PANORAMA, 16/106 (27-01-2015)
Perché la liberazione di Kobane non
fermerà l'Isis
Gli strike americani e la resistenza curda potrebbero avere la meglio. Ma
quella dello Stato Islamico potrebbe essere solo un’azione diversiva
Città simbolo della resistenza allo Stato
Islamico, Kobane, al confine turco-siriano, è stata ed è
da molti mesi teatro di violentissimi scontri tra soldati curdi e miliziani
dell’IS. Ma la notizia è che nelle ultime ore il centro cittadino
sarebbe stato quasi completamente liberato dalla presenza dei miliziani del
Califfato che adesso controllerebbero soltanto il quartiere di Kani Arabane,
sebbene la città resti ancora cinta d’assedio.
Dopo che le forze curde hanno preso la collina
strategica di Mishtanour la settimana scorsa e dopo che i miliziani
sunniti hanno perso in buona parte la via per i rifornimenti, adesso la
battaglia volge forse definitivamente in favore dei curdi. La ricattura della
collina potrebbe rivelarsi un momento decisivo per le sorti della battaglia,
dato il ritmo molto lento della guerra.
Aver costretto la coalizione
internazionale a concentrare la gran parte degli sforzi bellici su Kobane ha
permesso agli uomini del Califfo di avanzare indisturbati in altri teatri di
guerra
Inoltre, le nuove forze fresche messe in campo a
Kobane dagli uomini del Califfato sono composte soprattutto da
giovanissimi, dunque poco addestrati. Una scelta tattica che potrebbe rivelarsi
fatale, così come forse lo è stata l’intera campagna per
conquistare la città, dato il ruolo importante, ma non decisivo, di
Kobane nello scacchiere siriano.
Da settembre a oggi, l’assedio di
Kobane
L’assedio di Kobane
è iniziato a metà settembre 2014, quando lo Stato Islamico ha
approntato una fulminante campagna nel nord della Siria e catturato centinaia
di piccoli villaggi nella regione al confine turco, costringendo due, forse
trecentomila curdi a fuggire e sconfinare disordinatamente in Turchia.
Al loro posto, sono confluiti a Kobane
l’esercito del Kurdistan siriano, YPG (braccio armato del PYD, il Partito
per l’Unione Democratica), e i Peshmerga provenienti dal Kurdistan
iracheno. Da allora, i due eserciti si sono fronteggiati casa per casa, strada
per strada, lasciando sul campo oltre milleseicento morti da una parte e dall’altra.
La conta dei decessi, tuttavia, dovrà probabilmente essere rivista al
rialzo.
I comandanti militari dello Stato Islamico si sono
incaponiti in questi mesi sulla conquista di Kobane, considerata anche sotto il
punto di vista di una battaglia mediatica, per dimostrare al mondo la forza
dello Stato Islamico. Per tale ragione, hanno speso molti uomini e inviato
numerosi mezzi in quell’area, senza però tenere in debito conto
che sarebbero stati un facile bersaglio per gli strike della coalizione internazionale
a guida statunitense che, difatti, ha dimezzato le loro forze con pesanti raid
aerei sulla città. Ma è davvero così? Analizziamo alcuni
dati.
Kobane, disfatta di ISIS o azione
diversiva?
I bombardamenti intorno a
Kobane, sono iniziati il 23 settembre scorso, hanno causato almeno 1.000 morti
tra i combattenti di IS e distrutto scorte di armi e numerose forniture del
Califfato, secondo i dati forniti dai funzionari del Pentagono. Qui lo Stato
Islamico ha usato mezzi come i tank M1-Abrams americani e i T-72 russi
(sequestrati da IS dopo la presa di Mosul e la ritirata dell’esercito
iracheno), e veicoli armati come gli Humvee e gli MRAP, oltre a pezzi
d’artiglieria M198 a lunga gittata.
In gran parte, questi mezzi sono stati distrutti e
il piano dello Stato Islamico di chiudere il nord confinante con
Tuttavia, va sottolineato che dei quasi 2.000
attacchi aerei condotti contro il territorio dello Stato Islamico da settembre
a oggi, ben 870 di questi sono stati rivolti in Siria, di cui circa il 70
per cento si sono concentrati proprio su Kobane e dintorni, ovvero
un’area che in totale è meno del due per cento dell’intero
territorio della Siria occupata. Un fatto che è già costato ai
contribuenti americani 8,2 milioni di dollari al giorno, in media. È lo
stesso Pentagono a fornire queste cifre.
Se si aggiunge che il Califfato oggi si estende
per circa un terzo della Siria, ovvero ha raddoppiato la propria
presenza, c’è ragione di ritenere che in effetti la strategia
dello Stato Islamico non sia così folle. I curdi potrebbero ora essere
in grado di affrontare IS nelle zone rurali e nella periferia di Kobane, al
netto dell’artiglieria a lungo raggio di cui dispone ancora IS, e presto
potrebbero piantare il vessillo del Kurdistan su tutta la città.
Ciò nonostante, aver costretto la
coalizione internazionale a concentrare la gran parte degli sforzi bellici su
Kobane, dedicandogli “grandi mezzi aerei per un obiettivo minore”,
come ha riferito un ufficiale della difesa americana, ha permesso agli uomini
del Califfo Ibrahim di avanzare indisturbati in altri teatri di guerra, e ai
comandi militari sunniti di adattare le loro mosse a questo scenario e di
produrre nuove manovre diversive. “Lo Stato Islamico continua a fornire
obiettivi e noi continuiamo a condurre attacchi aerei” confermano voci
del Pentagono.
Il futuro della guerra
Lo Stato Islamico non ha
mai controllato effettivamente oltre il 25% di Kobane, una città
che conta circa 45mila abitanti, mentre ha il controllo totale di Raqqa, la
capitale siriana del Califfato a circa
Il risultato è che da settembre a oggi, in
Siria il Califfato ha raddoppiato la porzione di territori occupati ed è
ormai presente in oltre un terzo del Paese. Dunque, anche la presa definitiva
di Kobane è niente affatto risolutiva per le sorti generali del
conflitto.
Lo Stato Maggiore della Difesa americana ritiene
più importante garantirsi l’Iraq che non lo stato siriano, dove
una guerra civile e un presidente scomodo come Bashar Al Assad rendono
assai complicata la futura gestione politica del Paese, senza contare
l’importanza che
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L'Isis
e la guerra al terrorismo islamico
© 2008 Arnoldo Mondadori
Editore Spa