April 01, 2015
di V.S., assegnista in sociologia
dell’Università degli Studi di Urbino e militante politico di
base.
Non sono un esperto della storia e delle
lotte del popolo Kurdo, lo dichiaro come premessa, perché una delle
ragioni fondamentali del viaggio che ho intrapreso è stata la conoscenza
ed il desiderio di condivisione politica e perciò umana.
Certamente sono molti anni che seguo le
vicende della lotta per l’indipendenza dal popolo kurdo. Nel mio studio
pieno di libri e carte ammucchiate a strati tempo fa ho riesumato un volantino
della associazione Ya Basta del 1999 “Il cuore d’Europa”. Si
racconta dell’assalto alla Turkish Airlines a Roma con l’ariete,
dei treni collettivi contro le frontiere, delle manifestazioni per la
libertà di Ocalan che sono state le mie prime esperienze politiche fuori
da Bologna.
Più recentemente attraverso gli
articoli dell’ottima rivista Nunatak e grazie alla rete internet ho
conosciuto la nascita dell’esperimento di autogestione ed autonomia
locale in senso comunista dei Cantoni Curdi del Rojava, nel nord della Siria. Poi
ci sono stati due eventi che mi hanno convinto a non accontentarmi della
simpatia passiva: l’articolo di David Greaber in sostegno alla
rivoluzione in Rojava e la notizia che il giovane Karim del centro sociale
Arvultura di Senigallia, dopo un breve soggiorno nei campi profughi sulla
frontiera di Suruc, aveva scelto a Gennaio di arruolarsi nelle YPG, le forze
armate del PKK in Siria. A Novembre in collaborazione con dei compagni
anarchici del Piemonte abbiamo contribuito ad organizzare un ciclo di incontri
a Rimini, Urbino, Ancona, Chieti etc. che hanno riscosso molto interesse. Infine
sono interessato ad approfondire i punti di contatto e le differenze sociali e
politiche tra l’esperienza della “democrazia radicale”
zapatista in Messico che ho conosciuto molto bene ed il progetto del
“confederalismo democratico” in Kurdistan.
Il 17 Marzo siamo partiti in due compagni
autonomi, dalla costa Est, con la iniziativa “Carovana per il Newroz
Poiché volevamo raggiungere almeno
Kobane per avere un contatto diretto con i compagni e le compagne del Rojava,
ci siamo iscritti nel gruppo di osservatori che è stato basato a
Sanliurfa nel sud-est della Turchia. E’ una città molto grande con
più di un milione e mezzo di abitanti, ricca di storia stratificata nel
suo centro e densamente costruita nei sobborghi pieni di palazzoni, negozi e
viali frutto del boom immobiliare. L’itinerario organizzato ci ha portato
a compiere una serie di viste divisi in gruppi di 20 persone che si alternavano
nei vari giorni a visitare nell’ordine: i campi profughi Ezidi e la
municipalità dell’HDP di Viransehir,
Ad Urfa e Viransheir abbiamo partecipato alle
festività del Newroz. La celebrazione ha l’aspetto di un grande
festival di musica, balli, comizi si svolge in grandi spazi pubblici e vede la
partecipazione di tutte le classi sociali e le età. Intorno uno
dispiegamento di polizia in numero moderato vigila, perquisice gente agli
ingressi, qualche compagno italiano sporadicamente viene fermato senza troppa
convinzione, basta che ci facciamo sotto in gruppo per dissuadere la polizia da
ulteriori azioni. Entrambe le feste, come la maggior parte di quelle che si sono
svolte in Kurdistan, finiscono senza scontri, per la prima volta in
trent’anni. Nell’aria c’è un tentativo avvio di un
processo di pace tra il PKK ed il governo, promosso dalla proposta di Ocalan
che dal carcere invita a lasciare la lotta armata in Turchia in cambio di una
reale riforma costituzionale democratica. Tanto basta per calmare gli animi in
strada, ma solo per qualche giorno. E’ notizia di ieri che sono
ricominciate le operazioni militari contro il PKK in territorio turco e la
repressione contro i movimenti ad Istanbul ed Ankara a suon di arresti e
feriti.
L’accoglienza a Suruc non è
stata delle migliori. Per giorni i nostri accompagnatori curdi avevano provato
a dissuaderci dal raggiungere l’obiettivo di entrare a Kobane per non
precisati problemi di sicurezza ed organizzativi. In realtà nel corso
delle assemblee che siamo riusciti ad organizzare con la delegazione, non erano
emerse motivazioni esplicite per riunciare se non il rischio di essere bloccati
dal potere discrezionale della autorità militari. Così abbiamo
spinto, anche contro il parere delle parti più moderate della
delegazione, per inoltrare comunque la richiesta alle autorità di
frontiera per l’ingresso di tutti e 60 i membri della delegazione. Era
infatti importante secondo noi rendere esplicito il sostegno politico
all’esperienza del Rojava, il nostro tributo di rispetto e pietà
per i morti nella difesa di Kobane, la nostra solidarietà militante. Putroppo
il 21 marzo è iniziato sotto i peggiori auspici. La sera prima è
arrivata la notizia della doppia autobomba contro il newroz curdo di Hasake,
nel cantone di Cizire, Rojava orientale. Mentre il conto dei morti continuava a
salire la pioggia cadeva fitta. Siamo arrivati comunque con due furgoni con 40
persone sul confine senza nessun accompagnatore locale. La città
appariva tristissima sotto il cielo grigio, grigie le tende dei campi profughi,
grigi i palazzi sbrecciati e la strada infangata. I militari di guardia al
confine hanno dissuaso l’autista anche solo a sostare, fuori la pioggia
cadeva battente, i furgoni sono tornati indietro. Avremmo voluto fare di
più per tentare altre forme di protesta e manifestazione sul confine ma
non era chiara la volontà dei nostri interlocutori curdi a questo
proposito e la delegazione non era unanime sui modi e i tempi
dell’azione.
Il giorno dopo siamo tornati a Suruc, abbiamo
incontrato il sindaco curdo del municipio che scusandosi per il disagio del
blocco del giorno prima ci ha spiegato come anche per i curdi e per altre
delegazioni il blocco della frontiera sia un problema grave. Per non parlare
dei tanti combattenti e profughi morti bloccati sulla frontiera. Mentre
l’esercito turco infatti dava riparo e cure negli ospedali delle
città di frontiera ai combattenti di Isis, ha lasciato morire decine di
combattenti kurdi dissanguati nelle auto e nelle ambulanze. Nel villaggio di
Mesher splendeva il sole e sotto una capanna di terra cruda ci hanno mostrato
un piccolo santuario nascosto con decine di foto di caduti del PKK, del JPG e
YPG, tra cui ho riconosciuto anche la foto di Ashley Johnston, Australiano,
caduto in combattimento nelle scorse settimane.
Riusciamo a fermarci sulla linea di
frontiera. In militari ci spiano dalle torrette con i binocoli. Noi guardiamo
di là, a poche centinaia di metri Kobane, uno scheletro grigio da cui si
alzano sul fare della sera dei fuochi di bivacchi. Sventolano le bandiere
triangolari delle JPG, la stella rossa per ora ha vinto. Intorno gli animali
pascolano sul prato attorno ai reticolati che dividono l’inferno dal
resto del mondo, i bambini giocano e si fanno fotografare. Parliamo con gli
abitanti che raccontano storie terribili, la violenza della frontiera contro i
combattenti curdi, la connivenza dei militari con i terroristi di Isis, la
solidarietà della gente comune, i tentativi di sfondare il cordone
militare per portare aiuto alla città assediata.
Oggi la fase della resistenza armata di
Kobane sembra finita, ma non è certo arrivata la pace, anzi lo
schieramento militare sul confine è imponente ed il nemico sono come
sempre i curdi. Dopo la liberazione di Kobane, molti profughi hanno già
iniziato a fare ritorno anche se ci raccontano come dall’altra parte
della frontiera la situazione sia tutt’ora precaria e rischiosa. Tra le
delegazioni presenti nella carovana è sicuramente la più
importante quella della Mezzaluna Rossa Kurdistan, basata a Livorno e sostenuta
da tanti compagni e compagne italiani e curdi. Il loro obiettivo immediato
è assistere il ritorno dei profughi e la ricostruzione del cantone di
Kobane ed il sostegno alle altre necessità urgenti nel Rojava. Mi
è sembrato che il loro approccio alla cooperazione “dal
basso” sia di buona qualità, cosciente dei limiti ma anche delle
potenzialità di una iniziativa indipendente dalle grandi ONG ed agenzie
governative. In queste settimane stanno completando una ricognizione sul
terreno e poi hanno lanciato alla delegazione la proposta di promuovere per il
25 aprile delle iniziative in sostegno alla lotta per l’autonomia e
l’autodeterminazione in Kurdistan che personalmente sostengo nelle
Marche.
Il bilancio dell’iniziativa è
per me comunque positivo, con qualche criticità sulle modalità
dell’organizzazione, viziata da una mancanza di organizzazione e di
coordinamento politico che avrebbe potuto essere più inclusivo verso chi
non aveva nessuna preparazione né conoscenza specifica del contesto e
più decisa nel manifestare un sostegno politico da parte di compagni di
base al progetto di autonomia democratica del Rojava. Infatti la mancanza di
coordinamento e di coesione tra i vari compagni/e autonomi ed anarchici nella
carovana ha lasciato tutto il risalto alle figure istituzionali e sindacali con
cui le autorità curde cercano comunque una interlocuzione privilegiata. Se
questo è comprensibile per motivi tattici ed anche di affinità
politica da parte dei compagni curdi, non giustifica la mancanza di iniziativa
e di proposta politica organizzata dentro la carovana di quelle componenti che
da anni fanno dell’autonomia politica e dell’autogestione una parte
fondante della propria identità e pratica. Sta infatti a noi compagni e
compagne della tendenza autonoma essere in grado di proporre un discorso ed una
capacità di ascolto ed organizzazione all’altezza dei bisogni del
presente. Infine un ultimo appunto: la nostra delegazione arrivata sulla
frontiera non è stata in grado di comunicare nulla. Troppi compagni/e
della delegazione si sono comportati come turisti, fotografando tutto prima
ancora di presentarsi e di conoscere dove erano arrivati. Poca o nessuna
riflessione è stata fatta sulla nostra presenza. Purtroppo la
qualità umana del nostro comportamento, il superamento dei pregiudizi
eurocentrici e maschilisti è il primo passo da compiere quando ci si
relaziona con dei contesti simili, pochi lo fanno. Tuttavia come compagni rivoluzionari,
abbiamo aperto una piccola porta, su una realtà molto grande e
complessa, spazio e tempo a chi potrà per approfondire un terreno di
lotta molto importante ed interessante per quello che verrà.
di V.S., assegnista in sociologia
dell’Università degli Studi di Urbino e militante politico di
base.
© 2013 UiKi ONLUS Team