Un anno fa,
come oggi, Kobanê si è dichiarato cantone autonomo.
Oggi, dopo
135 giorni di intrepida resistenza, la gente di Kobanê ha liberato la
città dal cosiddetto Stato islamico. Da
settembre 2014, le YPG e YPJ hanno condotto una epica e incredibile resistenza
– non ci sono altre parole per descriverla – contro l’ultima
ondata di attacchi da parte di ISIS. Le donne e gli uomini che hanno condotto
la più gloriosa resistenza del nostro tempo, hanno issato le loro
bandiere sulle ultime colline che erano state occupate da ISIS e subito hanno
iniziato le loro danze in fila, accompagnati da vecchie canzoni rivoluzionarie
e slogan curdi. Da allora, la gente in tutto il mondo si è precipitata
in strada per festeggiare. Dopo le innumerevoli tragedie, stragi, e traumi che
questa regione ha dovuto subire di recente, i dolori che hanno preceduto questo
momento rendono la vittoria ancora più dolce. Con un occhio si versano
lacrime per i morti, mentre con l’altro si piange per la gioia
così meritata.
Ma andiamo
indietro di un anno. Fu in questo periodo, nel gennaio 2014, che i grandi attori
internazionali si riunirono presso la cosiddetta conferenza di Ginevra-II per
discutere di una risoluzione per la guerra in Siria. I curdi, che avevano
combattuto sia il regime, sia gli estremisti come il Fronte al-Nusra o ISIS da
quando avevano preso il controllo sul Rojava nel 2012, non furono invitati. Inoltre, per tranquillizzare lo Stato turco, la comunità
internazionale adottò un atteggiamento esplicitamente ostile verso il
Rojava, perché gli attori principali della regione sono affiliati
ideologicamente con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), acerrimo
nemico dello stato turco, che viene etichettato come ‘terrorista’
da Stati Uniti, Unione europea e Turchia. In realtà, la
comunità internazionale ha emarginato il Rojava molto prima di emarginare
i jihadisti in Siria. Funzionari statali turchi ripetutamente sottolineavano
che non avrebbero “tollerato terroristi dal confine siriano-turco”,
riferendosi ai curdi in Rojava, non agli islamisti radicali.
Eppure,
senza far conto sull’approvazione di nessuno, e nonostante tutta questa
ostilità, la gente del Rojava ha dichiarato tre cantoni autonomi nello
stesso momento della conferenza di Ginevra-II: Kobanê, Afrîn, e
Cizîre. Il messaggio era: “Noi costruiremo la nostra autonomia e
non abbiamo bisogno dell’approvazione di nessuno”.
Per gli
ultimi tre anni i curdi, che hanno scelto una “terza via” e si sono
rifiutati di prendere le parti sia dell’opposizione sia di Assad, hanno
cercato di mettere in guardia il mondo sull’ISIS, ma sono rimasti
completamente ignorati. Al co-presidente del PYD in Rojava, Salih Muslim,
è stato negato il visto per gli Stati Uniti per quattro volte. Nel 2013,
quasi un anno prima che il mondo addirittura sentisse parlare del gruppo
jihadista, suo figlio è morto combattendo contro
l’ISIS.
L’ultima
ondata di attacchi contro Kobanê è solo una tra le tante che
l’hanno preceduta. Tutti gli avvertimenti dei curdi sono stati respinti
come teorie complottiste, semplicemente perché ascoltarli avrebbe
significato riconoscere che la coalizione anti-Assad aveva indirettamente o
direttamente supportato e sponsorizzato assassini jihadisti in Siria.
Oggi, il
vice presidente americano Joe Biden e altri affermano esattamente ciò
che i curdi hanno detto per anni: stati come l’Arabia Saudita, il Qatar e
Se vivessimo
in un mondo in cui le forze dominanti che si presentano come i difensori dei
diritti umani, della libertà e della democrazia fossero in realtà
genuinamente interessate ai principi che sostengono, tutto questo inferno sulla
terra si sarebbe potuto evitare. Ma lasciando da parte il fatto che il
commercio di armi e la destabilizzazione della regione sono redditizi per molti
attori globali, un’altra brutta verità
è che coloro che volevano rovesciare Assad hanno beneficiato della
presenza jihadista in Siria per un lungo periodo. Il che è andato molto
a vantaggio del regime di Assad – che continuava a sostenere che non
esistesse nessuna opposizione vera in Siria. E oggi, la realtà orribile
è che Assad sembra il male minore, tanto che anche la coalizione sembra
ammorbidirsi nei suoi confronti. Che tragedia kafkiana per il popolo della
Siria!
Considerando
tutto questo, ci dovremmo davvero congratulare con i principali mandanti della
guerra e del conflitto in Medio Oriente per aver liberato Kobanê?
Coloro che
hanno finanziato o almeno che hanno chiuso un occhio sui jihadisti assassini?
Coloro che
hanno iniziato guerre ingiuste e hanno distrutto la regione con le loro
politiche? Coloro che hanno tranquillizzato lo Stato turco, il quale ha
sostenuto stupratori estremisti e assassini?
Cosa
c’è realmente dietro la resistenza di Kobanê? Cosa
simboleggia Kobanê in un’epoca di rivoluzioni fallite e di guerre
infinite?
Le persone
che stanno combattendo a Kobanê hanno un’ideologia, una visione del
mondo, una concezione che li ha tenuti in azione. Possiamo dire che gli
attacchi aerei della coalizione non hanno aiutato per niente? Naturalmente non
possiamo. Ma chiediamoci perché la coalizione è passata da
“Kobanê sta per cadere e non è la nostra priorità
salvarla”, al concentrare tutti gli sforzi per proteggerla. Se non fosse
stato per la resistenza sul terreno delle persone, che insieme si sono
mobilitate con i soli kalashnikov per difendere la loro città,
l’opportunità per la coalizione di “salvare”
Kobanê per i propri interessi non sarebbe nata. Dopo tutto, sei mesi
prima che attacchi aerei Usa bombardassero posizioni dell’ISIS intorno a
Kobanê, donne anziane di 60 anni avevano costituito propri battaglioni di
autodifesa di “madri”, autonomi sul campo. Senza la determinazione
di queste persone e la disponibilità al sacrificio, nessun attacco aereo
al mondo avrebbe salvato la città.
E’
importante capire che la rivoluzione del Rojava è stata una lotta di popolo dall’inizio fino ad oggi. A differenza
di altre rivolte in tempi recenti, fortunatamente non è stata cooptata
da chicchessìa grazie alle condizioni geopolitiche, ed è andata
avanti affidandosi alle sue proprie forze, contro ogni previsione. La
coraggiosa presa di posizione di Kobanê contro quegli uomini che
vorrebbero tingere di nero i colori del Medio Oriente, è stata in
sintonia con le persone che lottano in tutto il mondo. Molti ora tessono
l’elogio e alcuni strumentalizzano Kobanê, anche persone di destra
e islamofobi, perché tutti vogliono un pezzo della torta della vittoria.
Ma gli stessi poteri che ora si appropriano di Kobanê per i propri
interessi, etichettano la politica di questi coraggiosi combattenti come
terrorista. La resistenza di Kobanê si basa su una tradizione radicata e
non nasce dal nulla. I combattenti sottolineano che è la filosofia del
PKK che motiva la loro lotta. Quando hanno liberato
Kobanê, i combattenti immediatamente hanno cantato “Bijî
Serok Apo” – Viva il presidente Apo (Abdullah Öcalan, il
rappresentante ideologico del PKK in prigione).
In altre
parole, i più forti nemici di ISIS sono etichettati a livello
internazionale come terroristi, proprio come gli stupratori, fascisti assassini
jihadisti. Allo stesso modo, tutti cercano di
strumentalizzare la sofferenza del popolo ezidi dal monte Sinjar (Şengal)
per i propri interessi, ma le migliaia di profughi ezidi in Rojava affermano
che la comunità internazionale non sta facendo nulla per loro, mentre sono
state le YPG/YPJ e il PKK che li hanno salvati ad agosto e che si sono
preoccupati per loro da allora, nonostante l’embargo contro il Rojava e
la guerra a Kobanê.
Fatti
scomodi per coloro che si presentano come i salvatori!
Il Rojava
è un’alternativa per la regione, lacerata dall’odio etnico e
religioso, da guerre ingiuste, e dallo sfruttamento economico. Non ha
l’obiettivo di costruire un nuovo stato, ma di creare un sistema
alternativo al paradigma globale capitalista e maschilista
dello stato-nazione, invocando l’autonomia regionale, attraverso la
liberazione delle donne e in collaborazione con tutti i popoli della regione,
il tutto definito come “confederalismo democratico” da Öcalan.
Il rifiuto
di accettare i parametri del sistema globale è
quello che ha mobilitato la popolazione in una regione così devastata,
tra guerra e embargo, e questo è proprio il motivo per cui Kobanê
non cadrà mai. Nel bel mezzo della guerra, i cantoni
del Rojava sono riusciti a creare un movimento di donne incredibilmente
energetico, un sistema di autogoverno che opera attraverso i consigli locali
con una dialettica dal basso verso l’alto, e una società in cui
tutte le componenti etniche e religiose della regione lavorano mano nella mano
per creare un futuro più luminoso. Ciò è in netto
contrasto con le politiche di tipo monopolista del genere “una religione,
una lingua, una nazione, uno stato, una bandiera”, le dittature, le
monarchie, le tirannie settarie, e la violenza patriarcale nella regione. E la
previsione di una vita così libera è il motore principale della
resistenza di Kobanê. Il sistema dominante ci fa credere che i principi e
gli ideali sono morti, ed è per questo che una mobilitazione collettiva
e una resistenza votata al sacrificio come quello di Kobanê sembra
così incredibile alla maggior parte delle persone. Ma
il fatto che la seconda città più grande dell’Iraq, Mosul,
sia caduta nelle mani di ISIS in pochi giorni, anche se gli Stati Uniti avevano
speso miliardi di dollari per addestrare l’esercito iracheno, mentre la
piccola città di Kobanê, dove donne anziane hanno creato i loro
battaglioni autonomi, sia diventata un fortino di resistenza per le persone in
tutto il mondo, ci mostra che la possibilità di un futuro diverso
è ben viva!
Non si
può separare la mobilitazione politica del popolo in Rojava dalle sue
vittorie contro l’ISIS. Ecco perché il minimo che possiamo fare
per onorare i combattenti di Kobanê è quello di rispettare e
sostenere i loro obiettivi politici! Il riconoscimento dei cantoni del Rojava
avrebbe dovuto essere avvenuto da tempo. Ma anche se il mondo non riconoscesse
il Rojava, questo continuerà ad essere, perché ha dimostrato che
non ha bisogno dell’approvazione di nessuno per esistere. E’
proprio questa volontà di resistenza e questa lotta
autosufficiente, questo rifiuto di piegarsi alla condizione tipo sindrome di
Stoccolma in cui il Medio Oriente si trova, al punto di dover essere costretto
a essere felice della “democrazia” che si presenta sotto forma di
briciole, che ha permesso a Kobanê di non cadere.
La vittoria
e la dignità di Kobanê dovrebbero dare speranza a tutti i popoli
del Medio Oriente e non solo. Circondato dalla bandiera nera
di ISIS, dal sanguinario regime di Assad, dal feroce stato turco, da un embargo
soffocante, dai calcoli a sangue freddo della politica estera delle potenze
mondiali egemoniche, da tensioni etniche e guerre settarie, le persone
sorridenti di Kobanê hanno mantenuto i loro principi rivoluzionari di
libertà e aiutato il sole della Mesopotamia a risorgere su tutta questa
oscurità.
La vittoria
appartiene a coloro che hanno dedicato la loro vita ad essa. Onoriamo il
coraggio di questi esseri umani altruisti e delle vittime della guerra
rivelando le politiche e gli interessi degli Stati e delle strutture che hanno
consentito a questo inferno di cominciare.
Auguriamoci
di poter guardare più avanti a momenti rivoluzionari di gioia come oggi
e non dimentichiamo mai coloro che hanno dato la loro vita per questo!
Bijî
Kobanê!
di Dilar
Dirik
da Kurdish Question – 27.01.2015