July 07, 2015
La
resistenza delle donne curde opera senza gerarchia né dominazione ed è parte
della più ampia trasformazione e liberazione della società.
Le potenti
istituzioni
Nel
frattempo, gli onnipresenti apparati di sicurezza dello Stato – che apertamente
portano avanti economie di commercio di armi e traggono benefici dal
contrapporre le comunità l’una contro l’altra per le loro sporche guerre –
danno l’illusione di proteggere “noi” contro un misterioso “loro”.
Nel corso
dell’ultimo anno, il mondo è stato testimone della storica resistenza della
città curda chiamata Kobane. Che le donne da una comunità dimenticata siano
diventate le più feroci nemiche del gruppo Stato Islamico – la cui ideologia si
basa sulla distruzione di tutte le culture, le comunità, le lingue e i colori
del Medio Oriente – ha sconvolto i patti convenzionali sull’uso della forza e
sulla guerra. Kobane non passerà alla storia della resistenza umana perché gli
uomini hanno protetto le donne o uno Stato ha protetto i suoi “soggetti”, ma
perché donne e uomini sorridenti hanno trasformato le loro idee e i loro corpi
in un’ideologica prima linea contro la quale si sono sgretolati il gruppo Stato
Islamico e la sua stupratrice visione del mondo.
Non è più
sufficiente per le donne, soprattutto in Medio Oriente, “condannare la
violenza”, dal momento che la violenza è diventata un fattore talmente costante
nelle nostre vite, che il nostro status di “vittime”, percepito o costruito, è
usato dagli imperialisti come giustificazione per lanciarsi in guerre contro le
nostre comunità.
L’ascesa
La
condotta di guerra del movimento di liberazione curdo si basa sul concetto di
“legittima autodifesa” e comprende la creazione di meccanismi di base sociali e
politici per proteggere la società al di là della mera difesa fisica.
In natura, gli organismi viventi come le rose con le spine sviluppano i loro
sistemi di autodifesa non per attaccare, ma per proteggere la vita. “Teoria
della rosa” la chiama Abdullah Öcalan, rappresentante ideologico
Similmente,
per resistere senza essere militarista la società deve astenersi dall’imitare i
concetti statuali di forza e, invece, tutelare i valori comunitari, traendo la
sua forza dal basso. La società, e in particolare le donne, dice Öcalan, deve
prima di tutto “xwebûn” – essere se stessa. Solo con la realizzazione della
propria esistenza e
Ciò che ha
trasformato il
Le forze
di difesa in Rojava mostrano come l’autodifesa possa funzionare senza
gerarchie, né controllo, né dominio.
Nel mezzo
della guerra, le Unità kurde di Difesa del Popolo, o YPG, e le loro brigate di
donne, le YPJ, così come le unità di sicurezza interna, Asayish, focalizzano la
propria attenzione sull’istruzione ideologica. Metà di questa riguarda
l’uguaglianza di genere.
Le
accademie educano le/i combattenti a capire che non sono una forza di vendetta
e che l’attuale mobilitazione è una necessità dovuta alla guerra. Le accademie
delle Asayish lavorano per una comunità con un Asayish senza armi, che sappia
mediare verbalmente le controversie nei quartieri, con l’obiettivo finale di
abolire
I/le
comandanti sono eletti/e dai membri
Per le
donne, inoltre, l’autodifesa è una questione di vita o di morte.
ypj2_dilardirik.jpg_347796135 Le donne yazide di Shengal (Sinjar), che da parte
dei media sprezzanti sono ritratte come miserande vittime passive, ora
rifiutano di venire essenzializzate come vittime di stupro e hanno costruito –
in modo simile alle YJA Star (esercito di donne del PKK) e alle YPJ, le Forze
di Difesa delle donne in Rojava – il proprio esercito autonomo di donne
chiamato YPJ-Shengal [vedi immagine qui accanto], la forza di autodifesa delle
donne yazide, parallelo alle loro emergenti strutture autonome di autogoverno.
Non è un caso che i primi eserciti permanenti siamo emersi con l’aumento
dell’accumulazione di ricchezza, che ha segnato anche l’istituzionalizzazione
Lo
stato-nazione afferma insidiosamente la propria esistenza tracciando confini
tra le comunità, creando paranoia e xenofobia dove per secoli ci sono stati
mosaici di culture.
Quindi, se
siamo impegnati/e a difendere la società, dobbiamo affrontare anche
filosoficamente tutti gli attacchi contro la società, dal momento che i sistemi
di dominazione e gerarchia si stabiliscono prima nel pensiero.
Dualismi come quelli uomo-donna, Stato-società, umano-natura hanno lo scopo di
rappresentare come naturali le relazioni gerarchiche.
Ciò che
Thomas Hobbes chiamava “homo homini lupus est”, per legittimare l’insindacabile
leviatano chiamato Stato, nei nostri tempi moderni è praticato nello stile
Dobbiamo
sfidare la storiografia fascista che sminuisce la società e oggettifica la
natura e, invece, cercare praticamente le soluzioni ai problemi sociali con una
“sociologia della libertà” incentrata sulle voci e sulle esperienze degli/delle
oppressi/e.
Contro le
premesse razziste dell’ordine separatista dello Stato-nazione e contro i suoi
confini mentali e fisici, la società deve rafforzare la nozione di “nazione
democratica” – concettualizzata da Öcalan per dissociare l’idea di nazione
dalle forme senza senso dell’appartenenza etnica – per rafforzare una unità
etica più significativa basata su principi quali la libertà delle donne,
soprattutto nell’epoca del gruppo Stato Islamico.
L’autodifesa
deve, quindi, non solo combattere contro, ma anche per qualcosa, soprattutto in
Medio Oriente, dove tutte le forme di violenza vengono messe in atto ad un
livello insopportabile. Così, l’autodifesa è il tentativo radicale di separare
la potenza dal sistema patriarcale militarista – e le donne devono essere
l’avanguardia militante di autodifesa di una vita autodeterminata, più bella,
più giusta, più libera.
L’autodifesa,
accompagnata dal pensiero rivoluzionario, ha il potenziale per produrre un
cambiamento sociale radicale.
Come
combattente delle YPJ, Amara da Kobane mi ha detto: “Ancora una volta, i curdi
sono apparsi sul palcoscenico della storia. Ma, questa volta, con un sistema di
autodifesa e di autogoverno, soprattutto per le donne, tale che ora possono,
dopo millenni, scrivere la propria storia per la prima volta. Le nostre
opinioni filosofiche rendono noi donne consapevoli del fatto che siamo in grado
di vivere solo resistendo. La nostra rivoluzione va ben al di là di questa
guerra. Per avere successo, è fondamentale sapere per che cosa si lotta”.
Dilar
Dirik, 7 luglio 2015
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