November 26, 2014
di Gulan Gernas - In un certo senso se ripenso al mio
viaggio si è trattato di un‘odissea. Ci sono volute molta forza e
pazienza per arrivare a Kobanê. Prima, dopo molti anni, ho rivisto Amed.
Molto è cambiato. Il profumo della lotta di liberazione curda che si
riflette nelle mura della città ormai brilla con un altro splendore. I
numerosi controlli militari sulla strada per Pirsûs, che confina
direttamente con Kobanê ricordano i metodi brutali dello stato turco
negli anni ’90. La rabbia dell’autista che mi accompagna gli si
legge negli occhi. Racconta che nelle ultime settimane più di 40 persone
sono state uccise solo nelle manifestazioni. Manifestazioni di protesta contro
il sostegno del governo turco alla banda terroristica che si definisce Stato
Islamico.
Cemal è il nome
dell‘autista. Racconta che è originario di Lice. A 8 anni ha
dovuto vedere soldati circondare e dare alle fiamme il suo villaggio. Sotto la
pioggia di pallottole, racconta ancora Cemal, non ha perso solo suo padre e suo
nonno, ma anche la sua sorellina che all’epoca aveva solo un anno. Una
pallottola l’ha colpita alla testa mentre la teneva in braccio. Capisce
bene la situazione dei profughi, perché in effetti anche lui da bambino
è stato „profugo nella propria terra“ come dice lui e
aggiunge, „anche Kobanê è parte del Kurdistan”. Per
questo persone fuggono attraverso il confine di uno stato, ma si muovono ancora
nello stesso paese. Il sostegno di Cemal, come quello di molte altre persone
che fanno tutto quello che è in loro potere per aiutare i profughi,
è enorme.
Persone si sono recate a
Kobanê per aiutare i profughi da ogni luogo. La solidarietà delle
persone è immensa. Dato che mancano campi profughi, una grossa parte dei
profughi viene accolta presso le famiglie. Ma una collaboratrice
dell’amministrazione comunale mi racconta che le forze della popolazione
sono in larga parte esaurite e che è impossibile continuare a dare
Ciwaka2aiuti di questa misura. A domanda sulle donazioni di denaro dall’estero
mi viene spiegato che la maggior parte qui non arriva. Il governo turco
dell’AKP confisca le donazioni, ma non le fa pervenire alle persone
bisognose di aiuti. Almeno non a quelle di Kobanê, e nemmeno ai numerosi
profughi yezidi, come mi riferiscono le persone sul posto.
Situazione umanitaria
molto precaria
La situazione dei profughi
è molto precaria. Soprattutto in vista dell’imminente inverno. Le
tende nelle quali è sistemata la maggioranza dei profughi sono una
protezione più provvisoria che vera, in particolare per quanto riguarda
il freddo. La vista delle persone, soprattutto dei tanti bambini piccoli, tocca
nel profondo. Come ad esempio Hêvîn, che ha tre anni al massimo. Va
in giro scalza come molti altri bambini, con un vestitino estivo. Già
adesso è difficile immaginare come i bambini possano sopportare le
condizioni del tempo. Al prossimo inverno neanche a pensarci. Assistenti
raccontano ancora che il numero dei sostenitori, soprattutto di quelli arrivati
da fuori, è rapidamente diminuito. In questo contesto viene citata la
cronaca mediatica, che certamente mantiene attualità, ma ha perso forza
di impatto.
Questo l’ho notato anche
nel mio ambiente precedente. Persone che nei primi giorni della protesta
mettevano tutto il tempo e l’energia che avevano nelle azioni di protesta
e nel lavoro di solidarietà, non sembrano più toccate se sentono
parlare di Kobanê o anche di Şengal. Li tocca di meno. Di nuovo si
sente la vecchia canzone. Di nuovo i commenti e i “like” su
facebook sembrano più importanti delle vite umane. Ancora una volta
viene prestata più attenzione alla pubblicità delle scarpe nuove
che a un bambino che soffre. Questo quadro significativo in cui si riflette la
tragedia dell’umanità mi deprime. Ma l’eroica resistenza
delle donne e degli uomini di Kobanê contro i barbari di IS fa in modo
che io non perda il coraggio. Da oltre 60 giorni viene condotta
un’instancabile resistenza contro questa milizia terroristica che
disprezza il genere umano
Spezzato il mito di IS,
Kobanê non è caduta
ciwaka3Quando il gruppo
terroristico del cosiddetto Stato Islamico il 15 settembre ha iniziato ad
attaccare Kobanê tutti gli esperti a livello mondiale erano sicuri che
Kobanê sarebbe caduta nel giro di pochi giorni. Contro le milizie di IS
equipaggiate con armi pesanti e ultramoderne le Unità di Difesa delle
Donne (YPJ) e le Unità di Difesa del Popolo (YPG) curde non avevano
neanche una possibilità minima. Non solo i pronostici e le aspettative
di questi cosiddetti esperti, primo tra tutti il presidente turco Erdogan che
profetizzava quasi quotidianamente la caduta di Kobanê, sono andati a
vuoto, allo stesso tempo anche il mito che si era sviluppato intorno a IS
è stato spezzato. Quest’ultimo fino ad allora infatti veniva
considerato una forza inarrestabile.
Senza aver mai visto
Kobanê, sono sicura che questo ha a che fare con il cuore e la passione
della gente di Kobanê. Le conquiste, compreso il grado di libertà
della rivoluzione del 19 luglio 2012, quando la popolazione di Kobanê è
riuscita a liberarsi dal regime siriano, erano, o meglio sono di nuovo
minacciate. La popolazione ha dato a vedere fin dall’inizio la
determinazione nel voler difendere Kobanê fino alla fine se necessario.
In questo momento mi viene in mente una frase di Salih Muslim. Preso da
fortissima emozione in un discorso durante una manifestazione di
solidarietà a Düsseldorf disse che Kobanê non cadrà
fino a quando ci saranno persone come Arîn Mîrkan. Arîn
Mîrkan si era fatta esplodere e con questo aveva portato con sé
nella morte molti terroristi di IS. È diventata una vera forza simbolo
della resistenza di Kobanê.
Ora sto andando verso il confine.
Insieme a me molte famiglie di Kobanê che vogliono tornare si sono
riunite al confine. Una donna anziana mi racconta che a Kobanê sono
minacciati da IS, ma almeno possono contare sulla protezione delle YPJ e YPG.
In Turchia, racconta, sono esposti agli attacchi arbitrari dei soldati turchi.
Racconta che la sua famiglia e molti altri sono stati portati nelle scuole dove
sono stati esposti a dure repressioni. „Il loro obiettivo era indurci al
ritorno. Ora ce l’hanno fatta. Preferiamo vivere a Kobanê, ma in
compenso in modo degno di esseri umani.“, queste le sue parole.
ciwaka4Le angherie da parte delle
stato turco probabilmente li accompagneranno fino a Kobanê. Perché
anche al valico di confine tutte e tutti vengono di nuovo sottoposti a una
perquisizione corporale. Vengono registrati i dati delle persone che vogliono
tornare nella loro città. Di ognuno e ognuna viene fatta una foto. Anche
a me ne fanno una. Dato che né a giornalisti né a altre persone
che vogliono prestare aiuto viene consentito l’accesso a Kobanê,
sono camuffata da profuga. Devo assistere al fatto che la persona davanti a me
viene portata via dai militari. I soldati turchi scelgono soprattutto giovani
uomini, ma anche molte donne, e li sottopongono a interrogatori per presunta
appartenenza alle YPG o YPJ. Il sostegno per IS da parte dello stato turco
diventa evidente ancora una volta.
Arrivata a Kobanê emozioni
di gioia e sollievo incontrano malinconia e sofferenza. Terribile questa
visione di devastazione. In molte parti della città sono rimaste solo
polvere e cenere. Si diffonde un odore nauseante. Ovunque sono sparsi cadaveri
dei terroristi di IS. Vanno in putrefazione e creano un grande pericolo di
epidemie. Il viso della madre che accompagno si copre di lacrime. Anche la sua
casa è stata ridotta in macerie. Intanto il cielo si copre di fumo. Gli
scontri tra le unità delle YPG e YPJ e IS continuano. Arrivata nel
centro della città vedo un muro ornato da una scritta toccante;
„Em bernadin vê dîlanê.“ – Non abbandoniamo
questa ridda di danze…
©
2013 UiKi ONLUS Team
2014-11-26-U
Impressioni da Kobane