July 25, 2015
Strano destino quello
Che cosa sta succedendo su quell’incrocio
di destini e popoli che è il
Niente di nuovo. Ogni guerra è un assestamento di potere. E non sorprende neanche la distrazione con la quale i media italiani
provinciali e conformisti abbiano trattato la strage di Suruç?
Ragazzi che portavano solidarietà, pacifisti, ambientalisti
Parliamone, quindi. Suruç si trova
in Turchia, al confine con la Siria.
Tutti i giovani,
i volontari, tutti quelli che
si sono spesi
per portare solidarietà alla resistenza di Kobane sono
passati da questo snodo. E si sono fermati
al centro culturale Amara, il luogo
della strage. Dove cittadini di tutto
il mondo mettevano in pratica l’idea di solidarietà
internazionale con la lotta
kurda. La bomba dell’Isis ha causato la morte di trentadue
giovani giovani, di sinistra, che
protestavano in una conferenza stampa proprio per le ambiguità della Turchia di
Erdogan. Ambiguità che si rivelata
ancora più grande con i raid sia contro
Il caso Rojava. Che
cosa ha avuto in cambio, oltre lo scalpo di Pkk,
la Turchia di Erdogan? La possibilità di creare il
famoso cuscinetto nella zona siriana
per spegnere sul nascere l’esperienza militante e rivoluzionaria kurda del Rojava? Beh, sì. Anche
perché la Turchia teme più l’unione
dei kurdi di sinistra e combattenti
che l’Isis. Così come l’Occidente teme il fatto
che l’Isis possa essere combattuto
da una resistenza
civile e politica, oltre che militare.
E che lo spauracchio nero non è imbattibile. Lo dimostra quello che avviene nel
Rojava. L’Isis è stato respinto e sconfitto a Kobane, ma non solo,
le forze kurde di sinistra hanno
riconquistato la città strategica di Tel Abyad. E questo da una parte
allarma l’Isis, sconfitto militarmente sul campo. Immaginate il tanto celebrato
Califfato quanto può vedere di
buon occhio un progetto kurdo laico, di sinistra,
socialmente includente, nel quale esistono
unità militari interamente femminili (Ypj). Ma non solo, allarma anche la Turchia di Erdogan che
non intende certo aprire la strada a un
Bello leggere, per chi crede
nella democrazia vera e non quella esportata con le bombe, la Carta
del Contratto Sociale del Rojava, adottata nel febbraio del 2014: “Noi popoli che
viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi,
assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta.
Con l’intento di perseguire
libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza
e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca
comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati
della società, nel rispetto dei
diritti umani e delle libertà fondamentali,
riaffermando il principio di autodeterminazione
dei popoli.
Noi, popoli delle Regioni Autonome,
ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di
riconciliazione, pluralismo
e partecipazione democratica,
per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione.
Costruendo una società
libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere
la pace al suo interno e a livello internazionale. Con questa Carta, si
proclama un sistema
politico e un’amministrazione civile
fondata su un contratto sociale che possa riconciliare
il ricco mosaico di popoli
della Siria attraverso una fase di transizione
che consenta di uscire da
dittatura, guerra civile e distruzione, verso una nuova società
democratica in cui siano protette la convivenza e la giustizia sociale”.
Le parole di questa carta
rimandano ai valori di libertà,
eguaglianza, laicità e solidarietà di cui l’Occidente afferma di essere portatore.
Ci sono chiare
istanze ecologiste, il riconoscimento
Perché si stanno giocando evidentemente partite
diverse, e i kurdi siriani, legati al Pkk di Ocalan,
rappresentano nonostante tutto un “pericolo” in grado di sparigliare
le carte. E dimostrare che il fine non è la democrazia, la laicità, il bene
dei popoli. Ma il loro attenersi
al ruolo di schiavi di un sistema
di potere che attraverso guerre e terrorismo vuole tenere in scacco i cittadini.
Globalist
© 2013 UiKi ONLUS Team