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Quest’articolo
apparentemente breve raccoglie un mondo grandissimo, che ho in parte sfiorato.
Sono righe che fanno percepire all’istante l’empatia, la familiarità,
la vicinanza umana e politica che si sente pulsare dentro nei confronti di
queste donne, le combattenti kurde di Kobane, così come le tante e tante
altre, siriane, che da anni resistono ad una guerra dai mille fronti ormai.
Quest’articolo ci palesa un processo di liberazione ed
emancipazione, femminile innanzitutto, che non riuscirà ad esser fermato
da nessun Califfato tagliagole o esercito marciante: queste donne e il faticoso
percorso portato avanti negli anni non saranno facili da fermare e non possiamo
non sostenerle con ogni sforzo possibile.
Oltre a quest’articolo potete leggere gli altri sul blog di Zeropregi e
sulla sua pagina twitter: porta un nostro bacio a quella terra.
Fonte: http://baruda.net/2014/11/25/rojava-le-case-delle-donne/.
LE CASE DELLE DONNE NEL ROJAVA
“Prima di tutto abbiamo dovuto insegnare cos’è
libertà.
Abbiamo dovuto iniziare a fare formazione, per
far capire cos’è la libertà, perché c’era
gente che non sapeva cosa fosse” dice così Newroz Kobane, 25
anni, dal nome improbabile, ma che lei dice essere il suo, spiegandoci
cos’è “il modello Rojava” ed il lavoro fatto negli
ultimi anni su quel territorio devastato dalla guerra.
Ci guarda fisso negli occhi e ci racconta per oltre un’ora
com’era la sua vita a pochi km da qui, nella Kobane ora teatro dello
scontro con l’Isis.
Siamo nella tenda di uno dei campi profughi alla periferia
di Soruc dove Newroz è una delle responsabili, ci racconta
di quando hanno aperto la casa delle donne o di quando hanno creato le scuole
per le stesse donne a cui fino ad allora era impedito andarci.
“Ma non ci siamo limitate a farlo a Kobane, siamo andati villaggio
per villaggio a spiegare ed ad insegnare cos’è
la libertà e cos’è la libertà delle donne”.
Mi fermo a pensare a ciò che sono “le case delle donne”
dalle nostre parti e dell’attacco, che subiscono quotidianamente
mentre lei ci spiega il lavoro (enorme aggiungo io) che hanno fatto negli
ultimi anni.
“Per prima cosa abbiamo dovuto ridurre la pressione degli uomini
sulle donne.
Difendevamo i diritti delle donne, quando una di loro scappava
di casa o veniva cacciata.
Le accoglievamo, perché volevamo evitare che le
donne subissero violenze.
Abbiamo fatto formazione con le donne su quali erano i loro diritti
ma allo stesso tempo insieme ai tribunali e alle donne stesse decidevamo
le cause di separazione.
Il nostro obiettivo erano i diritti delle donne ed eravamo
così riconosciute che nei casi di violenze o stupri
eravamo noi ad andare a prendere gli uomini per portarli in tribunale”.
A Kobane ogni quartiere aveva la sua casa delle donne ed erano tante
coloro che ci lavoravano.
Mi imbarazzo se penso che a Roma a stento ogni municipio abbia
un consultorio.
Ma penso anche che se oggi Newroz e le altre donne nei campi abbiano un
ruolo e una importanza è soprattutto grazie a questa
rivoluzione culturale messa in atto da loro stesse.
“Abbiamo fatto anche formazione per gli uomini, certamente.
Ed è probabile che la nostra determinazione
abbia impedito loro di reagire con violenza ai cambiamenti
tanto che alla fine sono stati costretti ad accettarli”.
È una donna fiera della sua identità e del suo essere musulmana.
Non dà nessuna dignità politica e religiosa
all’esercito islamico, lo liquida con un “sono disumani e
non sono dei musulmani””.
E mi imbarazzo di nuovo visto l’immaginario costruito nel mio Paese
dell’universo musulmano.
Per questo è probabile che loro vincano e che dalle
mie parti invece giorno dopo giorno si perda un pezzo dei diritti conquistati
con anni di lotte.
Foto, video e report della Staffetta Romana per Kobane https://www.facebook.com/pages/Staffetta-Romana-per-Kobane/635796289863470.
2014-11-26-B Le case delle donne nel Rojava