Zanyar, puoi raccontarci perché e quando
hai deciso di realizzare questo documentario?
In realtà
non l’ho pianificato. Inizialmente pensavo di realizzare dei report e
intervistare guerriglieri durante il mio periodo a Kobane. Dopo un paio di
giorni mi sono reso conto di essere testimone di suoni e immagini che ero
obbligato a portare con me una volta uscito dalla città.
Puoi spiegarci come sei riuscito ad
entrare a Kobane?
Sono entrato
clandestinamente dal confine turco; l’intero viaggio è durato 3 giorni molto
estenuanti e chiaramente pericolosi.
Il documentario “Inside Kobane”
racconta dettagliatamente il lavoro che giornalisti locali stanno facendo a
Kobane. Perché hai deciso di affrontare questo argomento?
Queste
persone stanno mandando in giro al loro meglio immagini e video della guerra;
per chiare ragioni le loro vite, la loro audacia e il loro coraggio mi hanno
ispirato. Inoltre, mentre loro stanno vivendo nel cuore degli eventi altri
corrispondenti, mentre indossano quei goffi elmetti sulle colline di Suruç,
seminano odio a vantaggio delle loro agenzie stampa. Molti stanno solo
aspettando la caduta di Kobane. Io volevo raccontare la storia degli “altri”
giornalisti e dei loro incessanti sforzi.
I giornalisti del documentario sono tutti
kurdi. Ritieni che ci sia una sufficiente copertura dei media internazionali
riguardo la situazione di Kobane? Come si potrebbe rafforzare il supporto a
giornalisti locali o aprire nuovi canali di comunicazione?
C’è abbastanza
copertura degli eventi in generale, ma non molto della resistenza. Prendiamo ad
esempio gli ultimi giorni, nei quali l’interesse per Kobane sta diminuendo,
proprio nel momento in cui sta attraversando i suoi giorni più difficili e la
presenza di colossi dell’informazione internazionale sarebbe vitale per la sua
sopravvivenza. Ma tutti sembrano aver dimenticato Kobane. Sarebbe sufficiente
far affidamento sui giornalisti in loco, in modo che siano loro il canale
preferenziale tra noi e gli eventi di Kobane; questo potrebbe essere di grande
aiuto per loro.
Malgrado la drammatica situazione a
Kobane, il documentario ci mostra una quotidianità piena di speranza e spesso
di sorrisi. Questa è la sensazione che hai ricevuto dalle persone a Kobane o è
stata una scelta registica?
Queste
meravigliose sensazioni sono solo una piccola parte degli indimenticabili
momenti di umanità da parte delle persone coinvolte nella resistenza. Ho
tentato di usare la mia telecamera come mezzo per raccontare le relazioni tra
le persone e gli eventi nella città di Kobane. Quello che ho raccolto è solo
una piccola parte di quello che realmente accadeva.
Cosa ti ha maggiormente
colpito nel periodo trascorso a Kobane?
Lo spirito
di squadra tra i combattenti e l’atmosfera allegra. Era come un sogno. Mi ha
fatto riflettere sul nostro stile di vita urbano disumanizzato, nel quale
abbiamo perso noi stessi per instaurare relazioni principalmente di tipo
commerciale.
Il documentario mostra molti kurdi
iraniani arrivati a Kobane per combattere. Da kurdo iraniano, sai dirci se la
maggior parte dei kurdi in Iran stanno appoggiando la resistenza a Kobane e la
rivoluzione nel Rojava (Kurdistan siriano)?
La maggior
parte degli iraniani, sia kurdi che non kurdi, ha espresso il proprio supporto
formale alla resistenza di Kobane e del Rojava. Non posso dire molto riguardo
il supporto materiale alla resistenza, in quanto le mie idee sarebbero
supposizioni non basate su nessuna ricerca scientifica.
Quali conseguenze credi che avrà sul
futuro del Kurdistan e dei movimenti kurdi la situazione a Kobane e la
rivoluzione nel Rojava?
Dal mio punto di vista, gli eventi nel Rojava sono stati un punto
di svolta nella sfera politica del Kurdistan che, se dovesse aver seguito,
potrebbe ispirare i popoli del Medio Oriente a una maggior presa di coscienza,
la qual cosa potrebbe non piacere a chi ha mire colonizzatrici nell’area.
Intervista a cura di Bianca Benvenuti e Flavia Cappellini
*Special
Thanks: Sinistra
in Europa