Dopo aver conosciuto Nessrin
Abdalla, la comandante dell’Unità di Difesa
delle Donne (YPJ) del popolo
curdo, da mesi in prima linea a Kobane, la città del Kurdistan siriano al confine con la Turchia
simbolo della resistenza all’Isis, riesco a capire meglio dove nasce la forza delle combattenti
curde che stanno contrastando l’avanzata dei jihadisti.
“La nostra
guerra contro Isis è un obbligo. Non abbiamo scelta.
Quando un popolo è sottomesso e umiliato deve essere
pronto a difendersi con ogni
mezzo. E se sei donna
hai una molla
in più: la motivazione. Perché se sei una
donna, sei sempre molto più
vittima di un uomo…”. Il
pensiero di Nessrin Abdalla è chiaro, così come è chiara la sua sofferenza
e la sua fame di giustizia per sé, per la sua gente e soprattutto
per le donne del
suo popolo. Lei, insieme ai combattenti
della sezione
maschile (YPG), è concentrata
sulla difesa dei diritti e della
vita dei curdi.
“L’obiettivo più urgente oggi è far cessare le crudeltà disumane inflitte dall’Isis e costruire la libertà per noi curdi” ha spiegato Nessrin con uno sguardo chiaramente ferito dalle morti
a cui ha assistito, ma fiducioso
e calmo. “Non consideriamo
la battaglia solo come una lotta militare, ma anche come una lotta culturale, sociale e di valori
che ci dà
la possibilità di costruire le basi di un nuovo modello
di vita sul nostro territorio” ha specificato Nessrin Abdalla. La battaglia delle donne
dell’YPJ è contro il sistema patriarcale,
il dispotismo religioso e le disparità tra uomini e donne
a favore della libertà e dell’uguaglianza tra sessi, ma, come ha tenuto a sottolineare Nessrin: “Oggi Isis è una minaccia per tutto il mondo,
dunque la nostra è anche una lotta per salvare
i valori dell’umanità”.
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Ho incontrato Nessrin Abdalla a Roma, dove è stata invitata da Sel
insieme una delegazione del movimento curdo che ha dato
vita all’esperimento di democrazia e di autogoverno ammirato da tutto il
mondo noto come Rojava, per raccontare all’Italia cosa succede a Kobane, proprio qualche giorno prima della nuova offensiva dell’Isis contro la città, in cui sono morti 174 innocenti. Di lei mi hanno
colpito la semplicità, il sorriso e la forza custodita negli occhi neri,
luminosi e fieri, da cui trasparivano un enorme coraggio e, inaspettatamente, tanta serenità.
“Sono cresciuta
in una famiglia particolarmente sensibile alla causa curda.
Anche mia mamma è sempre stata molto
attiva e ha influenzato il mio carattere facendomi diventare quella che sono oggi.
Abbiamo sempre difeso la nostra identità e purtroppo abbiamo avuto molti
martiri in famiglia” mi ha raccontato Nessrin e, quasi senza commozione, mi ha fatto sapere che
l’ultima perdita risale a due mesi fa. “È morto
in battaglia mio fratello di 16 anni. Per fortuna siamo una famiglia
numerosa…” ha esclamato e
poi aggiunto, dopo una pausa: “Chi vive sotto la pressione di essere
eliminato ha una maggiore pulsione a fare figli”.
Ma da quando Nessrin
è una combattente ha del
tutto archiviato il progetto di
avere una famiglia sua. “Le donne-soldato non si sposano – ha detto decisa – qualcuno deve pur
sacrificarsi… ma sacrificare
il matrimonio non è nulla in confronto alla libertà del popolo”. Nessrin ha 36 anni ed è nata a Derik,
nel cantone di Gizre. Fino
a un po’ di anni fa lavorava
come giornalista per i principali media curdi tra cui “La voce del Kurdistan” e praticava
quello che lei chiama “un giornalismo di responsabilità” a favore della causa
del suo popolo. Ma quando ha sentito
che c’era bisogno di difendere
la sua gente ha cambiato vita. È diventata
una combattente e ora vive notte e giorno con le altre militanti dell’ YPJ e, quando non
c’è da preparare
un attacco o coordinare una squadra, dedica il suo tempo a formare le giovani combattenti dell’Accademia. Quelle ragazze che, appena
compiranno i 18 anni, dopo un’adeguata
preparazione teorica e pratica, potranno raggiungere le altre amazzoni sul campo di battaglia.
“Noi curde cresciamo
tra le contraddizioni, con
la sensazione di dover
difenderci e vediamo usare le armi con normalità – mi ha raccontato –
Per moltissime di noi non è difficile quindi entrare nel mondo dell’Accademia
militare. Siamo tutte mosse da una grande
volontà di cambiamento. Oggi sappiamo di avere
di fronte un nemico feroce
e, per sconfiggerlo, non possiamo
non credere in quello che facciamo. Questo è il
punto di partenza per tutte”. Le soldatesse dell’Unità di difesa delle
donne prendono
decisioni autonome dalla sezione maschile,
sono furbe, determinate e generose, ma pur avendo il morale alto, mancano loro le armi.
“Abbiamo bisogno di aiuti militari. Isis ha armi
più sofisticate delle nostre, aiutateci”
ha chiesto la comandante all’Italia e alla comunità internazionale. E
il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, intervenuta a “In Mezz’ora”, trasmissione di Rai Tre
condotta da Lucia Annunziata, le ha risposto: “Raccolgo sicuramente questa richiesta, ne ho parlato con il Generale Allen perché non c’è dubbio che la situazione
della Siria in questo momento è la più difficile”.
Francesca
Bellino
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UiKi ONLUS Team