02 -02- 2015
Su Nena
News il diario di viaggio della staffetta italiana per Kobane, oggi dentro
la città kurda a nord della Siria, dopo la liberazione popolare dallo Stato
Islamico. Dalle necessità della ricostruzione alla battaglia per liberare i
villaggi vicini.
di Chiara, Fano, Marco e Momo – Campagna
Rojava Calling
Kobane, 2 febbraio 2015, Nena News – Oggi siamo
finalmente entrati a Kobane. Ci speravamo ieri, appena arrivati, catapultati di
nuovo sul confine turco-siriano nella speranza di poter raccontare dal di là
cosa sta succedendo. Tutti tra Suruç e Mehser, ci hanno messo in guardia: sono
molte le difficoltà per entrare, dall’ottusità
Non è stato facile entrare, è stata una di
quelle occasioni che si prendono o si perdono. Siamo andati a Suruç
alla ricerca di un’autorizzazione governativa, che fino a ieri sera era negata
a chiunque. Abbiamo poi rincorso funzionari governativi tra la sede del DBP, il
centro culturale Amara e i campi di rifugiati, finendo per ritrovarci in coda
alla frontiera insieme ad altri 50 giornalisti. Tutto questo proprio
mentre, durante una conferenza stampa nella sede del Comune, si diceva che la
frontiera sarebbe stata chiusa ancora a lungo. E’ stato tutto veloce e confuso,
ed improvvisamente eravamo entrati a Kobane liberata.
La città, presidiata da un gran numero di
combattenti Ypg/Ypj, è totalmente distrutta e devastata. Camminando
per le vie della città nel silenzio più totale, ci rendiamo conto che servirà
uno sforzo enorme per riportare a casa le migliaia di sfollati – 300mila a oggi
secondo le fonti del Comune, di cui solo il 10% gestito dal governo turco –
perché ogni singolo edificio presenta segni inconfondibili della battaglia:
piani crollati, fori di proiettili sui muri, vetrine esplose, crateri nelle
strade. Non si è trattato solo di una battaglia per difendere una città: è
evidente come l’Isis abbia, deliberatamente, tentato di radere al suolo Kobane
per cancellare così l’esperienza politica della Rojava.
Avanzando tra le macerie – secondo il Comune
di Suruc, l’80% della città è stata rasa al suolo – si possono scorgere i resti
di quella che doveva essere una città di confine abitata e vivace: i numerosi
negozi hanno oggi le vetrine rotte, ma i prodotti in vendita, ricoperti di
polvere, sono rimasti dove erano, a immagine di una Kobane viva. Il
silenzio, rotto da colpi di kalashnikov, di artiglieria e i proiettili di
mortaio inesplosi a centinaia, ci ricorda che qui – e in altri 15 villaggi – la
battaglia è vinta, ma che tutt’intorno la guerra continua.
In Piazza della Resistenza incrociamo alcuni
automezzi dello Ypg che portano i combattenti al fronte, ci offrono un
passaggio a est, e noi decidiamo di accettarlo. Ci fidiamo di loro, ,
combattono il peggior nemico
Su queste macerie, a partire dalla speranza
che dà l’esperienza della Rojava, deve ora cominciare la ricostruzione, come ha
anche affermato in conferenza stampa Ibrahim Ayhan, parlamentare curdo
Il giorno successivo siamo di nuovo in
Turchia, nel villaggio di Misaynter. Siamo qui per incontrare alcuni vecchi
combattenti
Ce lo dice chi ha ancora dei figli in
combattimento nei villaggi limitrofi; i più anziani diventano così i portavoce
delle storie di chi ancora non possiamo incontrare: i giovani YPG e YPJ che
vivono il conflitto, che ancora durerà a lungo, come ci dicono i rumori dei
bombardamenti in lontananza. Aidin, ad esempio, ci racconta di suo
fratello, soldato in Turchia che ha scelto all’inizio
Continua Amin: “Tutto quello che sta
succedendo a Kobane è responsabilità
Sono in tanti disposti a impegnarsi per
questo processo, in diversi modi: quando usciamo dalla casa un pullman sta
entrando nel villaggio. Sono 45 persone arrivate da Istanbul per portare viveri
e portare solidarietà ai villaggi, si fermeranno per la notte.
Intanto, si discute della ricostruzione di Kobane. Un processo che,
adesso che la città è stata praticamente rasa al suolo, sarebbe troppo costoso
e lungo, insostenibile: per questo sono in molti a sostenere che Kobane
potrebbe essere costruita ex novo in un altro sito vicino. Se ne
discuterà a lungo nelle prossime settimane. “Per ora, la cosa più importante è
che voi continuiate a raccontare a tanti della resistenza curda, di cosa stiamo
facendo qui”. Il nostro compito è riassunto in un cartello appeso sopra la
porta d’uscita, che dice: “Supporta chi vuole volare, o diventerai cenere”.
Nena News