Posted date: March
05, 2015
Combattono la
loro guerra di Liberazione dall’IS e difendono anche la nostra
libertà. Ozlem Tanrikulu propone di dedicare l’8 marzo alle donne
del Rojava e alla resistenza del YPG
Ozlem Tanrikulu
è
Le
guerrigliere kurde sono state in primo piano nella lotta contro l’IS. Puoi
parlarci del ruolo che le donne ricoprono nella cultura kurda e nella lotta
armata?
Le donne nel movimento curdo stanno prendendo parte alla lotta per
l’autodeterminazione in tutti i settori della società. Le forze di
difesa sono solo uno dei vari ambiti: il lavoro di
controinformazione e di denuncia, il lavoro di cura e di sostegno insieme al
lavoro per la pace mostrano la strada verso nuovi rapporti di genere basati
sulla libertà e liberi dall’oppressione. Ne
è parte anche la scelta della co-presidenza, ossia la doppia
rappresentanza di genere per ciascun incarico di responsabilità sia dal
punto di vista militare sia per le cariche elettive. A livello pratico,
nell’attività politica rivoluzionaria all’interno del
movimento kurdo, le donne hanno trovato uno spazio di libertà che ha
permesso loro di conquistare rispetto e dignità e di affrancarsi dai
ruoli subordinati tradizionali. C’è ancora molto da fare
ovviamente perché la mentalità feudale saldata alla
modernità capitalistica è molto pervasiva, nessuna e nessuno ne è totalmente immune.
L’otto
marzo è
Noi pensiamo che ciascuno debba risvegliarsi e lottare per sé, che non
arriverà nessuno da fuori a “salvarci”. Dev’essere una
presa di coscienza di tutte le donne del mondo, in ciascun contesto
secondo le possibilità reali del momento e del luogo. L’otto marzo
si ricorda la presa di coscienza seguita alla strage di operaie
chiuse a chiave dentro la fabbrica per la quale lavoravano negli Stati Uniti. Se
c’è un filo conduttore, eccolo: l’otto marzo è una
giornata simbolica per tutte le donne, che deve ricordarci che questo cammino
– dall’analisi alla presa di coscienza fino alla decisione concreta
di cambiare le cose – è un percorso che va scelto, deciso, e
portato avanti secondo le proprie possibilità, tenendo presente che non
sarà un percorso lineare e uguale per tutte, ma che a livello mondiale
va perseguito. A mio parere, il senso dell’otto
marzo è dare a tutte le donne il coraggio di
dire che questo percorso è possibile. Noi come donne curde chiamiamo
tutte le organizzazioni delle donne a dedicare
Avete
incontrato le riflessioni femministe?
Siamo passate attraverso la fase dello studio delle esperienze rivoluzionarie
degli altri popoli, e anche quelli delle donne, per poter elaborare un sistema
originale che si adattasse al nostro contesto. Sono
state fondate accademie femminili dove le donne hanno la possibilità di
formarsi, di discutere, di conoscere i diversi sistemi e movimenti. Ci sono
anche occasioni di scambio diretto; ci siamo incontrate con donne dall’Europa
e da altri luoghi così abbiamo potuto confrontarci dialetticamente e
direttamente, mettendo alla prova i concetti teorici. Un punto su cui abbiamo fatto un percorso parallelo a quello femminista
è la messa in crisi del concetto di potere/dominio maschile, che
è poi quello sottostante allo stato-nazione storicamente inteso: se si
resta ferme al concetto che un cambiamento avviene solo attraverso la presa del
potere, possiamo al limite ottenere un cambio di regime e avere qualche
possibilità in più ma non avremo cambiato la società, non
avremo fatto una vera rivoluzione. Ci può essere un primo momento in cui
le donne si organizzano autonomamente e mostrano che sono capaci di prendere in
mano le loro vite senza aspettare il permesso da un
uomo, che sia il loro padre, marito, o il loro comandante. Non si tratta di una
libertà esteriore nella quale la donna imita l’uomo o guadagna il
privilegio di farsi sfruttare al pari dell’uomo dalla modernità
capitalistica. Questa è una falsa idea di libertà. Successivamente, quando le donne avranno imparato ad avere
fiducia in se stesse, potranno portare il loro esempio di vita concreto come
modello per le relazioni fra generi a qualsiasi livello della società:
non è strano sentire, ad esempio, combattenti peshmerga che in Sud
Kurdistan, nelle unità congiunte di difesa costituite per evitare nuovi
massacri contro gli ezidi a Şengal, affermino che preferiscono farsi
comandare da donne combattenti delle YPG o delle HPG perché più
affidabili dei loro comandanti maschi.
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Kobane
libera
Il 26 gennaio,
dopo 134 giorni di resistenza agli attacchi di ISIS,
Kobane è stata liberata dalle forze di difesa del popolo YPG e YPJ. Dopo
quattro mesi di combattimenti, le donne e gli uomini dell’Unità di
protezione popolare sono riusciti a prendere il controllo di Kobane,
ricacciando i miliziani jihadisti nei sobborghi est della città. Una
vittoria importante e simbolica non solo per la sconfitta di IS
ma anche, e forse soprattutto, per la riconquista di quella libertà da
sempre rappresentata dal sistema del Rojava.
Contro
l’avanzata dello Stato Islamico, Kobane ha combattuto potendo contare
solo sulle sue forze. Perché
Con la bandiera
che sventola sulla collina di Mistenur, e prende
così il posto di quella dello Stato Islamico, Kobane liberata è
il segno della possibilità di sconfiggere l’ISIS. Non solo;
è il simbolo della difesa dell’uguaglianza, della giustizia e
dell’autodifesa del proprio territorio, il Rojava, e in questo
costituisce un’alternativa politica radicale.
UIKI
impegnato a denunciare la repressione e la violazione dei diritti cui è
sottoposto il popolo kurdo, a promuovere la pace e la solidarietà tra i
popoli attraverso attività di sensibilizzazione e informazione. A Roma per discutere della resistenza
kurda nel Rojava, Ozlem ci parla del significato della liberazione di Kobane e del ruolo, centrale, che le guerrigliere kurde
hanno ricoperto nella lotta contro l’ISIS.
Le
guerrigliere kurde sono state in primo piano nella lotta contro l’IS. Puoi
parlarci del ruolo che le donne ricoprono nella cultura kurda e nella lotta
armata?
Nel movimento curdo, le donne stanno prendendo parte alla lotta per
l’autodeterminazione in tutti i settori della società. Le forze di
difesa sono solo uno dei vari ambiti. Il lavoro di
controinformazione e di denuncia, il lavoro di cura e di sostegno insieme al
lavoro per la pace – come quello svolto dalle organizzazioni sociali
delle donne, dalle cooperative, dalle “madri per la pace” ad
esempio -, seppure possa essere visto come l’esercizio di un ruolo
più tradizionalmente femminile, mostra la strada verso nuovi rapporti di
genere basati sulla libertà e liberi dall’oppressione. Ne fa parte
anche la scelta della co-presidenza, ossia la doppia rappresentanza di genere
per ciascun incarico di responsabilità, dal punto di vista militare
così come per le cariche elettive. Nelle sue analisi, il nostro
presidente Öcalan ha chiarito come la donna sia sottoposta a una doppia oppressione, come curda e come donna,
un’oppressione trasversale, ma come nell’antichità non fosse
così, poiché le donne godevano di molta libertà e
autonomia. A livello pratico, nell’attività politica
rivoluzionaria all’interno del movimento kurdo, le donne hanno trovato
uno spazio di libertà che ha permesso loro di conquistare rispetto e
dignità e di affrancarsi dai ruoli subordinati tradizionali. Le donne
hanno saputo dimostrare di valere quanto e anche più dei loro compagni
maschi. C’è ancora molto da fare ovviamente, perché la
mentalità feudale saldata alla modernità capitalistica è
molto pervasiva, nessuna e nessuno ne è totalmente
immune.
A tuo
parere, che conseguenze comporta la liberazione di Kobane?
La liberazione di Kobane è un bellissimo
risultato al quale siamo arrivati grazie alla determinazione e all’eroica
resistenza della popolazione, della città e dei tanti che sono accorsi
in suo sostegno, nonostante le difficoltà poste al confine dalla
Turchia. Ma non è finita qui. I villaggi
intorno alla città sono ancora in mano a ISIS
così come proseguono i combattimenti per liberare la regione di
Şengal in Iraq, il monte sacro agli Ezidi, e le altre zone in mano ai
terroristi. Dunque, sono ancora valide e urgenti le
richieste di un corridoio umanitario per portare aiuti alla popolazione civile
e per ricostruire oggi la città di Kobane. Riconoscere i cantoni del
Rojava e ciò che a livello sociale stanno
praticando, e isolare quei paesi che ancora sostengono e supportano le bande di
ISIS, paesi che non hanno a cuore la pace e i diritti dei popoli, ma che
perseguono i propri interessi. Serve, dopo la liberazione di Kobane, un cambiamento
nella politica della regione senza il quale non si
potrà arrivare alla pace e alla stabilità.
di
Marta Facchini NOI DONNE
© 2013 UiKi ONLUS Team