08 -12- 2014

I campi profughi turchi sono diventati una sorta di casa per gli abitanti di Kobane. Ma c’è chi non vuole lasciare la città dove è cresciuto e le strade dove correva da bambino. Perdere Kobane significherebbe consegnare all’ISIS un legame diretto tra Aleppo e la roccaforte al-Raqqa e abbandonare il controllo di un ampio tratto del confine turco-siriano. 

di Federica Iezzi 

Kobane, 8 dicembre 2014, Nena News - Al confine tra Siria e Turchia, vecchie colonne grigie di fumo  non smettono  di soffocare l’aria tiepida, scaldata dal sole invernale. Frutto degli almeno 200 raid aerei della Coalizione Internazionale, in ormai due mesi di combattimenti.

Siamo a Kobane. Dalle montagne brulle di Tel Shair, che circondano la città, si vedono solo edifici ridotti in macerie sotto un’aria velata di polvere. Dal 16 settembre scorso, Kobane è simbolo e arena di scontri tra i jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, che seguono pedissequamente il programma di avanzata, e i combattenti siriani dell’Unità di Protezione Popolare.

Le porte di Kobane sono custodite dai mortai. Fuoristrada grigi scuri, con le bandiere nere dello Stato Islamico tatuate sulle porte e con MG30 al seguito, sfrecciano ferocemente sulla Halnaj-Kobani, strada a sud-est della città.

Gli anziani, con le numerose famiglie, non lasciano le proprie case, in una città alle prese con pesanti problemi idrici, in una città alimentata dai cancelli di confine di Mursitpinar, a pochi chilometri dalla provincia turca di Sanliurfa. Da settembre il quotidiano silenzio di Kobane, si è trasformato nel fragore dei proiettili che crivellano gli edifici crollati, delle auto bruciate, degli spari e delle esplosioni. Almeno 300.000 persone hanno attraversato il confine turco. 150.000 persone abitavano Kobane.

I ragazzi rimasti raccontano che a loro manca la scuola. Hanno paura di non riuscire più a ritrovare quel tipo di vita. Adesso vagano sgomenti per le strade, non hanno notizie dei loro amici. L’arrivo dei combattenti dell’ISIS per gli uomini significa non poter più indossare un paio di jeans, per le donne significa niente più scuola, niente trucco, nè capelli tinti. Divieto di fumo e musica.

La battaglia non è finita, dicono i difensori della città: i curdi dell’YPG. Questi, insieme alle brigate dell’Esercito Siriano Libero, ai raid aerei statunitensi e ai peshmerga iracheni, si oppongono alle azioni oppressive e sconvolgenti dell’ISIS. La tenace resistenza, contro combattimenti che infuriano nella periferia e nei quartieri interni della città, è guidata da un popolo assediato, a corto di cibo, carburante, armi e senza un adeguato sostegno internazionale.

Medici e infermieri lavorano gratuitamente in ospedali di fortuna, protetti dai kalashnikov degli uomini e donne dell’YPG. Non ci sono più ospedali pubblici funzionanti e le scorte di medicine stanno finendo. Svuotati i negozi di alimenti e bevande per i combattenti e per i civili. Ogni giorno, le madri dei combattenti cucinano per chi ha fame, negli angoli senza luce, distrutti e asserragliati, di una città diventata un forte militare.

Gli scontri si sono trasformati in una vera e propria guerriglia urbana nei distretti orientali, nella zona industriale di Sina’a, in prossimità delle colline scoscese di Mushta Nur, nel quartiere di Misher e nel distretto di Taxa Araban. In un gioco infinito di pedine, i combattenti dell’YPG strappano ai sunniti dello Stato Islamico, il controllo di strade ed edifici nell’area del Municipio e della moschea di al-Haj Rashad, a sud di Kobane; nell’area di al-Hal e di Azadi Roundabout, nella zona est della città. Ripreso il controllo anche della strada Halnaj-Kobani. Ultimi raid aerei della Coalizione Internazionale sull’area di Souq al-Hal e sulla piazza governativa. Almeno quattro nella sola giornata di oggi.

E’ in mano all’ISIS ogni edificio in cui sventola la bandiera nera nella zona est della città. Le zone ad ovest sono invece interamente controllate dall’YPG. Gli edifici amministrativi sono apparentemente funzionanti, ad eccezione dell’Asaish security forces building, caduto nelle mani dei jihadisti.

Secondo gli ultimi dati del Syrian Observatory for Human Rights, dall’inizio dei combattimenti su Kobane le vittime sono salite a 1153: di cui 54 civili, 387 combattenti dell’YPG, 712 combattenti dell’ISIS.

La città ha un aspetto livido ma vive nei sobborghi, nelle cucine, nelle strade bloccate. Le finestre rimangono scure al tramonto. Polvere e sabbia cadono dai soffitti incompiuti. Mosche ronzano sui volti dei bambini così come la pioggia batte forte, fuori dalle finestre. Ma da quelle finestre restano svegli gli occhi di ciascuna famiglia rimasta. Nena News