June 30, 2015
È da
alcuni giorni in Italia Nessrin Abdalla, 36 anni, comandante delle YPJ. Alcune
di noi hanno avuto modo di partecipare ad uno degli incontri che si sono svolti
con lei, proprio nei giorni
Oltre
all’audio
Quanto sia
incisiva la partecipazione delle donne lo dimostra non solo il fatto che le
donne siano presenti e attive su tutti i piani della lotta, dell’organizzazione
sociale e della gestione del quotidiano, ma anche il modo in cui si è
trasformato il linguaggio. È, infatti, assai consueto trovare nei comunicati
ufficiali l’espressione “sorellanza tra i popoli” [sisterhood, nella traduzione
inglese dal kurdo] e questo ci sembra un particolare non da poco, dopo secoli
di fratellanze e fratriarcati che dell’oppressione delle donne ne hanno fatta
la propria cultura e bandiera…
Quando le
persone riescono a resistere, allora riescono ad essere artefici
La donna kurda non sta partecipando per la prima
Le YPJ, invece, possiamo definirle un frutto della storia della rivoluzione
delle donne.
Ciò che è differente rispetto al passato, è che per la prima
Le donne del Rojava si sono organizzate su due piani. Da una parte hanno
lottato per la propria nazione, e mentre facevano la lotta per difendere il
proprio paese contro un nemico internazionale, questa lotta è diventata una
lotta internazionale delle donne. Dall’altra parte c’è la lotta delle donne per
sviluppare la propria identità: le donne nella rivoluzione del Rojava non hanno
solo preso in mano le armi ma hanno anche preso parte – con ruoli organizzativi
– alla politica, alla società, alla diplomazia; le donne partecipano in ogni
ambito della vita, si occupano di quello di cui c’è bisogno e che va
amministrato e gestito.
Dal punto di vista militare, le YPJ sono organizzate autonomamente su tutti i
piani: come gruppi, come comando, come addestramento. Le YPJ sono un tetto
sotto cui stanno migliaia di gruppi e migliaia di donne che decidono da sé, con
la propria insegnante-comandante.
Far parte delle YPJ non significa solo avere un’arma e combattere, ma anche
avere un’ideologia, un sistema di pensiero che è contro la mentalità
maschilista e patriarcale. Quella che stiamo combattendo contro
Tutte le forze del mondo non sono riuscite a fermare ISIS, né in Medio Oriente,
né in Nord Africa; ci sono riuscite le YPJ, le Unità di difesa delle donne. Le
donne hanno combattuto contro
[…]
La nostra contro
[…]
La resistenza in
La resistenza attuale ha fatto un’autocritica della storia per capire dove i
kurdi avessero sbagliato; solo con questa esperienza hanno potuto resistere. La
[…]
Finché non capiamo la storia della resistenza, non possiamo capire ciò che
succede oggi.
Ci sono poi altri fattori. L’organizzazione: siamo organizzati bene. E un punto
molto importante è che ci sono anche le donne. A differenza delle primavere
arabe, noi avevamo una guida; perciò siamo potuti arrivare a questo punto.
Abbiamo seguito due strade contemporaneamente: da una parte la resistenza nel
senso della difesa militare; d’altra parte abbiamo organizzato i posti
pubblici, la vita quotidiana nella lotta. E così ogni persona nel suo
territorio ha trovato la propria posizione nella lotta e vi si è aggiunta.
Per vincere una lotta come quella contro
[…]
Questa resistenza, che abbiamo fatto con la nostra dignità, sta continuando.
Non avevamo armi moderne o tecniche moderne per combattere; abbiamo combattuto
con le nostre armi personali: il nostro corpo, il nostro coraggio e la nostra
dignità.
[…]
Le YPJ sono unità autodeterminate. Una donna può far parte delle YPG, ma un
uomo non può entrare nelle YPJ e questo significa che siamo autonome. Non è una
questione mediatica. Siamo organizzate autonomamente come donne. Le YPJ fanno
riunioni e conferenze autonome; le decisioni le prendono le YPJ, non altre
persone o altri gruppi. Nessun altro, tranne le YPJ, può decidere per le YPJ.
Questa è l’unica cosa che non si può cambiare nella nostra organizzazione.
Ci sono delle accademie, campi di addestramento per le donne, gruppi speciali.
Ovunque ci sono gruppi autonomi che sono sotto il tetto delle YPJ.
[…]
Ho partecipato alla lotta dall’inizio, nel 2011. Prima ero giornalista. Anche
la mia famiglia partecipa alla lotta. Quando è cominciata la rivoluzione in
Siria, la partecipazione della mia famiglia alla lotta e il fatto che fosse
anche una lotta delle donne mi ha spinta a prenderne parte.
Siamo donne di diverse età e generazioni; ci sono donne minorenni e
maggiorenni. Per le minorenni ci sono dei campi che però non sono di
addestramento militare, ma sono educativi, servono a conoscere la storia
Nella parte formativa, le ragazze e le donne vengono educate a supportare
questa vita, resa difficile dall’oppressione. L’educazione riguarda la scienza,
la storia, la filosofia. Poi quelle che vogliono partecipare alle YPJ vengono
addestrate anche militarmente, per diventare combattenti; mentre quelle che
preferiscono avere un ruolo nella società vengono educate e informate sulla
vita quotidiana, la scienza, la storia, la filosofia da insegnanti donne. Per
le minorenni, quindi, non c’è addestramento militare.
[L’intervistatrice
le chiede se sia vero che le YPJ non si possono sposare]
Se una vuole si può sposare. Io, personalmente, non mi voglio sposare, ma ci
sono compagne che si sono sposate e poi si sono arruolate nelle YPJ.
[L’intervistatrice
le chiede quale sia il rapporto coi combattenti uomini]
Combattiamo insieme. Perché siamo compagni e compagne, non è che siamo diversi!
Combattiamo insieme e decidiamo insieme; però le YPJ decidono da sole, senza
chiedere a YPG: siamo autonome. Invece nelle YPG si decide insieme, donne e
uomini.
Per noi c’è una sorta di linea rossa su donne e femminismo; poi c’è la lotta in
generale. I nostri compagni lo sanno – sanno che un uomo non può decidere per
una donna – e non toccano le questioni importanti che ci riguardano.
[…]Contro il sistema maschilista di oggi, noi vogliamo vivere insieme, in
un’uguaglianza di genere, senza pressioni, con gli stessi diritti, non solo dal
punto di vista della democrazia, ma anche della giustizia per tutti quelli e
tutte quelle che abitano lo stesso territorio.
[…]Ciò che
tiene in piedi la rivoluzione in Rojava è che tutte le cose si muovono insieme:
l’organizzazione, l’amministrazione, l’autodifesa… Tutto insieme! Forse è
questo che ci ha aiutati a vincere. Tutte queste cose sono importanti; non è
che qualcosa lo è di più e qualcos’altro meno.
[…]Sia le
YPG che le YPJ non sono soltanto le forze del popolo kurdo, ma sono ormai
diventate internazionali: ci sono diverse etnie e le persone vengono da tutte
le parti del mondo. Ci sono cinesi, americani, inglesi, francesi, tedeschi. Ci
sono vari gruppi che hanno creato una brigata – anzi, due o tre brigate – di
cittadini europei e di tutte le parti del mondo.
[…]La
resistenza che noi stiamo facendo è internazionale, per tutti i paesi, contro
la barbarie dell’ISIS. Alcuni la chiamano “rivoluzione del Rojava”, ma noi la
chiamiamo rivoluzione del mondo, rivoluzione dei popoli, non solo del Rojava.
Per
vincere contro questi mercenari, per rovesciarli, abbiamo bisogno di un
sostegno internazionale. Per questo stiamo facendo questi incontri e chiediamo
ai paesi europei i materiali per combattere con ancora maggior forza. Per
esempio, per sminare ci servono i materiali e i tecnici, e noi non li abbiamo.
Cerchiamo supporto tecnico per finire un po’ più in fretta ed avere meno morti.
[…]Noi
sappiamo che nessun governo, nessuno Stato può difendere il popolo, perciò ogni
popolo dovrebbe avere strutture di autodifesa. Le YPG sono unità di autodifesa
e tali resteranno.
YPG/YPJ
sono sigle, sono nomi. Possono cambiare i nomi, possono cambiare i simboli –
oggi usano la bandiera verde, domani quella blu… – però rimarranno come unità
di autodifesa per difendere il popolo, perché nel nostro sistema, nella nostra
filosofia, l’autodifesa è la cosa principale contro tutte le minacce, sia
esterne che interne.
YPG/YPJ
non dovete pensarle come le forze armate in tutte le altre parti del mondo.
Sono forze di autodifesa: non fanno attacchi, ma quando ci sono minacce
difendono il popolo. Perciò se domani avremo il potere di distruggere tutto il
mondo, noi come filosofia non combatteremo. Difenderemo dalle minacce le
popolazioni con cui viviamo nel nostro territorio. Il ruolo delle YPG/YPJ è
questo, non ne ha altri.
AGGIORNAMENTO:
Mentre stavamo pubblicando questo articolo, abbiamo appreso che bande di ISIS
hanno tentato di rientrare a Girê Spî e sono attualmente circondate dalle/dai
combattenti di YPJ/YPG
© 2013 UiKi ONLUS Team