June 21, 2015
La
resistenza che le sue forze armate perpetrano da 4 anni in Siria. Questo il
tema al centro dell’intervista a Redur Xelil, portavoce dei combattenti curdi
di YPG e YPJ. Fino a prima della guerra contro l’Isis inesperto guerrigliero
che in meno di 4 anni è riuscito a formare un esercito di 35mila persone,
ricevendo il plauso per il suo impegno da ufficiali di diversi paesi.
Prima di
iniziare a parlare di questioni interne e forze di coalizione, Redur mostra dal
suo tablet la mappa digitale della regione siriana coinvolta dalla guerra,
raccontando uno spaccato dell’attuale situazione delle forze YPG. I cerchi
gialli segnano l’ultimo avamposto curdo, quelli rossi l’avanzata dell’ISIS, i
cerchi rosa identificano le forze
La
creazione dello YPG. Quali sono stati i primi passi per consacrare e fondare lo
YPG?
Nei primi giorni della rivoluzione in Siria, la situazione nel Rojava(Kurdistan
siriano) appariva
Quale
fu la reazione delle forze di Assad?
I sostenitori di Assad erano molto turbati da ciò che stava succedendo nelle
città siriane e si indebolirono sempre più. Essi sapevano che avrebbero dovuto
abbandonare i territori dal nord, considerata l’ira
In
tanti non conoscono la differenza tra YPG e YPJ. Come mai esistono due
differenti gruppi militari in Rojava?
Lo YPJ è una organizzazione indipendente costituita da donne che lavorano
parallelamente allo YPG, creato dai nostril uomini. A dire il vero le
combattenti sono parte essenziale dello YPG nella lotta contro l’ISIS, entrambi
si battono “mano nella mano”.
La
direzione dello YPG è a un uomo e una donna come è tipico nella cultura curda?
No, siamo
una forza militare perciò la questione è un po’ diversa. Il modello della
co-leadership è attuabile nelle organizzazioni civili e politiche, mentre nello
YPG c’è un coordinamento misto, composto da uomini e donne.
Qual
è il numero esatto dei membri dello YPG e dello YPJ?
Lo YPG è attualmente costituito da 35mila membri. Più del 35% di questi sono
soldatesse dello YPJ, che cresce di giorno in giorno.
Quanti
di loro sono stati uccisi in battaglia?
Dalla nascita dello YPG sono morti 2mila martiri combattenti, di cui 750 nella
guerra di liberazione di Kobane.
L’organizzazione
Asayish e le “forze di autodifesa” fanno parte dello YPG?
No, sono due organizzazioni separate che si occupano di problematiche interne
ai centri abitati e nei casi riguardanti la sicurezza.
Cosa
si può dire
Anche loro sono connessi alle “comunità” e all’Asayish, non a noi.
La
situazione del Fronte di Guerra e la composizione militare delle forze dello
YPG. Può descrivere in un quadro generale l’attuale situazione dello YPG e
dello YPJ nei tre cantoni?
Attualmente non ci sono conflitti nel cantone di Afrin e la situazione sembra
Quali
nemici circondano i vari cantoni?
Nel cantone di Afrin è presente Jabat al-Nursa (Fronte al-Nusra), Ahrarash-Sham
e l’Esercito Libero Siriano, oltre al regime Baath. A Kobane e Jazire siamo
circondati dall’ISIS mentre a Qamishli e Hasakah ci sono le forze
A
quanti chilometri distano i checkpoint dello YPG e dello YPJ più vicini a
queste forze armate?
Meno di 70 chilometri.
E’
tra I vostri obiettivi connettere i cantoni tra di loro?
È un argomento complicato. Siamo propensi a far sì che ciò accada ma ci sono di
mezzo alcune realtà storiche: la maggior parte dei residenti di queste regioni
sono Arabi spinti nelle regioni curde negli anni ‘60 e ’80, allo scopo di
modificare la composizione demografica di queste aree.
Queste persone combattono con la stessa strategia di resistenza dello
YPG o sotto altri mandati? Esiste nell’area Assira un’altra forza chiamata
“Sutoro”, composta da giovani siriani che combattono sotto il controllo dello
YPG. C’è quindi anche un gruppo di arabi?
Nel caso degli Arabi le cose sono differenti. Ad esempio a Kobane ci sono varie
milizie arabe che combattono fianco a fianco con lo YPG. In più, oltre
all’Esercito Libero e Jahbat al-Akrad, il Jahbat Thowar Suriyya (Fronte
Rivoluzionario Siriano) e Kata’eb Shamsash-Shamal (il Battaglione del Sole del
Nord) combattono con noi e sono entrambi arabi.
L’area
in cui vive non è omogenea dal punto di vista demografico, come si rapportano a
voi gli arabi?
Il Rojava è un’area geografica definita ma che non appartiene solo a noi. Ci
sono stati 50 anni di pressioni degli Assad volte ad “arabizzare” questa
regione e l’applicazione di queste politiche di “contaminazione” ha nuociuto
all’eterogeneità.
Ciò
nonostante al momento sono presenti molte etnie nella nostra regione: curdi,
assiri, siriani, arabi e caucasici. Le guerre etniche o razziali non portano
nessun vantaggio né a noi né agli arabi. Dovremmo invece guardare a questa
pluralità come un’opportunità, non una minaccia. La solidarietà tra noi renderà
possible in future una fiducia reciproca. Vogliamo trattare la questione con
saggezza e razionalità e – nostante ci porti via tanto tempo – cerchiamo di
motivare gli scettici di questa grande forza data dalla presenza di tante
etnie. Non abbiamo nessun problema con i nostri fratelli arabi, e in tanti
giovani stanno combattendo al nostro fianco contro l’ISIS, venvendo uccisi
nelle battaglie.
Cosa
pensano di voi gli arabi che vivono in quest’area?
Purtroppo gli Arabi non hanno ancora una solida struttura in quest’area, quindi
è difficile creare un dialogo con loro. La maggior parte risponde ai comandi
dei capi tribali e solitamente segue il potere più forte del momento.
Anche quando questo potere è l’ISIS?
Purtroppo sì! Inizialmente in tanti erano con Jahbat al-Nusra; prima ancora
stavano con il regime, e ora collaborano con l’ISIS. Noi abbiamo applicato una
politica diversa che si impegna a eliminare le “debolezze” etniche. Possiamo
vivere insieme pacificamente come fratelli e siamo riusciti a guadagnare la
loro fiducia alla luce del sole. Dopo l’arrivo delle forze dello YPG a Tal
Hamis e Tal Brak, che erano principalmente città a residenza araba, è tornata
la pace e non ci sono più pericoli derivati dalla presenza di ISIS, Jahbat
al-Nusra o dal regime. Le forze locali hannno guadagnato quindi il controllo
delle proprie città a spese di tante persone che sono state uccise per liberare
queste aree.
Durante il
vecchio regime molti autoctoni sostenevano che ci saremmo stati costretti ad
andare via dalle terre arabe e che ci avrebbero resi schiavi. Dal loro punto di
vista, e difficilmente hanno cambiato opinione, noi non apparteniamo a queste
terre ma stavano solo applicando le politiche del regime. Coloro che alla fine
hanno liberato gli arabi dal giogo dell’ISIS, sono stati proprio i curdi che
gli arabi avrebbero volute schiavizzare. Hanno vissuto per alcuni anni sotto le
regole ferree e inumane di Jahbat al-Nusra e ISIS. Oggi, molte cose sono
cambiate. Nei cantoni arabi le problematiche etniche si sono ridotte e gli
arabi si stanno -con sempre più entusiasmo- avvicinando allo YPG. Siamo
ottimisti sulla possibilità che arabi, assiri e cecni possano vivere insieme in
un ambiente fraterno.
La
cooperazione e la partecipazione è limitata alle sole forze militari?
No, in tanti sono attivi a livello politico: dagli uffici locali alla
leadership dei cantoni, oltre agli ambiti legali. L’ISIS si sta indebolendo e
il regime ha mostrato la sua vera natura; resta nell’interesse degli arabi
vivere pacificamente con le altre etnie della regione che comprendono curdi,
assiri, armeni e ceceni.
E
riguardo gli assiri? Alcuni loro hanno raccontanto le “piacevoli giornate che
hanno trascorso sotto il privilegio del regime”.
È vero. Al regime importava di loro in maniera particolare. Quando noi non
avevamo neanche la carta d’identità, gli assiri avevano accesso a scuole private
e posizioni-chiave nelle città. Ma non dimentichiamoci che il regime ha smesso
ora di dare il proprio support a chi creda ne sia degno. Adesso è lo YPG a
proteggere gli assiri dagli attacchi dell’ISIS a Tal Tamir e in altre parti e
sono totalmente consapevoli del fatto che se non fosse stato per lo YPG, non
avrebbero resistito contro l’ISIS un solo giorno.
Se
un giorno essi non volessero più la presenza dello YPG in assiria o nelle aree
arabe, quale sarebbe la vostra reazione?
La questione importante è che in queste aree, oltre ad assiri e arabi ci sono
anche curdi, diversamente da Hasaka che è composta solo da assiri e arabi. C’è
un luogo chiamato Rojava curdo, e noi proteggiamo curdi e non curdi che vivono
in questa realtà.
Quali
sono i confini del Rojava? C’è una mappa che definisce i territori entro i
quali continuerete a combattere contro l’ISIS fino alla liberazione di questa
cosiddetta area?
Non c’è nessuna chiara e definita mappa geografica. Disegnarla in futuro è un
compito delle forze politiche del cantone.
Quanto lontano vi spingerete come YPG?
Abbiamo una strategia definita, continueremo a combattere fino a quando il
pericolo ISIS sarà superato.
Qual
è la distanza tra le vostre forze e la città di Tell Abyad, a est del cantone
di Kobane?
Siamo a 20 chilometri dalla città.
Perchè questa città è importante?
Questa città è importante per differenti aspetti sia per noi che per l’ISIS:
innanzitutto Tell Abyad è vicina alla Turchia e in secondo luogo è un corridoio
strategico per i trasporti e la logistica, oltre che per l’arrivo di nuove
forze. Se l’ISIS perdesse il controllo della città, non perderebbe solo un
importante passaggio ma si troverebbe circondato dalle nostre forze. Bisogna
inoltre considerare che tra Kobane e Jazira ci sono abitanti di etnia curda.
Buona parte di coloro che si trovavano a Tell Abyad dovettero lasciare case e
campi dopo l’arrivo di Jahbat al-Nusra e Isis. Questi ne approfittarono e
confiscarono i loro averi. Nessun curdo è rimasto nella città permettendo agli
islamisti di acellerare con le politiche di “arabizzazione”.
di Roberto
Mulas
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