Rivoluzione in
corso nel Rojava
20 gennaio 2015 1
di Ozgur Amed e
Dylan
Murphy – 19 gennaio 2015
L’intervista seguente è stata condotta in
collaborazione con il
Rojava
Report.
Ozgur Amed è un giornalista, opinionista, insegnante e attivista
di Diyarbakir, dove tiene corsi sul cinema e collabora
con organizzazioni locali della società civile come coordinatore di progetto.
Scrive regolari editoriali per i giornali
Ozgur Gundem e
Ozgur Politika, collabora a varie
riviste, assiste giornalisti stranieri che lavorano in Kurdistan e fornisce
analisi della regione a canali mediatici stranieri. Conduce anche ricerche sul
movimento curdo ed è autore di libro umoristico,
Works of Kurdology (Kurdocul Isler). Può essere
raggiunto all’indirizzo [email protected]
.
Dylan
Murphy: Puoi spiegare in breve le origini dei cantoni del
Rojava e, più in generale, la rivoluzione? Quando
sono emersi e che cosa c’è di nuovo al riguardo?
Le differenze che questo sistema presenta
sono intese meglio quando si comprendono le ragioni a
monte dell’emergere della rivoluzione e perché è stata necessaria. Oggi la tappa
più importante della rivoluzione di Rojava è la costituzione del Rojava.
Questa costituzione [nota anche come “Contratto Sociale” – nota del traduttore
in inglese] è stata creata e accettata dall’Assemblea Legislativa
dell’Amministrazione dell’Autonomia Democratica di Rojava
il 6 gennaio 2014, nella città di
Amudè, in Rojava.
Questo è il preambolo del documento:
Noi, i popoli delle regioni
democratiche autonome – curdi, arabi e
assiri (assiri caldei, aramaici), turcomanni, armeni e ceceni – per nostra libera volontà abbiamo annunciato questo
contratto per creare giustizia, libertà e democrazia in accordo con il principio
dell’equilibrio ecologico e dell’uguaglianza senza discriminazioni su base
religiosa, di lingua, di setta o di genere, per attuare i valori di una società
democratica e di un vivere comune basati su un quadro politico e morale che
promuove la mutua comprensione e coesistenza nella
diversità e per garantire i diritti delle donne e dei bambini e la protezione,
l’autodifesa e il rispetto della libertà di religione e di credo.
L’Amministrazione delle Regioni
Democratiche Autonome non accetta alcuna intesa basata
sul concetto di stato-nazione, né sul concetto di uno stato militare o
religioso, né accetta l’amministrazione o il potere centralizzati.
L’Amministrazione delle Regioni Democratiche Autonome è aperta al consenso
sociale, alla democrazia e al pluralismo in cui tutte le formazioni etniche,
sociali, culturali e nazionali possano esprimersi
attraverso le loro organizzazioni. L’Amministrazione delle Regioni Democratiche
Autonome è dedita alla pace nazionale e internazionale e rispettosa dei confini
della Siria e dei diritti umani.
Ciò considerato, ci si deve chiedere:
esiste un sistema migliore di questo? Se parliamo di diritti umani, democrazia e
libertà, esiste un’alternativa
a ciò che è espresso nel preambolo di questa costituzione? Esiste un’aspirazione
migliore di governo in Medio Oriente? No … e tuttavia la difficoltà si presenta
nella lotta per qualcosa cui si crede a
ogni costo. Ed è qui che sta la differenza di questo
sistema.
Dunque
come siamo arrivati a questa situazione e da dove è sorta la rivoluzione?
La Siria, che perse la sua guerra con
la Francia nel 1920 e restò sotto dominio coloniale francese per 26 anni,
riconquistò la propria indipendenza nel 1946. Da tale data e fino agli anni ’70
il paese visse un periodo di caos contrassegnato da ripetuti colpi di stato e
dal fallimento della Repubblica Araba Unita (1958-61) che finì solo con il colpo
di stato baatista e l’avvio del nuovo regime.
Uno dei primi compiti cui si dedicò tale
regime fu la revoca della cittadinanza a centinaia di migliaia
di curdi. I figli di quei
curdi furono privati di tutti i diritti e le protezioni e furono isolati
socialmente. Dal momento in cui salì al potere la famiglia Assad,
nel 1971, fino a oggi, l’identità curda è rimasta
sotto la minaccia di un genocidio politico e culturale.
Molti governi dittatoriali, un tempo
considerati indistruttibili, sono finiti a pezzi con l’emergere della “Primavera
Araba” che ha fatto così tanto per accelerare il corso
della storia in Medio Oriente ed è stata la causa di un simile tumulto.
L’assenza di una struttura d’avanguardia e democratica che avrebbe potuto
incanalare la rabbia politica e quella sociale giustificata della gente scesa
nelle piazze contro i governi autoritari e autocratici in Tunisia, Egitto,
Libia, Siria e altri paesi mediorientali ha determinato un caos diffuso. Le potenze internazionali e
regionali, che hanno tentato di incanalare a proprio vantaggio
la rabbia storica accumulata dal popolo sceso in piazza per la democrazia
e la libertà, sono intervenute nella Primavera Araba. Questo è particolarmente
vero per quanto riguarda la guerra civile siriana, in cui le speranze di libertà
e democrazia del popolo sono state distrutte da potenze reazionarie. Tuttavia il
popolo del Rojava, che in Siria è stato a lungo da
allora emarginato in un pozzo senza fondo e che per anni aveva vissuto le
peggiori politiche negazioniste
e assimilazioniste, è stato in grado di trasformare la
Primavera Araba nella rivoluzione democratica nazionale grazie a una forza democratica d’avanguardia, frutto di decenni di
resistenza.
Il Rojava, che è la parte minore del Kurdistan [diviso], ha
presentato al mondo la rivoluzione di Rojava da Kobane il 19 luglio 2012. Il destino di tre milioni di curdi, che per anni erano vissuti
sotto l’occupazione del regime siriano, è entrato in una nuova era sotto forma
di ribellione allo stato nazione .
Gli stessi cantoni sono stati
creati poco tempo dopo l’approvazione della costituzione. Il Cantone
Cizire
è stato proclamato ufficialmente il 21 gennaio 2014; il Cantone Kobane il 27 gennaio e il Cantone Efrin
il 29 gennaio. Le Amministrazioni Democratiche Cantonali Autonome (Cizire, Kobane ed Efrin) restano parte del territorio siriano. In ogni cantone
esistono un’Assemblea Legislativa, un’Assemblea
Esecutiva, un’Alta Commissione Elettorale, un’Assemblea Costituzionale e
assemblee regionali. Esse sono costituite da varie unità locali. Questi cantoni
non si occupano di alcun compito dello stato; difendono
i diritti delle comunità locali e assumono come principio la risoluzione dei
problemi con mezzi pacifici. Ancora una volta questi cantoni hanno diritto alla
propria bandiera, al proprio emblema e al proprio inno.
Quali sono le forze che difendono
Kobane? Come sono riuscite a difendere la città dall’ISIS, che armato
molto meglio?
Oggi la forza ufficiale di difesa di
Kobane sono le Unità Popolari di Difesa (YPG), create nel 2004 e
formalizzate ufficialmente nel 2011 e la Forza Femminile di Difesa (YPJ), creata
indipendentemente e in associazione [con il YPG].
Queste sono le due forze militari responsabili dell’autodifesa dell’intero
Rojava.
L’attacco più pesante contro
Kobane sinora è iniziato il 10 settembre 2014 e prosegue tuttora. Nel
corso di questa battaglia, alla difesa di Kobane si
sono unite altre forze … Una delle più importanti tra esse
è un gruppo noto come El Ekrad (Cebhet’ul Ekrad in arabo), cioè il Fronte Curdo. E’ nato come parte dell’Esercito Siriano Libero (FSA)
durante la guerra civile siriana e poi se ne è
separato.
Nell’ultimo paio di mesi sono presenti
anche combattenti peshmerga
[le forze armate del Governo Regionale del Kurdistan]. Centocinquanta
combattenti peshmerga sono andati a Kobane in seguito a una decisione
del parlamento del Kurdistan [meridionale]. Non combattono solo queste forze ma
anche gruppi quali Ehrar
Syria, Siwar
El Raqa (Soresgere Reqa), Sems-i Simal. Non sono solo i
curdi che combattono a Kobane … Ci sono anche gruppi rivoluzionari dalla Turchia.
Uno di questi è il MLKP … Ci sono combattenti da tutti il
mondo. Ci sono persone provenienti dall’America, dall’Olanda e
dall’Africa che sono venute a titolo individuale a
unirsi alla lotta. Questo sono le forze che prendono
parte alla battaglia.
Una guerra si può
perdere quando si depongono le armi. Si può perdere quando si perde la speranza o la fede. Secondo gli
stessi combattenti una delle fonti principali di motivazione è la grande
ingiustizia che è perpetrata in quel luogo. E’ sapere che se non è affrontata
oggi diventerà ancora maggiore domani.
Molto
è stato detto degli atteggiamenti barbari dell’ISIS nei confronti delle donne.
Al tempo stesso le donne subiscono violenze e oppressioni in tutto il mondo.
Quale ruolo hanno avuto le donne nella rivoluzione del
Rojava?
C’è una realtà che è già stata espressa da
Asya Abdullah, la co-presidente del
Partito di Unità Democratica (PYD).
[Il
PYD è il maggior partito politico in Rojava e membro
siriano del KCK transnazionale [Unione delle Comunità del Kurdistan] e organismo
ombrello di coordinamento del movimento curdo
in tutto il Medio Oriente e in Europa]. Ha detto che
“quando la rivoluzione è iniziata le donne curde vi
hanno preso parte con tutta la loro forza”. Vale a dire
che le donne curde erano già impegnate nella lotta
prima della rivoluzione in Rojava e si erano
organizzate in tutte le sfere della vita. Quando la
rivoluzione è iniziata, le donne curde erano pronte.
Hanno preso parte alla rivoluzione già preparate. Possiamo
dire
che le donne curde hanno guidato la rivoluzione. Le
donne hanno partecipato a ogni decisione presa in Rojava. La bandiera della rivoluzione di Rojava è la bandiera delle donne.
Le donne in Rojava
hanno guidato questa rivoluzione e sono alla guida del conflitto che prosegue
tuttora. Un esempio è uno dei simboli della resistenza a
Kobane, Arin
Mirkan. Chi soffre di più in guerra
sono le donne e i bambini. Oggi l’ISIS sta vendendo donne di Sinjar nei suoi mercati di schiave e questo sta succedendo
nel ventunesimo secolo! I suoi attacchi prendono sistematicamente di mira le
donne. La guerra, così, le colpisce due volte. Perciò, quando si considerino
tutti questi fattori, il ruolo che le donne hanno nella rivoluzione e il motivo
per cui si trovano al fronte diventano più chiari.
Le donne combattenti definiscono questa
rivoluzione e questa
resistenza la possibilità di “respirare”. Queste donne non si battono solo per i
diritti e l’organizzazione delle donne in Medio Oriente, ma anche in tutto il
mondo. Sottolineano sempre questo quando si esprimono.
Una donna combattente a Kobane protegge i diritti di
una donna in Diyarbakir e i diritti di una lavoratrice
nel New Jersey e contribuisce alla loro lotta.
Se oggi il mondo intero parla delle donne
curde
combattenti esistono un programma profondo e storico e una grande lotta dietro a
ciò. Prevalentemente si è parlato dei “battaglioni femminili”. Il primo
battaglione interamente femminile è stato il Battaglione delle Martiri Ruken, formato il 5 marzo
Quale modello di democrazia è attuato
in Rojava e come ha operato per emancipare la gente
comune?
Il modello emerso in
Rojava è il sistema dell’”autonomia democratica”. Se
la nazione democratica è il suo spirito, l’autonomia democratica è il suo corpo.
L’autonomia democratica è la condizione attraverso la quale la costruzione della
nazione democratica s’incarna ed è realizzata concretamente.
Una breve sintesi delle caratteristiche
essenziali di questo sistema è grosso modo la seguente:
la fonte del potere è il popolo ed è il popolo a possedere il potere.
L’amministrazione è fornita da organizzazioni e assemblee scelte mediante
elezioni. Nessun governo può restare all’esterno o al di sopra del Contratto Sociale stabilito
dall’Amministrazione dell’Autonomia Democratica ed essere considerato legittimo.
La fonte delle assemblee e degli organismi di governo basati su fondamenta
democratiche è il popolo. Nessun organismo che agisca per conto suo o nell’interesse
di un singolo gruppo è accettato.
In sociologia e filosofia ‘autonomia’ ha
il significato opposto al concetto latino di ‘autorità’ e in scienze politiche
ha il significato opposto di ‘eteronomia’. Il concetto viene dalla combinazione
del greco autos (sé) e
nomos (legge, norma, regola) e da questa radice ha assunto
il significato di ‘creare la propria legge’ o ‘essere
soggetti alla propria legge’. Quella che esiste in Rojava
è soprattutto una forma di ‘autonomia politica’.
L’autonomia politica qui significa
fondamentalmente trasferimento dei poteri esecutivo e
legislativo in modo costituzionale e partecipativo dallo stato centrale a
organi regionali scelti democraticamente in un modo che protegga
sufficientemente le minoranze etniche e culturali che vivono nelle loro patrie
tradizionali.
Parliamo di un modello che, quando è
iniziata la guerra civile siriana, ha trovato la propria via (la sua teoria
della terza via) senza schierarsi e ha chiesto di autogovernarsi utilizzando i
propri mezzi e le proprie risorse; un modello che favorisce la volontà di una
società come un tutto politico e un sistema che si sviluppa; e un modello che
oggi è preoccupato per la ferocia più grande del mondo. I popoli che credono in
questo [modello] stanno oggi lottando insieme sullo stesso fronte. Armeni, assiri, arabi, turchi e
molti altri popoli hanno dichiarato il loro desiderio di vivere liberamente in
questo modello e sono divenuti i motori di questa rivoluzione.
Il mondo capitalista si sta ancora
riprendendo dalla crisi economica del 2008 e la disuguaglianza di ricchezza sta
aumentando in molti luoghi nel mondo. Quali alternative economiche sono proposte in
Rojava?
Il pilastro economico è stato una parte
essenziale della rivoluzione in Rojava! Difende un modello economico autonomo e sta operando
per metterlo in pratica. Il capitalismo ha circondato tutto e tutti, e in un
secolo in cui è difficile respirare e in cui siamo apparentemente privi di alternative, è ora scoperta una via d’uscita mediante un
modello economico alternativo e un’economia comunitaria.
Il dottor Ahmet Yusuf, il ministro
dell’economia del Cantone di Efrin,
ha fatto recentemente alcune osservazioni alla conferenza tenuta sull’”autonomia
democratica autonoma”. Ha detto:
Assumiamo come principio la protezione
e la difesa delle risorse naturali. Ciò che intendiamo per difesa non è la
difesa in senso militare, bensì l’autodifesa contro lo sfruttamento e
l’oppressione che oggi affronta la società.
Ci sono molti ostacoli alla
ristrutturazione dell’economia comunitaria in Rojava. Sistemi che prendono a riferimento i sistemi
capitalisti hanno tentato di bloccare il nostro progresso sia nella sfera
economica sia in quella sociale. Noi assumiamo come nostro principio l’economia
comunitaria. Stiamo lavorando per creare un sistema che combini antiliberismo,
sostenibilità ecologica e proprietà morale comune con produzione comunitaria e
culturale.
Uno degli argomenti fondativi che emergono
contro ciò in Rojava è la realtà che tutti i modi di produzione e i
rapporti di produzione sono basati su fondamenta di gerarchia e di classe. Ciò
sta a dire che l’affermazione che il lavoro è in corso
di liberazione cela come il sistema di egemonia e colonialismo arriva a
governare in modo implicito ma ancor più attivo.
Questa rivoluzione sta sviluppando
cooperative basate su un’economia sociale come propria
alternativa economica. Ad esempio qualsiasi impresa che
venga in Rojava
prenderà posto al servizio di queste cooperative. Le
comuni saranno una forza principale nelle assemblee popolari. Alle
cooperative che sono fondate è dato spazio sufficiente nella sfera economica
perché possano sostenersi. Nei tre cantoni esiste una forza sufficiente a
fondare un’economia su principi socializzati in agricoltura, allevamento,
industria e servizi.
L’Organizzazione per lo Sviluppo
Economico, fondata in Rojava, è un’organizzazione che
merita di essere osservata attentamente. Sta dirigendo i progetti che
stanno costruendo un’economia indipendente. Sta conducendo le proprie
attività sotto sei capitoli principali: commercio, servizi, edilizia,
agricoltura, industria e combustibili. Questo sistema è riuscito a far
affidamento interamente sulla propria forza!
La discriminazione su base etnica o
razziale è comune in gran parte del mondo e la violenza contro le minoranze
sta crescendo in molti luoghi. Come protegge le minoranze il modello di
Rojava?
Per capire e dare significato alla
politica sulle minoranze in Rojava
possiamo spiegarla meglio concentrandoci su tre piccoli esempi sotto tre capitoli principali.
Il primo è il tema della “fede”. Oggi
assistiamo a un radicalismo
fondamentalista che si diffonde in tutto il Medio
Oriente. Poteri egemonici e accentratori vogliono omologare il Medio Oriente,
che è stato un giardino di popoli. Il solo luogo dove
attualmente
ciò è contrastato è la regione di Rojava e i suoi
cantoni. Ad esempio, Rojava non è solo l’unico luogo
in cui le chiese non sono state distrutte, ma le fedi possono essere praticate
liberamente e sono state fornire garanzie dal governo.
Il secondo è il fattore “governo”. Nella
co-presidenza di ogni cantone è presente una minoranza. Ha garanzie nella
costituzione di Rojava in forza delle quali esprimersi
e difendersi e difendere i propri diritti e parlare la
propria lingua natale e lavora per proteggerli e svilupparli.
Il terzo è il fattore “guerra”. Arabi,
armeni, siriani e molti membri di altre
minoranze stanno combattendo al fronte nel conflitto attuale. Hanno
preso le armi e combattono per difendere questo modello. Questo è
qualcosa di
importante. Si sono mobilitati e schierati in una guerra per la libertà
senza esservi costretti, come una questione di fiducia e di fede.
Quando mettiamo insieme tutti questi
elementi diversi
restiamo con alcuni dati solidi riguardo alla domanda su “come vivere insieme”.
Questo è il motivo per cui oggi l’appello oggi nella
battaglia di Kobane e in tutto il
Rojava
è alla “rivoluzione dei popoli”. Gli assiri, siriani,
armeni, caldei e altri
popoli che vivono in Rojava si stanno impossessando
della rivoluzione di Rojava. Il sistema che è stato
proclamato è un sistema di popoli. Un avvocato, e presidente
dell’Amministrazione delle Minoranze Cristiane, Cemil
Abdulehed, offre una sintesi qualificata della situazione quando afferma: “ci assicuriamo anche di essere
parte di un sistema in cui la lingua, cultura, fede e colore di ciascuno abbiano
un posto. Stiamo lavorando per mettere in atto questo sistema.” Nella costituzione del Rojava
non si può trovare alcun riferimento, o enfasi, su alcuna
fedeltà religiosa o etnica.
Dopo le avanzate dell’ISIS in Siria e
in Iraq molti neoconservatori e repubblicani statunitensi hanno sollecitato un
ritorno di soldati USA in Medio Oriente. Sono necessari soldati statunitensi sul
campo in Siria e in Iraq?
Io credo che prima di arrivare alla
questione se siano o no necessari soldati statunitensi
in Iraq o in Siria ci si debba chiedere: “Qual è il compito di soldati
statunitensi in Siria e Iraq?” C’è una ben nota politica di divide
et
impera. Finora è più o meno quello che è successo.
Se guardiamo ai problemi concentrandoci non sui risultati ma
sul processo, vediamo che uno dei motivi principali di ciò che sta succedendo
oggi sono gli Stati Uniti e la loro politica in Medio Oriente. Anche l’ISIS è una conseguenza di tale politica. L’intervento
degli Stati Uniti a Kobane è arrivato congiuntamente
alla presa da parte completa, da parte
dell’ISIS, di tutte le regioni produttrici di petrolio nel Kurdistan meridionale
[in Iraq]. Di fatto il contrammiraglio John
Kirby lo ha ammesso nella sua veste ufficiale di
portavoce del Pentagono.
Gli Stati Uniti affermano di portare la
libertà. In vita mio non ho mai visto una libertà così
sanguinaria! La presenza di quei soldati non è stata altro che indurre la gente
ad accettare il male per evitare il peggio. Questi paesi possiedono la mente e
il passato necessari per risolvere i loro problemi interni. Ma
tutto è stato spinto così in là e reso così caotico che gli Stati Uniti, che si
propongono come l’unica potenza politico-economica in grado di produrre una
soluzione, possono diventare l’apostolo della libertà. Questa è una forma
di egemonia.
Critici della politica estera
statunitense hanno affermato che gli Stati Uniti hanno
avuto un ruolo nello sviluppo dell’ISIS e che inizialmente il loro unico
interesse era spodestare Assad. Saresti d’accordo con
questa idea? A cosa è da attribuire la responsabilità dell’ascesa
dell’ISIS?
Vorrei in particolare accennare all’ascesa
dell’ISIS. Uno dei fattori maggiori nella sua ascesa è stato
la sua presentazione come “fenomeno”. Ogni servizio
mediatico riguardo a
esso è stato al tempo stesso un tipo sostegno. L’ISIS si descrive come
anti-moderno. Ma si può arrivare a vedere che è moderno quanto
basta per usare scene dal film Oscar Zero Dark
Thirty. I suoi video di morte e uccisioni sono stati girati in alta
definizione e hanno effetti che richiedono ore di lavoro. Tutto è come una
fantasia da videogioco. Le parole di un giovane inglese soprannominato ‘Ebu
Sumeyye
El-Britani’ hanno avuto vasta circolazione. Risulterebbe aver detto che “combattere sul fronte dell’ISIS
è molto meglio che giocare al videogioco Call of Duty’. Questo è il
lato socio-psicologico di questo “fenomeno”.
Come sfondo storico è importante l’esperimento bellico afgano.
Dall’occupazione dell’Afghanistan dopo l’11 settembre e
dalla guerra in Iraq, gli Stati Uniti continuano a proteggere le ricchezze del
sottosuolo e gli importanti accordi conclusi con altri stati circostanti. L’ISIS
ha sfruttato il caos attuale per attirare migliaia di combattenti. Nel tagliare
i suoi legami sociali con Al-Nusra e Al-Qaeda ed ampliando il suo campo effettivo d’azione, ha
anche accresciuto la sua capacità di crescere e trovare sostenitori. In tale contesto il riferirsi a se stesso usando l’Islam e il suo
lavoro ideologico per creare un’immagine jihadista ha
reso più facile la sua opera di propaganda. In questo modo è stato in grado di
attirare migliaia di persone dall’Europa semplicemente grazie al crescere dell’islamofobia in quell’area.
Un altro motivo dell’ascesa dell’ISIS è
stato il suo graduale riconoscimento come un tipo di
organizzazione capace di uccidere e di attuare ogni sorta di massacri. Su questo
fattore non si è riflettuto e discusso a sufficienza e perciò non è stata presa
nessuna precauzione.
Questa organizzazione è entrata nelle
nostre vite in misura molto maggiore di ogni organizzazione fondamentalista
classica del Medio Oriente. Lo ha fatto basandosi su un certo tipo di ideologia. Ad esempio, nel razionalizzare le decapitazioni
ha impiegato un riferimento forte a sufficienza per attirare nei propri ranghi
migliaia di persone. Questo non è stato analizzato abbastanza e quando ha
cominciato ad attirare l’attenzione è stato troppo tardi.
Tuttavia la forza
maggiore dietro la crescita dell’ISIS è stata l’economia.
La rete di relazioni che ha derivato dal passato, cioè
dalla cultura cresciuto attorno ad al-Qaeda, include
un’enorme quantità di sostegno degli stati del Golfo Arabo. E’ anche importante
segnalare come, dopo la sua occupazione di Mosul e la
sua cattura di un’area ricca di risorse naturali, è
diventato un produttore di petrolio. Il segretario di stato USA John Kerry ha confermato che la
Turchia è tra i paesi che acquistano petrolio dall’ISIS.
Non credo che gli Stati Uniti
ignorassero ogni cosa. Erano del tutto consapevoli dell’ISIS e della sua ascesa. Se avesse
operato nei loro interessi avrebbero potuto collaborare
con esso l’indomani, o il giorno dopo, e nessuno ne sarebbe stato sorpreso.
L’ISIS e gruppi simili funzionano per mantenere gli Stati Uniti nella regione.
Oggi è l’ISIS, domani sarà qualcos’altro. In questo
senso l’ISIS è solo una maschera. Quando
scomparirà lascerà al proprio posto un’altra organizzazione con un’altra forma.
Alcuni a sinistra hanno fatto
paragoni tra la situazione a Kobane
e la guerra civile spagnola, quando migliaia di
antifascisti di tutto il mondo andarono a combattere contro il fascismo. Pensi
che sia un paragone valido?
Tutte le resistenze nella storia si
assomigliano. La resistenza a Kobane
è stata prevalentemente identificata [tra i commentatori del movimento curdo] con la battaglia di Stalingrado. Ma
se me lo chiedi assomiglia di più alla guerra d’indipendenza algerina. O si prenda la lotta di sua santità
Hussein
con Yazid il Primo, o le lotte dello sceicco Bedreddin o John Ball o la
resistenza impavida di Varsavia ai nazisti; per Kobane
sono tutte state prove.
In ogni luogo in cui c’è una resistenza
simile, cambiano solo località e data. La sostanza è la stessa. Quello che
avviene nel corso della battaglia
è lo stesso. Gli atteggiamenti del nemico, la sua motivazione a distruggere sono
gli stessi. L’universalità del fascismo deriva da questo.
Dirò
che si sono somiglianze tra la solidarietà internazionale antifascista che
emerse durante la guerra civile e spagnola e quella riguardante
Kobane. Quando guardiamo alla Spagna del 1936, alla Russia del 1940,
all’Italia del 1941, alla Francia del
Che
cosa può fare la gente comune di tutto il mondo per sostenere la rivoluzione nei
cantoni di Rojava?
La cosa più importante
che la gente può fare è mostrare sostegno al riconoscimento dei cantoni e
delle loro strutture autonome. Oggi gli eventi in Rojava
e la lotta giustificata che è un tema politico centrale
devono essere compresi chiaramente. Si sono perse vite in ogni passo intrapreso
in direzione dei valori democratici che stanno emergendo qui.
La seconda cosa è mostrare solidarietà
rivoluzionaria. E’ divenuto chiaro che siamo obbligati a farlo. L’ISIS sta
tentando di insinuarsi da ogni parte. Secondo me c’è una minaccia simile in ogni luogo che rifiuta il
modello dello stato nazione.
La terza cosa è stabilire relazioni
diplomatiche. Rojava non dovrebbe essere isolato
politicamente. Poiché non sono solo gli sviluppi in Medio
Oriente che lo influenzano. Rojava
è bersaglio di molti altri paesi e in particolare della Turchia. L’altro giorno
[il presidente turco Tayyip Erdogan]
ha detto che la creazione dei cantoni è “una minaccia
al nostro paese”. In realtà è impossibile capire come i
cantoni costituiscano una minaccia.
Ad ogni passo diplomatico intrapreso
questo genere di discorso s’indebolirà un po’. La rivoluzione di
Rojava è una rivoluzione
popolare ed è una lotta per la costruzione della democrazia. E’ una lotta per la
libertà e non una qualche copertura di qualcos’altro. E’ in questo quadro che va
offerto sostegno.
Da Z Net – Lo spirito della resistenza è
vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/unfolding-revolution-in-rojava/
Traduzione
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