July 11, 2015
Mappe del potere. La guerra dell’Isis nel sanguinoso
groviglio
«Supporta chi vuole volare, o diventerai cenere»: senza volerlo è Kobane a spiegare nel miglior
modo possibile le ragioni dietro la pubblicazione di due libri sulla
lotta di liberazione di Rojava. O meglio, è il cartello
appeso sulla porta di una
casa della città che ha resistito per 134 giorni all’assedio dello Stato Islamico.
Due libri, usciti a poca distanza l’uno
dall’altro, che si completano: Kobane, diario di una resistenza
(Edizione Alegre, pp.
192, euro 14) della staffetta
di solidarietà Rojava Calling, campagna lanciata da collettivi,
centri sociali e organizzazioni italiane che si sono
date il cambio al confine
tra Turchia e Siria e poi, dentro Kobane, per portare solidarietà alle popolazioni civili; e Kobane dentro, diario dal fronte
della città assediata del giornalista
freelance Ivan Grozny Compasso
(Agenzia X, pp. 200, euro 14).
Per chi ha
visitato quei luoghi – Diyarbakir, Suruc e Mesher, ultimo baluardo di confine tra Turchia e Siria, da cui il
fumo dei combattimenti tra islamisti e Ypg a Kobane si vedeva,
si sentiva – il racconto di
Rojava Calling risveglia alla memoria strade,
tende dei campi profughi, volti dei rifugiati.
La moschea trasformata in
centro di resistenza e vita comune, tè caldo che
rompe il
gelido inverno turco.
Le gang dello stato islamico
Il grande merito del diario della staffetta
è il passo indietro compiuto dai volontari, poi autori del libro: mai protagonisti, danno voce alla gente e all’esodo del popolo kurdo siriano,
raccolgono con minuzia di particolari i loro pensieri,
descrivono l’organizzazione
della resistenza fuori, al di là
della frontiera. Perché, se Kobane è rimasta per mesi il fulcro
e il palcoscenico della lotta di
liberazione e della difesa
Dall’organizzazione dei campi
profughi (tutti, eccetto uno, gestiti
dai comuni
a sud della Turchia, in mano al Bdp e all’Hdp, partiti kurdi turchi) alla distribuzione
degli aiuti, dal funzionamento degli ospedali fino al passaggio di uomini al confine, sfidando le pallottole della gendarmeria e dell’esercito turco. Amara e incessante è la critica rabbiosa alle autorità di
Manca nel diario della staffetta,
come in quello di Ivan Grozny Compasso, un’analisi più ampia degli equilibri
mediorientali, della rete delle connivenze
e delle alleanze palesi e nascoste, degli interessi globali e della pesante interferenza della guerra fredda
tra asse sciita e asse sunnita.
Perché l’obiettivo è altro: raccontare
Un modello condiviso
«Tutti gli uomini
e le donne che credono nella
libertà dovrebbero essere qui», dice in un’intervista
della staffetta Salih Urek, storico
militante
Le stesse ragioni hanno mosso
il giornalista freelance
Compasso, entrato a Kobane nel dicembre
dello scorso anno. Il racconto
di Ivan incalza, dalla decisione di partire fino
all’ingresso nella città assediata. Il racconto dei
cinque giorni trascorsi dentro l’assedio scorre via ora morbido, ora
teso, quasi nervoso. Ma allo stesso tempo rigenerano l’autore e il lettore
con squarci di vita, volti reali, momenti
di stallo, raid aerei, corpi senza
vita. Qua alla voce della gente e dei combattenti, meno presente rispetto al diario di Rojava Calling, si contrappone il conflitto e la descrizione della vita alla fronte: una
vita che va già ricostruita, mentre viene distruttta.
Compasso si sofferma sulla
minuziosa gestione delle necessità quotidiane, dalla raccolta dei rifiuti
al funzionamento della sola clinica rimasta
in piedi in città fino alle lezioni
di scuola per i pochi bambini rimasti a vivere a Kobane.
C’è sempre un pallone tra le righe
Ma il modello
c’è, è radicato e condiviso. Per questo va raccontato.
© 2013 UiKi ONLUS Team