May 20, 2015
Nella
mattinata del 18 maggio siamo stati accolti all’interno della
municipalità di Kobane, dove incontriamo i due co-presidenti (la
co-presidenza prevede sempre parità di genere in ogni carica), e con
loro anche il sindaco storico, presentato come padre della città, che
rimane nel ruolo di “accompagnatore” per i due nuovi. E’ lui
che introduce l’incontro, spiegandoci quant’è importante per
il popolo curdo questo momento storico, che certo senza la resistenza e i
martiri non sarebbe stato possibile, ma che ha un valore che va oltre a tutto
ciò, un momento storico che segna una svolta sotto molti punti di vista.
Il popolo curdo, ci viene spiegato, si sta occupando per la prima volta
La presa
di coscienza
Nonostante
tutto, ci viene detto che questo nuovo modello di società, secondo i
suoi stessi fautori, non è niente di straordinario: esattamente come la
natura trova il suo equilibrio negli ecosistemi, il confederalismo democatico
è conseguenza della necessità di bilanciamento tra le molte
etnie, religioni e culture che formano il medio Oriente.
Nelle
diverse ore che ci vengono concesse dall’amministrazione comunale abbiamo
la possibilità di approfondire con più tempo a disposizione
alcuni temi come quelli del funzionamento pratico del confederalismo
democratico. All’interno della città si sono costituiti 13
“comuni”, una sorta di assemblee di quartiere. Alcuni rappresentanti
dei comuni formano poi un’assemblea cittadina, che collabora con i
comitati alla gestione dei vari aspetti della vita comune. I rappresentanti in
ogni momento possono essere rimossi se non rispettano la volontà
popolare. Il confederalismo permette così di superare la struttura
statale, riorganizzando la società partendo dal basso. Per i kurdi
è un sistema ottimale, agevolato nelle realtà più rurali
soprattutto da un substrato culturale di relazioni comunitarie molto forti.
L’amministrazione comunale è infine costituita da 7 membri, di cui
fanno parte i 2 co-presidenti che ci parlano, a cui poniamo alcune questioni
che ci interessa trattare: la questione delle donne, quella della risorse,
l’amministrazione della giustizia.
La
liberazione passa dalle donne. Una società è libera se è
ben organizzata e democratica nella gestione del potere, ed in questo il ruolo
delle donne è fondamentale, tanto da affermare che da esso Il
confederalismo democratico attinge la sua forza. Nel pensiero di Ocalan, se una
donna non è libera una società non può essere
autenticamente libera. Questo non è un concetto nuovo, ma anche i
militanti più maturi vedono, capiscono e comprendono veramente questo
pensiero solamente ora, all’interno del contesto offerto da questi ultimi
anni della rivoluzione, grazie alla partecipazione delle donne in prima fila
nella lotta. Per spiegare meglio l’idea della società libera ci
viene riportata una metafora: una società non può camminare su
una gamba sola; la liberazione della donna è anche liberazione
dell’uomo, in quanto una donna non libera avrà figli e nipoti
schiavi perché cresceranno all’interno di un contesto di
oppressione.
In questo
preciso momento storico, in Rojava c’è differenza tra le donne
combattenti e le donne civili. Le combattenti hanno un approccio complessivo ai
problemi della società e sono viste in maniera diversa perché
hanno preso le armi e sono andate al fronte. Le donne civili non hanno avuto la
possibilità di sperimentare questo tipo di approccio e vivono una
situazione di maggiore isolamento che porta a una presa di coscienza più
difficile. Il proposito del movimento è superare questa differenza: le
combattenti devono essere un esempio, non vanno viste solo come donne che
combattono ma come donne che aprono una possibilità concreta e reale di
essere libere. Per farlo devono essere ben organizzate. Le case delle donne, le
unità di difesa femminili sono punti di forza per tutte coloro che
vogliono emanciparsi e rompere con pratiche patriarcali che le opprimono.
Attualmente le bambine crescono con una mentalità che nega loro la
possibilità di conoscere diritti e libertà. Alla base di tutto ci
dovrebbe essere un sistema educativo basato sull’autodeterminazione e non
su supposti doveri, per esempio il matrimonio non dovrebbe essere un obbligo
sociale (nella carta del Rojava è vietata la poligamia ed è
vietato sposare donne toppo giovani). Su questo bisogna educare le figlie, ma
anche le madri, per cui la formazione è uno dei punti di forza della
casa delle donne. È necessaria anche l’educazione degli uomini
affinchè ciò che ora va imposto diventi invece coscienza comune.
Le donne non vogliono cadere nell’errore del socialismo reale, dove si
dice “noi rappresentiamo il potere e lo imponiamo”, ma al contrario
costruire consapevolezza nel confronto reciproco tra i generi. Questo pian
piano sta succedendo, ad esempio a Cezire nelle case delle donne entrano ora
anche alcuni uomini che si mettono in gioco ed iniziano a parlare delle proprie
difficoltà. C’è la consapevolezza che si tratta di un
processo lungo che le donne del Rojava stanno portando avanti con coraggio, ed
è un esempio che tutte e tutti dovremmo provare a praticare nei nostri
territori.
Kobani
attualmente vive di solidarietà. I kurdi sono storicamente un popolo
povero, ma nonostante questo trovano le risorse per sostenere Kobane, sia dal
punto di vista economico che di impegno volontario. In questo momento la fase
impone un’economia di transizione, la guerra ha distrutto infrastrutture
e possibilità di sviluppo. I governi e gli stati sanno molto bene che la
rivoluzione del Rojava è contro di loro, sui cui aiuti non si può
fare affidamento. Un sostegno importante arriva piuttosto dalle
municipalità solidali del Bakur.
“A
Kobani il vento della libertà ci ha portato via molte cose, ma siamo
contenti di averle perse per la libertà. Quando sei libero non hai paura
di avere fame”: questo è lo spirito con cui si affronta la
situazione critica in città. L’ex sindaco ci ringrazia con queste
parole che vorremmo rigirare a chi ha partecipato alla costruzione della
carovana, in un’ottica di rilancio: “sappiamo che anche nel mondo
capitalista chi è contro il sistema non vive bene e non è ricco,
quindi i vostri sforzi economici per sostenerci in questo senso sono ancora
più importanti. Io credo nella forza dei popoli, e voi la rappresentate
bene. Dobbiamo continuare a credere che è possibile, anche quando Kobane
sembrava poter cadere la solidarietà non è mai mancata, i kurdi
non credevano possibile che un piccolo cantone potesse ricevere l’attenzione
e l’aiuto di una parte così grande
dell’umanità”.
Per quel
che riguarda la questione giudiziaria, non esiste una legge scritta, un
tribunale separato dal popolo, una giustizia astratta. I kurdi
–storicamente- non hanno mai conosciuto una giustizia che fosse soluzione
dei loro problemi. Il paradigma che si cerca di applicare è di
sostituire la giustizia con l’etica, il giudizio con la ricomposizione
sociale, l’educazione, la mediazione. Chi sovrintende ai tribunali e alle
leggi deve basarsi sull’etica e sulla coscienza sociale e la
società deve proteggere l’individuo così come il singolo
deve proteggere la società. Per esempio sul problema della coltivazione
della marijuana destinata al narcotraffico non sono stati posti divieti, ma si
è provato ad offrire un’alternativa. I coltivatori vendevano la
marijuana ai soldati turchi che a loro volta la vendevano alle giovani
generazioni, il nemico capitalista turco faceva quindi il proprio gioco e i
propri interessi. Nella società si è tentato un approccio etico,
legato alla marginalizzazione sociale: se commerci droga sei dalla parte del
nemico e dunque fuori dalla società, e questa formula ha ottenuto i
risultati sperati.
In ognuno
dei suoi aspetti di applicazione, il confederalismo democratico è in
continua evoluzione, forte del radicamento etico che tale paradigma ha scelto
come fondamenta.
Nel
pomeriggio partiamo dal quartier generale YPG/YPJ per raggiungere il nuovo
cimitero dei martiri, alla porta ovest della città. Per la prima volta
ci confrontiamo con il lutto della popolazione di Kobane. La cerimonia si
conclude presentando le armi in onore dei caduti e con una marcia ad
abbracciare per intero il perimetro delle sepolture. Mentre le famiglie si
stringono ai cari scomparsi, dal cantone di Cezire ci giunge notizia di una
offensiva, lanciata anch’essa in questa data significativa, che
rapidamente libera ventisette villaggi dall’occupazione dei daesh
causando loro pesanti perdite. I tre compagni della carovana nei giorni scorsi
bloccati nel tentativo di raggiungere Cezire, ormai arrivati a Suruc prendono
parte all’analoga celebrazione all’interno di uno dei campi
profughi al di là del confine.
10Partecipando
a questa commemorazione il nostro pensiero non può non andare alla
storia della nostra resistenza; proprio in questo giorno, 71 anni fa, il
giovane partigiano Dante Di Nanni perdeva la vita tra le strade di Torino
resistendo eroicamente all’attacco di un centinaio tra nazisti e
fascisti: i partigiani e le partigiane non muoiono mai!
Carovana
per il Rojava
© 2013 UiKi ONLUS Team