04 -12- 2014

Ad agosto erano su tutti i media occidentali, simbolo dell’orrore jihadista. Oggi sono di nuovo soli ad affrontare il freddo, la fame e la minaccia dell’Isis, mentre la Coalizione ha rivolto i suoi raid altrove. E in Iraq le milizie di al al-Baghdadi assediano di nuovo il monte Sinjar. Il reportage di Federica Iezzi

di Federica Iezzi

Al-Hasakah (Siria), 4 dicemre 2014, Nena News - Costretti a fuggire fuori da tutte le rotte di approvvigionamento, quest’estate circa 15.000 yazidi si sono fermati tra Siria e Iraq, dispersi nel Kurdistan iracheno, rifugiandosi in parchi, tende e scuole, senza cibo né acqua. In molti hanno trovato riparo nel campo profughi di Nowruz, nei pressi di Derike, città curda nel nord-est della Siria. Altri nel campo di Delal, nel villaggio di Zakho, in quello di Sharya, a Dohuk e nella città di Khanke, a nord dell’Iraq.

Circa 50.000 yazidi hanno attraversato il confine turco dal checkpoint di Habur, nei pressi di Silopi, e a piedi, attraverso le montagne, si sono riversati nell’area attorno al villaggio di Roboski. La maggior parte di loro ha trovato rifugio a sud-est della provincia turca di Sirnak, al confine con l’Iraq. Altri nel villaggio di Silopi. In Turchia in media sono distribuite 600 tende per ogni campo, per 4.500 rifugiati, di cui poco meno della metà bambini. Hanno vissuto in villaggi, tende, città e campi profughi. Si sono rifugiati in aule scolastiche, cantieri e sotto i ponti o teloni di plastica. Più di 5.000 morti. Più di 2.000 rapiti.

Il campo profughi di Nowruz, nei pressi della città di Qamishli, nel nord-est siriano, con le prime piogge è diventato rapidamente una trappola di fango. Arriva il freddo pungente. Non si accende il riscaldamento nelle tende per il pericolo d’incendio, racconta a Nena News Adeela, una ragazzina irachena costretta a crescere in fretta.

Non c’è nemmeno acqua corrente. Questo significa bagni e docce che funzionano solo con catini zeppi di acqua gelida Nella stessa tenda della famiglia di Adeela, abita Ghaaliya, una delle donne riuscite a sfuggire all’orrore dell’Isis. Singhiozza mentre ripete sconvolta che lei e i suoi figli non riusciranno a tornare indietro e non rivedranno mai più la loro casa a Lalesh, nel distretto di Shekhan, nel nord del governatorato di Nineveh, in Iraq.

Sulla linea di confine tra Siria e Iraq, vicino a edifici in cemento armato abbandonati, nascono campi spontanei. Non ci sono vetri alle finestre. File di enormi tende. Ogni alloggio ospita circa 70 persone. Qui si respira l’anima di chi si incontra.

Mentre una bimba gioca da sola fuori dalla tenda, Raahim racconta che ha perso suo figlio sulle montagne del Sinjar. Era troppo piccolo e debilitato, non ce l’ha fatta senza acqua, mi dice, con rabbia e rassegnazione. E’ stato strappato dal seno di sua madre, mentre iniziavano i raid aerei americani sulla terra irachena. Racconta la sua storia, ma è rassegnato, sa che non cambierà nulla. Si volta verso l’ingresso della tenda e guarda la pioggia, dondolandosi avanti e indietro, con gli occhi vitrei, da solo.

Ad agosto attacchi aerei e lanci umanitari avevano aperto un corridoio di fuga per molti yazidi. Ma nel mese di ottobre, da quando la Coalizione Internazionale si è concentrata su Kobane, Deir Ezzor, al-Hasakah, al-Raqqa e Aleppo, sul versante siriano, gli yazidi sono stati nuovamente lasciati soli.

L’Isis ora ha assediato nuovamente il monte Sinjar, intrappolando almeno 10.000 yazidi, e ha preso il controllo di altri cinque grossi centri abitati dalla minoranza etnica. Circa cento combattenti curdi peshmerga sono sulla montagna, a supporto di un migliaio di improvvisati combattenti yazidi, contro i militanti di al-Baghdadi, che continuano a devastare villaggi, con il ridondante rituale di uccidere gli uomini e vendere donne e bambini tra Fallujah, al-Raqqa e alcune città dell’Arabia Saudita. E questa non è jihad. Nena News