March 04, 2015
Attraversando con una barca il fiume Tigri siamo arrivati dall’Iraq in Siria, nella regione del
Rojava, la zona autonoma a maggioranza curda del nord del paese.
Una missione molto complessa passando dal
fronte iracheno a quello siriano, per portare aiuti ai
2 milioni di persone che vivono sotto assedio in questo pezzo di Siria.
Da tempo operiamo a favore dei rifugiati
siriani in Iraq, Giordania e Libano ma il vero dramma è interno alla
Siria, con una generazione perduta di bambini che non vanno a scuola, hanno
perso le loro case e tante famiglie distrutte o lacerate da 4 anni di interminabile conflitto.
Ad oggi secondo l’Onu sono 12 milioni
le persone in stato di necessità in Siria, di cui 7,6 milioni sono
sfollati.
E poi ci sono 3.8 milioni di rifugiati siriani nei paesi
limitrofi, di cui molti guardano all’Europa per ricostruirsi
un’esistenza. Solo nel 2014 sono arrivati in Europa più di 134.000
siriani.
Questo popolo sta soffrendo un supplizio
lunghissimo e c’è ormai chi scherza amaramente tra i siriani dicendo che la guerra finirà quando il paese
sarà del tutto svuotato. Per questo è necessario rientrare in
Siria, per portare aiuti e sostenere ogni sforzo di pace e convivenza.
Dopo il confine iracheno la
prima città siriana che si incontra è Derik/Al-Malikiyah. Qui sono
arrivati migliaia di sfollati da altre parti della Siria e lo scorso agosto
anche tantissimi yazidi fuggiti dalle montagne irachene a seguito delle persecuzione dello Stato Islamico (IS).
Il campo profughi di Newroz a Derik ospita
almeno 7.000 persone con pochissimi servizi e senza una scuola o uno spazio
dedicato per i bimbi. Ad oggi è impossibile portare aiuti regolarmente
in Siria. L’Onu è poco presente nelle aree, come
questa, non controllate dal regime di Damasco. Nella città di
Derik, come in tutto il Rojava, ci sono anche la chiesa caldea, quella armena e quella siriaca, si convive pacificamente,
nonostante la guerra. Si vive in estrema povertà, con 80 dollari al mese, quando va bene.
La regione del Rojava è assediata da
un lungo fronte contro l’IS ed ha alle spalle
In Rojava mancano le medicine e tanti beni di
prima necessità, gli ospedali sono al collasso con i macchinari senza
pezzi di ricambio e con i medici fuggiti.
Le scuole cadono a pezzi ma
continuano ad essere aperte se non sono state distrutte dalle bombe di IS. Ed
oltre all’aiuto materiale i responsabili dell’educazione ci hanno
chiesto di aiutarli a formare i loro docenti ed assistenti sociali sulla
gestione dei traumi dei bambini a partire dalle
scuole.
Hanno infatti la
lungimiranza di capire che il trauma violento di questa guerra va lenito e
affrontato, per dare un futuro alle nuove generazioni.
Due operatori sono stati uccisi in un agguato
di IS, mentre andavano a soccorrere dei feriti. Freddati mentre correvano in ambulanza. E per questo ora non
possono rispondere alle chiamate di emergenza. Il
rischio è finire in una trappola di IS.
Hanno però enorme coraggio e
percorrono tutto il paese in soccorso delle vittime del conflitto e con loro
organizzeremo molto presto i primi convogli umanitari.
Il Rojava è la
regione diventata nota per la battaglia di Kobane. Ma è da 4 anni
che quest’area si è resa semi-autonoma dal regime di Damasco ed
è governata da una coalizione di partiti locali
che comprende forze curde, arabe, cristiane, yazide.
Sono nati giornali, radio, media indipendenti
e le istituzioni autonome hanno abolito il matrimonio precoce e la poligamia
che ora è punita con l’arresto. La violenza domestica è
perseguita dalla legge ed è stata creata una rete di sostegno alle donne
che la subiscono. Ogni carica pubblica è
ricoperta da una donna e un uomo.
A marzo ci saranno le elezioni municipali, a
cui i circa 50 partiti presenti potranno partecipare. A settembre potrebbero
svolgersi le presidenziali. A livello politico la situazione non è
semplice perché buona parte della popolazione è mobilitata per
difendersi dallo Stato Islamico, la cui capitale, Raqqa, dista poche decine di
chilometri dall’ultimo avamposto dell’YPG/YPJ,
l’esercito del Rojava.
Esercito in parte composto da
donne, molte giovanissime. Esercito non riconosciuto al di fuori del Rojava ma
che ha aderito alle Convenzioni di Ginevra per la protezione dei civili in
guerra e per porre delle regole base anche a questo sanguinoso conflitto.
Buona parte del popolo del Rojava si è
auto-organizzato per difendersi e proteggersi. Avviando la costruzione di istituzioni laiche e gettando semi di convivenza civile.
Non sappiamo come andrà avanti questa esperienza. Sappiamo però che queste persone,
come tanti altri siriani, non vanno abbandonati al loro destino.
Va sostenuta la loro battaglia per esistere e
darsi un futuro di pace.
Alcune donne curde ci hanno raccontato il
Rojava come una rosa che stanno coltivando, e come ogni rosa le spine servono a
proteggerla. Ma non sono assolutamente felici di vivere in una guerra ed un
assedio permanente, né di vedere le loro figlie ed i loro figli morire
per combattere il terrore cieco di IS.
E per non lasciarli soli, con loro, costruiremo un
nuovo ponte.
di Domenico Chirico, Un ponte per…
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