03 -03- 2015
Quattro attivisti italiani della Campagna
Rojava Calling sono riusciti ad attraversare la frontiera tra Turchia
e Siria ed hanno passato alcuni giorni nella città
che reca ancora i segni
della presenza dell’Isis. Ma nella
devastazione si fa strada la voglia
di ricominciare.
della Campagna Rojava Calling*
Kobane, 3 marzo 2015, Nena News – Abbiamo preferito le immagini alle parole. Cinque
giorni dentro Kobane sono abbastanza
per scegliere un altro punto di
vista sul mondo. Quello della
rivoluzione possibile. Questo è il motivo per cui abbiamo
paura della retorica e non riusciamo ad immaginare un testo in grado di contenere
tutto quello che abbiamo vissuto
correndo oltre il filo spinato per oltrepassare quella maledetta frontiera, con luci e fucili dell’esercito turco puntati alla
schiena.
Se fosse un altro posto, un qualunque altro posto, quelle strade
piene di macerie, cadaveri e resti umani, sarebbero
la cosa più simile all’inferno che si può immaginare
sulla terra. E invece la libertà, così difficile da immaginare realizzata
per noi che abbiamo perso il sapore della conquista, ha trasformato quel disastro in nuove fondamenta. Sola
come durante la guerra, Kobane lentamente si sta rialzando sulle
proprie gambe e giorno dopo giorno
raccoglie le migliaia di abitanti che
aveva messo al sicuro a Suruç e che ora sono
pronti a ricominciare dove il Daesh li
aveva violentemente interrotti.
Non siamo giornalisti. Siamo parte di
un progetto collettivo, Rojava calling, che da mesi
supporta e sostiene questa esperienza. Quello che raccontiamo
è un tentativo di restituire la verità della Rojava
anche attraverso l’atrocità
Abbiamo battuto quartiere per quartiere la città distrutta, addentrandoci tra i passaggi
segreti che i combattenti e le combattenti hanno
aperto tra i palazzi per non esporsi mai ai
cecchini dell’Isis. Quegli stessi varchi
grazie ai quali metro dopo metro i compagni
hanno riconquistato
la città. Siamo
saliti fino alla cima della collina che oggi porta
il nome di
Arin Mirkan sulla quale è stata
issata l’immensa bandiera che ha sancito la liberazione. Abbiamo chiacchierato con i combattenti e le combattenti dello YPG e YPJ di resistenza, pratiche rivoluzionarie, strategie di smantellamento
della mentalità patriarcale, capitalismo e liberazione.
Abbiamo assistito alla prima riunione ufficiale dei tre cantoni
che hanno scelto quel teatro
apocalittico per discutere insieme non solo della ricostruzione di Kobane ,
ma pure
Non dobbiamo dimenticare che Kobane, la Rojava, il confederalismo democratico sono il risultato di
un esperimento praticato negli ultimi decenni
da un’organizzazione, il Pkk, che
oggi ancora viene accostata al terrorismo e costretta alla clandestinità. Tutte queste cose vanno
tenute assieme perché Kobane non diventi solo una bandiera da sventolare
ma una pratica che mira alla
riproducibilità e alla moltiplicazione. Tutto il mondo
è in debito con questa rivoluzione. Kobane, la sua gente
e la sua resistenza sono patrimonio dell’umanità. Nena News
*I quattro attivisti fanno parte di Milano
in movimento e