06 -03- 2015

Per la prima volta la Coalizione Nazionale apre ad Assad: “La sua caduta non è precondizione al dialogo”. Dietro sta il fallimento militare e diplomatico dell’Occidente che per anni ha puntato su partner locali inefficaci.

 


Le rovine di Aleppo (Foto: AraNews.net)

Le rovine di Aleppo (Foto: AraNews.net)

 

di Chiara Cruciati

Roma, 6 marzo 2015, Nena News – Come un domino: prima cade una pedina e un istante dopo si trascina con tutte le altre. Prima cadono i ribelli inventati dalla Cia, poi collassa la strategia Usa e dopo le opposizioni moderate sono costrette a rimangiarsi quanto ripetuto per tre anni: non è detto che il presidente Assad debba restare fuori dalla transizione politica siriana.

È successo tutto in pochi giorni: all’inizio di questa settimana il gruppo di ribelli Harakat Hazm, creato, armato e gestito direttamente da Washington, figlioccio della Cia con 5mila combattenti, ha sventolato bandiera bianca. Incapace di frenare il principale avversario, il Fronte al-Nusra, ha perso svariati scontri, ha visto morire decine di uomini e alla fine ha ceduto la base militare 46 di Aleppo, usata come proprio quartier generale.

Una sconfitta cocente per Obama, seppure quella che sta combattendo in Siria contro Damasco pare ormai da tempo una novella armata Brancaleone, priva di una strategia militare e cacciata in un angolo, prima che dall’esercito di Assad, dai gruppi islamisti e qaedisti.

Nonostante tale assordante assenza sul piano militare, le opposizioni moderate sostenute dall’Occidente hanno continuato per anni a rigettare qualsiasi forma di dialogo con il governo di Damasco, anche dopo l’inizio dell’avanzata dello Stato Islamico che oggi controlla quasi un terzo del paese. E per mesi hanno rigettato il piano di cessate il fuoco locale ad Aleppo, su cui l’inviato Onu de Mistura sta fondando la sua missione siriana. Assad ha detto , la Coalizione Nazionale no. Ha detto no fino a due giorni fa.

E se fino a mercoledì era stato ripetuto come un mantra il rifiuto di un tregua umanitaria ad Aleppo, ieri è arrivato il cambio di strategia, forse per l’intervento di un atavico istinto di sopravvivenza: per la prima volta il capo della Coalizione, Khaled Khoja, ha detto che la caduta di Assad non è più precondizione al dialogo. Da Parigi, Khoja ha parlato della necessità di unanuova strategia”: Insistiamo nell’obiettivo di far cadere Assad e i servizi di sicurezza. Ma non è necessario avere queste condizioni all’inizio del processo, sarà necessario alla fine del processo, con un nuovo regime e una nuova Siria”.

La notizia arriva mentre la Russia rilancia il tavolo del negoziato che aveva proposto per la fine di gennaio: ad aprile potrebbe partire una nuova conferenza di pace, fa sapere Mosca. E le opposizioni stavolta potrebbero prenderne parte: “Un’ampia sezione delle opposizioni siriane” è attesa in Russia, dicono funzionari del Cremlino.

La decisione della Coalizione sarebbe stata dettata dalle troppe sconfitte subite, soprattutto negli ultimi mesi: in questi giorni Aleppo è teatro di durissimi scontri tra le forze governative e quelle ribelli vicino ad una base dell’intelligence, target delle opposizioni. Dietro, sta però il fallimento più generale della strategia militare e politica statunitense. Mentre la Coalizione cedeva e Mosca annunciava nuovi negoziati, il segretario di Stato Usa Kerry in Arabia Saudita continuava a premere sulla caccia di Assad, a cui imporre il dialogo con la forza militare.

Washington, in Siria, ha fallito. Ha fallito nella scelta dei partner militari, gruppi di ribelli armati e addestrati ma finiti in poco tempo in un angolo del campo di battaglia. Ha fallito a livello diplomatico, incapace di rovesciare il nemico Assad per quattro anni e facendo leva su opposizioni in esilio ormai disconnesse dalla base. Ha investito denaro e aiuti militari a favore di regimi arabi il cui solo obiettivo era il crollo del governo di Damasco, obiettivo da raggiungere con ogni mezzo, anche finanziando e formando gruppi radicali che oggi minacciano la stabilità della regione.

Lo stesso scioglimento del gruppo Harakat Hazm, copertura della Cia per operazioni di armamento e mantenimento dei ribelli (armi spesso finite in mano a gruppi islamisti, come accaduto pochi giorni fa con al-Nusra che pubblicava sul web foto dei propri miliziani con in mano armi made in Usa), è sintomo inequivocabile del fallimento. Un elemento preoccupante, soprattutto in vista del programma appena lanciato in Turchia di armamento e addestramento di 15mila ribelli moderati siriani. Nena News