il manifesto

Kobanê, i colori della democrazia

Siria. Con il Rojava, una battaglia universale. E il gemellaggio con Roma

Edizione del 06.05.2015

Dyar­ba­kir è da sem­pre una fron­tiera. Nell’antichità è stata l’ultima for­tezza dell’Impero romano oltre la quale pre­meva l’impero per­siano. Oggi è la retro­via di un altro sto­rico con­flitto, quello dei curdi del Rojava con­tro la nera com­pa­gine del calif­fato islamico.

Nella capi­tale sim­bo­lica del Kur­di­stan turco, Amed (Dyar­ba­kir), si è svolta una con­fe­renza molto impor­tante, «Recon­struc­ting Kobanê», dove si è discusso delle solu­zioni con­crete e delle impli­ca­zioni poli­ti­che rela­tive alla rico­stru­zione della città che, situata poco oltre il con­fine turco, nel Kur­di­stan siriano, ha resi­stito per 136 giorni all’assedio delle forze mili­tari dell’Isis.
«Rebuil­ding Kobanê is reclai­ming the values of huma­nity», que­sto è lo slo­gan dell’iniziativa pro­mossa dal pre­si­dente dell’assemblea del can­tone di Kobanê Enwer Muslim, e soste­nuta dalla muni­ci­pa­lità di Dyar­ka­bir, a cui hanno par­te­ci­pato 350 dele­gati pro­ve­nienti da tutto il Kur­di­stan, ed espo­nenti della piat­ta­forma euro­pea «Recon­struc­tion of Kobanê».

Con que­sta ini­zia­tiva, oltre a pro­muo­vere e orga­niz­zare una neces­sa­ria rico­stru­zione, facendo anche appello agli aiuti inter­na­zio­nali, si vuole far com­pren­dere al mondo quanto sia impor­tante la resi­stenza curda con­tro l’Isis, in una guerra che è ancora in corso e che ha pro­vo­cato enormi deva­sta­zioni: mol­tis­sime per­sone hanno perso la vita e in decine di migliaia hanno per­duto le loro case in seguito all’assedio.

Ma Kobanê, che è stata defi­nita una Sta­lin­grado del Medio Oriente, non è impor­tante sola­mente per il valore mili­tare della sua eroica resi­stenza, o per il suo ruolo sim­bo­lico di bar­riera morale alla bar­ba­rie sca­tu­rita dal caos medio­rien­tale e dal ciclo ven­ten­nale delle cata­stro­fi­che guerre del Golfo. Il suo valore va letto al di fuori di Kobanê, nell’esperienza della con­fe­de­ra­zione del Rojava, l’entità auto­noma pre­va­len­te­mente curda sca­tu­rita dalla crisi siriana, la quale rap­pre­senta una solida bar­riera con­tro la bar­ba­rie dell’Isis e dell’integralismo, ma anche degli auto­ri­ta­ri­smi che oppri­mono il popolo curdo e tutto il Medio Oriente, non per ragioni morali e mili­tari ma per pro­fonde ragioni poli­ti­che. La vera rispo­sta del Rojava alla bar­ba­rie infatti è quella di met­tere al cen­tro della resi­stenza il valore della demo­cra­zia. Una demo­cra­zia reale costruita dal basso e non espor­tata a suon di bombe, che ha già pro­dotto un espe­ri­mento poli­tico valido per tutti, dal Medio­riente all’Europa. Il Rojava si è infatti strut­tu­rato come con­fe­de­ra­zione di comu­nità locali che pra­ti­cano la demo­cra­zia diretta basata su prin­cipi socia­li­sti ed egualitari.

Ma per­ché pro­prio nel Rojava curdo si sta pro­du­cendo que­sto espe­ri­mento? Sem­bra para­dos­sale ma vi è un filo rosso che lega la Selva Lacan­dona degli zapa­ti­sti in Mes­sico al Rojava curdo, e que­sto filo rosso è il muni­ci­pa­li­smo liber­ta­rio. Dalla Selva e da Porto Ale­gre a fine anni Novanta, men­tre i poteri finan­ziari glo­bali inde­bo­li­vano lo stato nazione desta­bi­liz­zando il mondo mili­tar­mente ed eco­no­mi­ca­mente, il neo­mu­ni­ci­pa­li­smo si dif­fon­deva ovun­que e anche in Ita­lia, con l’esperienza della rete dei nuovi municipi.

Ed è inte­res­sante sapere che que­sto feno­meno ha inve­stito anche i curdi, deter­mi­nando una svolta sto­rica nella loro lotta. Infatti è noto che il loro lea­der sto­rico Abdul­lah Öca­lan, oggi nelle car­ceri tur­che, ha incon­trato il pen­siero dell’americano Mur­ray Boo­k­chin, che è tra i prin­ci­pali teo­rici dell’ecologia sociale legata al muni­ci­pa­li­smo liber­ta­rio. Lo stesso Boo­k­chin viene ripreso oggi da David Har­vey per sug­ge­rire il suo fede­ra­li­smo assem­bleare come solu­zione alle apo­rie interne al dibat­tito sui beni comuni.

Sca­tu­rito da que­sto mede­simo ceppo, l’esperienza del Rojava costi­tui­sce una pro­po­sta poli­tica che potrebbe diven­tare un esem­pio per la solu­zione di con­flitti dram­ma­tici che scon­vol­gono il Medio­riente ben prima della com­parsa dell’Isis, e con esso il mondo intero. L’oppressioni dei popoli da parte di entità sta­tali che ere­di­tano le strut­ture di domi­nio colo­niale, e que­sto può riguar­dare i curdi come i pale­sti­nesi, può essere con­tra­stata non con­trap­po­nendo stato a stato ma facendo leva sulla crisi dello stato nazio­nale a favore della demo­cra­zia diretta e dell’autorganizzazione delle comu­nità locali.

Pro­prio que­sto approc­cio è stato infatti pro­mosso e inco­rag­giato da Oca­lan, il quale a par­tire dalla rifles­sione di Boo­k­chin ha spo­stato il con­flitto con lo stato turco sul ter­reno della demo­cra­zia e dei diritti, depo­ten­ziando anche la valenza etnica delle riven­di­ca­zioni curde.

Per que­sto quella dei curdi del Rojava è una bat­ta­glia di civiltà, ma non solo con­tro la bar­ba­rie dell’Isis, anche come rispo­sta a tutte le oppres­sioni che divi­dono sem­pre di più al loro interno le nostre fra­gili demo­cra­zie occi­den­tali, schiac­ciate tra una glo­ba­liz­za­zione auto­ri­ta­ria e rapace e un loca­li­smo iden­ti­ta­rio altret­tanto disumano.

È per que­sto motivo che sono qui come rap­pre­sen­tante del Sin­daco di Roma Igna­zio Marino. Insieme ad altri ammi­ni­stra­tori impe­gnati nella cam­pa­gna, Clau­dio MarottaAme­deo Ciac­cheri, abbiamo pro­mosso e otte­nuto un gemel­lag­gio tra Roma e Kobanê che spe­riamo pro­duca uno scam­bio molto utile anche per noi: un aiuto nella rico­stru­zione in cam­bio di un rin­no­va­mento della nostra democrazia.

* capo­gruppo Sel in Campidoglio