Un giorno a Kobane,
piccola Stalingrado curda che argina l’Isis
December 12, 2014
Patriottismo, ideali comunisti e
droni Usa: sono questi i componenti della miscela che sta arginando la marea
nera del Califfato di Abu Bakr al Baghdadi. Kobane è una piccola
Stalingrado dei nostri tempi. Dal 16 settembre è accerchiata da tutti i
quattro lati: a Est come a Sud e Ovest è nel mirino dei terroristi
islamici. Il confine Nord invece è presidiato dalla polizia turca che
impedisce uscita e ingresso a chiunque, dai curdi della Turchia che vorrebbero
accorrere in rinforzo, ai reporter stranieri che vogliono vedere da vicino cosa
accade a Kobane. (…)
Sono tutti giovani, male armati e
peggio nutriti. Offrono una cena a base di “hummus” e
“dolmados”. Il cibo è scarso ed è in scatola. Dopo
cena Afrin, un giovane con il fazzoletto rosso legato al capo, canta
“Bella ciao” in versione curda. “Qui tutti noi crediamo
nell’Internazionale socialista e combattiamo per difendere la nostra
città ma anche per i valori di libertà e di democrazia nel
mondo”, dice al reporter di askanews.
Dopo una nottata in bianco a
causa della tensione, del frastuono delle bombe e dei colpi di mortaio
dell’Isis, si esce la mattina con Surud, dell’ufficio media
dell’Ypg. La città ha un aspetto livido. In giro, solo edifici
ridotti in macerie. Grossi veli fissati ai due lati delle vie che portano a
Est, oscurano la visuale ai cecchini del Califfo. Per muoversi a piedi bisogna
districarsi tra le macerie e centinaia di proiettili di mortaio inesplosi.
“Sono fabbricati dai combattenti ceceni e spesso per fortuna non
esplodono”, dice Surud. “Usiamo la polvere da sparo per fare bombe
a mano”.
Si arriva all’unico forno
in funzione. Sono le 8 del mattino: “Sforniamo 7mila pita al giorno che
vengono distribuite gratis ai 3mila abitanti rimasti e inviati a vari
fronti”, dice uno degli addetti. Nel solo presidio medico poco distante
ci sono 3 infermieri curdi: “Oggi non ci sono feriti. Quelli gravi li
trasportiamo in Turchia ma lì, in ospedale, vengono piantonati dalla
polizia turca”.
Poi al “Municipio
provvisorio”. In città abitavano almeno 150.000 persone più
altrettanti rifugiati arrivati da altre zone della Siria per sfuggire alle
guerra che dura ormai da quasi tre anni, racconta Goran, il responsabile della
struttura che cerca di risolvere i problemi urgenti degli abitanti rimasti:
tutti anziani e bambini, “chi può usare le armi, sia femmina o
maschio, è al fronte”, dice Goran. Acqua ed elettricità
sono state tagliate dall’Isis: “L’acqua la tiriamo fuori dai
pozzi e quella potabile arriva in bottiglia dai cancelli di confine di
Mursitpinar”, la parte turca di Kobane.
(segue)
ASKNEWS
http://www.askanews.it/esteri/siria-a-kobane-con-i-partigiani-curdi_71173318.htm