Dopo la
liberazione di un’altra città, Ain Issa, le Ypg rispondono a Erdogan. Ora,
però, potrebbe partire la controffensiva oltre l’Eufrate, verso Jarablus e
Aleppo.
di Chiara Cruciati
Roma, 24 giugno 2015, Nena News – Dopo Tal
Abyad, i combattenti curdi conquistano un’altra città e la strappano al
controllo del califfato, avvicinandosi ogni giorno di più alla “capitale” dello
Stato Islamico, Raqqa. Ieri, dopo aver preso la base militare della Brigata 93
(occupata lo scorso anno dall’Isis), con il sostegno dei raid aerei della
coalizione, le Ypg curde sono entrate a Ain Issa.
Ora i curdi si trovano a 50 km da Raqqa, seppur il
portavoce delle milizie curde Redur Xelil tenga a precisare che una
controffensiva contro la città ancora non sia nei piani: “Raqqa è
una città siriana, come Tale Abyad e Kobane e tutti i siriani la vogliono
libera dall’Isis. Ma al momento non è nella nostra agenda”. Come nell’agenda
curda non ci sarebbe, almeno adesso, la spinta per la creazione di uno Stato
curdo indipendente.
“Fatemelo dire: non abbiamo in progetto la creazione
di uno Stato curdo”, ha detto il leader del
Pyd curdo (il Democratic Union Party siriano), Salih Muslim, in risposta agli
strepitii di Ankara che da tempo accusa i curdi
della regione siriana Rojava di voler puntare alla fondazione di un’entità statale
che comprenda anche il Kurdistan turco. Nessuna
intenzione di creare “un corridoio curdo” dall’Iraq al Mar Mediterraneo,
dice Muslim, “la nostra preoccupazione è proteggere il nostro popolo dall’Isis.
Un simile discorso ha un solo obiettivo, ovvero causare problemi tra noi e gli
arabi nella regione: questa terra è dove curdi, arabi e turkmeni vivranno in
pace”. Una chiara risposta alle accuse che sono piovute sulle Ypg di aver
espulso da Tal Abyad, una volta ripresa all’Isis, arabi e turkmeni residenti.
Insomma, le tante vittorie segnate dai
combattenti e le combattenti curde contro il progetto del califfato non porteranno
all’indipendenza. Di sicuro, però, visto che ad oggi in territorio
siriano i curdi sono il più efficace freno all’avanzata dello Stato Islamico,
la loro situazione e il loro status sono destinati a cambiare. Ad un
anno dallo scoppio della guerra civile siriana, nel 2012 sono sorti i tre
cantoni nella regione di Rojava, prima concreta applicazione del
confederalismo democratico teorizzato dal leader del Pkk, Ocalan. E da allora si
auto-amministrano, rispettando le regole di fondo che la stessa comunità ha
redatto. Una realtà concreta, riconosciuta dallo stesso governo di
Damasco che, in crisi a causa della frammentazione del paese, ha accettato sia
per incapacità di fermarla che per l’evidente contropartita ricevuta: una forza
che combatte non solo i miliziani dell’Isis ma anche certe opposizioni al
presidente Assad.
C’è da pensare che, una volta terminata la
guerra civile, se Assad sarà ancora al potere, si assisterà ad un cambiamento
nei rapporti con il Kurdistan, a nord:
un’autonomia amministrativa è il primo passo immaginato da molti osservatori.
Una possibilità che fa tremare i polsi al presidente turco Erdogan che teme un
contagio nel proprio territorio, o meglio nel Kurdistan turco, patria del Pkk di Ocalan.
Proprio Erdogan, dopo la caduta di Tal Abyad, ha prospettato la possibilità di
un corridoio curdo lungo il confine con la Turchia. Subito la voce è
rimbalzata tra i parlamentari del
suo partito, l’Akp, che si sono dati agli isterismi: i curdi vogliono uno stato
“nel nord della Siria con l’assistenza degli Stati Uniti, dal nord dell’Iraq al
Mediterraneo”.
Vero è che i curdi delle Ypg oggi
controllano un territorio lungo 180
km, da Ras al-Ain a Jarablus (nel distretto di Aleppo a nord ovest).
Dopo la liberazione di Tal Abyad, i curdi hanno creato un collegamento diretto
tra la città e Kobane, ponendosi nella migliore delle posizioni per lanciare la
controffensiva verso ovest, ovvero verso Jarablus e i cantoni di Azaz e Efrin,
al di là del
fiume Eufrate. Che se prese garantirebbero il controllo curdo su quasi
l’intero confine con la Turchia, un pezzo di territorio lungo quasi 300 km al cui interno non
vivono solo curdi, ma anche arabi, caldei, armeni, siriaci, turkmeni. Ovvero,
per poter assumere il controllo di tanto territorio e mantenerlo è essenziale
per le forze curde non limitarsi alle tattiche militari, ma stringere alleanze
con le tribù locali e le forze di resistenza di base.
Dietro, però, tengono a precisare i curdi,
non c’è sete di controllo o la volontà di creare uno Stato proprio: c’è solo
sete di democrazia e sicurezza. “I curdi non hanno
mai pianificato l’occupazione di territorio – spiega ad al-Monitor il
giornalista Fehim Isik – Vogliono fondare una politica di sicurezza nell’area e
una struttura libera e democratica per sé e per gli altri popoli della zona.
Hanno preso Tal Abyad perché in mano all’Isis rappresentava una minaccia alla
sicurezza curda e regionale. E ora potrebbero puntare a Jarablus per eliminare
l’Isis. Non per costruire un condotto per il petrolio, ma per una vita
democratica e libera”.
In mezzo c’è l’Isis che controlla le comunità
di Bab, Menbic, Rai e Jarablus e, ovviamente Raqqa. Ma ci sono anche altri
gruppi islamisti rivali del califfo: il Fronte
Islamico che controlla Aziz e Tel Rifat e il Fronte al-Nusra, ad Aleppo, a Idlib e – in
parte – a Jarablus. Nena News