June 25, 2015
«È il momento che
finisca l’isolamento», ha denunciato la comandante delle Unità di
protezione popolare delle donne
(Ypj), Nasrin Abdalla in una conferenza stampa alla Camera a Roma subito dopo il nuovo
attacco dell’Is a Kobane.
Per discutere della
nuova crisi che attanaglia la città abbiamo raggiunto
al telefono nel quartier generale Ypj della città
di Kobane la comandante Rangin.
Che succede adesso a Kobane?
I combattimenti continuano. Ci sono un centinaio
di miliziani di Daesh asserragliati
in città e che procedono con attacchi sommari contro la popolazione.
Come
giudica l’operato della coalizione
internazionale?
Non fanno
Lei
si è unita ai Ypj nell’aprile
Ci sono prima di tutto
unità di autodifesa locale (haremi), poi
combattenti professioniste
e infine unità di resistenza. Soprattutto gli uomini partono dall’autodifesa per entrare in Ypg; le donne,
più scolarizzate, spesso entrano direttamente tra i combattenti professionali. Noi siamo come ogni
altro esercito, dipendiamo dall’ideologia di Ocalan. Ma non siamo solo un esercito.
Nei nostri meeting passiamo tempo a
discutere e criticarci.
Siamo un esercito
di difesa. Le donne per combattere
devono sapere perché e per cosa combattere. Per questo
iniziamo con una preparazione ideologica e accademica perché ogni combattente Ypj deve conoscere
sé stessa.
Quindi Ypj
è un esercito di femministe?
Non siamo per un femminismo radicale. Dipendiamo da noi stesse
e beneficiamo dell’esperienza
di tutti. Le donne in casa proteggono
l’essenzialità della donna. La nostra battaglia è
come donne (non importa se kurde, siriane o europee) e per la nazionalità che si identifica con l’autonomia democratica ed è contraria al concetto di Stato. Nei
combattimenti di Shengal le donne
sono andate a salvare altre donne. A Tiltemer le combattenti Ypj sono andate a salvare
le donne arabe.
Siamo andate a liberare decine di donne
prigioniere nei villaggi occupati da
Uno dei temi che trattate nei
training delle Ypj è
«amore e morte»?
L’amore è essenziale, parte dell’istinto di ognuno. La filosofia della morte
è un modo di vivere. Nel passato tutti
sapevano che a breve sarebbero morti ora non è così e questo ci disconnette dalla natura e non ci fa accettare
l’idea di morte. La religione sfrutta la morte: se sei martire vai
in paradiso. Per noi amore
e morte sono in contraddizione: quando ne discutiamo è per cercare una nuova
vita militare, comunitaria,
quotidiana. La donna non è fatta solo per avere figli. Vogliamo riformare,
rinnovare la comunità.
E poi parliamo molto
di sessualità.
Come
vengono accolte dai compagni
uomini le Ypj?
Alcuni uomini non accettano che il loro comandante sia donna. Se in questo contesto le donne
sono militari, non è invano. Dobbiamo combattere contro il concetto
che molti compagni hanno della donna. Quando
ne parliamo con un Ypg, spesso
accade che cambi idea e capisca che le Unità maschili
esistono perché esistono le Ypj e non viceversa. Noi non siamo un esercito
decorativo. Tante nostre combattenti sono saltate in aria su mine, sono comandanti
(la maggioranza) di unità maschili. C’è molta autonomia su questo. Abbiamo brigate miste, quasi in tutte le brigate ci sono co-comandanti.
Per esempio, se i combattenti kurdi non fanno pulizia etnica dopo la conquista di una città
è principalmente per la nostra persuasione
a smettere di commettere errori.
di Giuspeppe Acconcia-Il Manifesto
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