essere tale) e non alla
ragione per cui combattono. Fossero uomini, faremmo le stesse esclamazioni? Si
certo, le donne che combattono sono belle. Sono bellissime. E cantano
splendidamente. E permettetemi di dire che anche gli uomini che combattono sono
belli, bellissimi, e cantano splendidamente. Ma, ugualmente, non è
questo il punto.
Qui le donne combattono.
Per la libertà.
Una compagna, qualche giorno fa,
parlando mi spiegava come le donne combattenti secondo lei non portino avanti
davvero una battaglia femminista. Di sicuro non è una battaglia
femminista secondo i nostri canoni, perché queste donne, almeno per ora,
non mettono in campo azioni esplicitamente volte esclusivamente alla fine delle
violenze dell’uomo sulla donna, perché non chiedono cambiamenti
sociali nei villaggi e città da cui provengono. Per intenderci, in
questo momento le YPJ non stanno lottando esplicitamente per avere più
asili nido a cui lasciare i figli quando vanno a lavorare, o per
indennità di maternità, o per matrimoni più elastici, o
per poter scopare con chi vogliono senza essere giudicate. Anzi, mi è
stato spiegato che per le combattenti sono proibiti i rapporti sessuali, come
tra l’altro lo sono per i combattenti (cosa che, in un contesto di guerra,
mi sembra abbastanza sensata). Quindi, quello che fanno queste combattenti,
credo di poter dire che ha poco a che fare con quello che rappresentano le
lotte per l’emancipazione femminile in occidente. Senza nulla togliere
alle lotte per gli asili nido o per la libertà sessuale, beninteso.
Qui le donne combattono.
Per la libertà.
Combattono per la libertà
del Rojava. Combattono per non essere vendute come merce ai fascisti dalle
bandiere nere che inneggiano ad in dio che non ha nulla a che fare con Allah.
Combattono perché vogliono essere libere. Le donne del Rojava hanno la
loro formazione militare, e sono in mille dentro Kobane. Voci di corridoio
dicono che di donna occidentale, con loro, ce ne è una, mentre di uomini
occidentali ce ne sono una 50ina. Sorpresa sorpresa! Con tutte le lotte per
l’emancipazione femminile, perché e “nostre” donne non
combattono? Immagino che chi legge sappia perfettamente che nella
società occidentale la donna non è affatto emancipata. Eppure,
forse, qualcuno ancora sperava che negli ambienti militanti, tra compagni/e, la
donna lo fosse. Non c’è nulla da fare: nell’immaginario del
civilizzato occidente, chi imbraccia le armi è uomo.
Qui le donne combattono.
Per la libertà.
E non è assente, da questo
combattere, dal fatto che le compagne vogliano emanciparsi, l’idea di
lottare contro qualsiasi forma di oppressione: quella dell’uomo sulla
donna, ma anche quella dell’uomo sulla natura. Il meccanismo per cui ad
Asankayef le dighe distruggono terreni e villaggi, per cui le industrie
devastano la natura per l’interesse di pochi, è lo stesso che
prevede la prevaricazione dell’uomo sulla donna.
Qui le donne combattono.
Per la libertà.
Combattono andando
controcorrente: in molti luoghi e villaggi questo è visto come una cosa
strana, sconsigliata. E, nonostante in molti casi continui ad essere una cosa
strana e sconsigliata, la mentalità generale sta cambiando. E non sta
cambiando nel senso che in tv si vedono più modelle, non sta cambiando
nel senso che c’è la nostra libertà sessuale. Sono gli
occhi che guardano le donne che sono cambiati. Soprattutto, gli occhi con cui
le donne guardano se stesse.
Lottare perché la donna
sia libera, significa lottare per la libertà di tutti. “Jin,
Jîyan, Azadî”, perché le donne vivano in
libertà. E contro tutte le forme di oppressione.
di Silvia
Todeschini -Suruc
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2014-11-22-U Jin,
Jiyan, Azadi