Posted date: February
22, 2015
Tanto si
è detto e scritto in questi ultimi quattro mesi sulle donne curde, in
virtù di quello che accadeva a Kobane, in Rojava (Kurdistan siriano). Si
è dato spazio soprattutto alle immagini delle donne curde, donne che solo in pochi conoscevano, per evidenziare la loro
giovane età, la loro bellezza e il fatto che avessero imbracciato
un’arma. Ma questo non è che
l’aspetto più superficiale di quanto sta accadendo in quella parte
di Medio Oriente. Sì, perchè le donne curde lì stanno
facendo una rivoluzione, ma in tutti gli ambiti della società. E
l’aspetto militare non è che uno fra questi, e non sarebbe nemmeno
il più importante se non fosse per il particolare momento, che vede la
necessità dell’autodifesa dagli attacchi che il popolo curdo
subisce con rinnovato vigore da ISIS come prima da altri gruppi, per esempio Al
Nusra, affiliato a Al Qaeda, ma anche da parte del
regime di Assad.
Dietro i volti
delle nostre donne, dunque, c’è di più. Il loro coraggio e
la loro determinazione hanno aperto un varco che deve
lasciare spazio a un’analisi più profonda del processo cominciato
diversi anni fa con la formazione di un partito delle donne e delle
unità femminili di difesa del popolo in seno al movimento curdo,
soprattutto in Nord Kurdistan (Turchia). Il Partito dei lavoratori del
Kurdistan e il suo leader Abdullah Öcalan, da 16 anni in prigione
sull’isola di Imrali, hanno cominciato questo
processo, con un paziente e sotterraneo lavoro tra le famiglie, le studentesse,
le lavoratrici, per riflettere sul ruolo delle donne e sulla loro oppressione
nella società tradizionale curda. Abbiamo studiato e analizzato la
posizione della donna nelle diverse epoche storiche e nei diversi
luoghi, per scoprire che la donna curda subiva una doppia oppressione, come
popolo e come genere. Questo lavoro ha portato a una
presa di coscienza delle donne, che si sono sempre più impegnate in
tutti i settori della società, fino a acquisire coraggio e fiducia in se
stesse e ad assumere un ruolo attivo.
Il punto di
partenza delle donne, addirittura, ha dimostrato di essere privilegiato
rispetto a quello degli uomini: a causa dell’oppressione di genere,
l’assimilazione è stata meno invasiva. Quando
per diversi motivi le donne non hanno studiato, non hanno imparato il turco o
l’arabo, significa che non si sono assimilate al sistema, e che
gestiscono dal basso la propria famiglia e il proprio villaggio autonomamente. Questo
è il principio dell’autonomia democratica, un principio
molto femminile dunque, contro l’ideologia dall’alto verso il basso
dello stato-nazione.
Piano piano le
donne sono arrivate a contare di più, sia in famiglia, sia in politica,
sia nell’economia e nella società in generale. Si sono formate
associazioni, cooperative, perfino agenzie di stampa di donne, per rispondere
con azioni concrete a questa oppressione. Le donne si
sono prese il loro posto anche nel sistema
rappresentativo: il modello dell’autonomia democratica, che è
quello che oggi i curdi stanno cercando di realizzare in Turchia come in Siria,
non prevede la riproposizione di un nuovo stato-nazione con il suo portato di
schiavitù e oppressione, bensì la realizzazione di ciascuno con
le sue peculiarità insieme agli altri, che siano gruppi
etnico-linguistici, religiosi, politici e di genere. Da qui il meccanismo della
co-presidenza di genere: ossia non un presidente e un vice,
ma due presidenti di cui un uomo e una donna. E in tutti gli organismi
rappresentativi funziona così, non solo per il
genere ma anche per le diverse componenti della società, musulmani,
zoroastriani, cristiani, ezidi, arabi, turcomanni.
Contro questo
sistema si è scagliato IS, lo Stato Islamico, che non tollera la
diversità, e che vede la donna come una minaccia da rinchiudere, salvo
averne paura sul campo di battaglia in quanto qualche religioso avrebbe
interpretato che l’essere uccisi da una donna non farebbe entrare in
paradiso dopo la morte. Ma anche il partito AKP di Erdoğan
partecipa di questa ideologia, perché ha un’idea completamente
subalterna della posizione delle donne nella società. Non a caso, tre
donne curde sono state vittima di un brutale
assassinio due anni fa a Parigi: con l’attiva parte dei servizi segreti
turchi, sono state prese di mira in quanto donne, in quanto simbolo di questa
rivoluzione che è l’autonomia democratica.
A livello
pratico, nell’attività politica rivoluzionaria all’interno
del movimento curdo, le donne hanno trovato uno spazio di libertà che ha
permesso loro di conquistare rispetto e dignità e di affrancarsi dai
ruoli subordinati tradizionali, e hanno saputo dimostrare di valere quanto e
anche più dei loro compagni maschi. C’è ancora molto da
fare ovviamente, perché la mentalità feudale saldata alla
modernità capitalistica è molto pervasiva, nessuna e nessuno ne è totalmente immune, neanche le donne stesse.
Questo processo
è ormai innescato, e sarà molto difficile tornare indietro. Ma il modello che propongono e per il quale queste donne
hanno lottato e continueranno a lottare è la potenziale soluzione ai
problemi dei popoli in Medio Oriente, e forse anche altrove. Autorganizzazione,
partecipazione, autodifesa, democrazia, ecologia: molte di queste donne, una
volta che – si spera presto – sarà
finita la guerra, non vorranno tornare a vivere in un mondo che le discrimina e
le esclude, ma vorranno continuare su questa strada: e questa è
già una rivoluzione.
di Suveyda Mahmud
European Affairs
– Monia Savioli
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