Scontri in
corso nei quartieri sud della capitale, mentre si continua a combattere la
battaglia di Zabadani, decisiva per Assad. Nuove violenze contro Palmira.
della redazione
Roma, 1 settembre 2015, Nena News – Mai tanto
vicino al cuore di Damasco, al cuore del
potere del
governo Assad. Da domenica lo Stato Islamico ha lanciato una nuova offensiva
contro la capitale, da sud, dal quartiere di Qadam dove prima a dettare legge
erano i gruppi di opposizione al presidente. Che oggi sono quelli che
combattono i miliziani dell’Isis: da due giorni la zona è terreno di scontro
tra milizie rivali e non tra Isis e esercito
governativo.
Secondo fonti locali gli islamisti avrebbero
occupato due strade: foto pubblicate in rete da sostenitori del califfato mostrano i suoi uomini
compiere ronde nel quartiere (dove Damasco e ribelli avevano
siglato un anno fa il cessate il fuoco), ma non è stato ancora possibile
verificarne l’autenticità. Negli scontri sarebbero morti una ventina di
miliziani di entrambi i fronti, fatto commentato molto positivamente
dall’esercito di Assad: “Siamo contenti che si stiano combattendo – ha
detto un militare di alto grado – Ma siamo pronti a reagire se tenteranno di
avanzare nel territorio controllato dal governo”.
Una dichiarazione che mostra però la
debolezza dell’esecutivo, che oggi controlla solo un terzo del paese. E vuole mantenere le proprie
roccaforti o quello che ne resta: i villaggi intorno Idlib, metà di Aleppo, il
confine con il Libano. Lì si sta combattendo una battaglia potenzialmente
decisiva, quella per la città di Zabadani. Prendere
definitivamente Zabadani, lungo la frontiera, punto di collegamento tra Damasco
e il Paese dei Cedri significherebbe garantirsi il controllo delle vie di
rifornimento delle opposizioni e dell’Isis che, oltre il confine, ha le proprie
cellule già attive. Ed è strategica anche sul piano simbolico: a Zabadani, come
a Qalamoun e a sud, combatte Hezbollah e combatte l’Iran. Una vittoria chiara ridarebbe ulteriore slancio
all’asse sciita.
Parzialmente distrutto il tempio di Bel a
Palmira
Dove è invece la Siria intera che continua a
perdere è Palmira.
Domenica l’ennesima barbara violenza contro il più noto sito archeologico del
paese si è abbattuta sul simbolo della “sposa del deserto”: l’Isis ha fatto
saltare in aria il tempio di Bel, risalente al I secolo d.C. e consacrato al
dio Bel, il corrispettivo dello Zeus greco.
Secondo Maamoun Abdulkarim, capo del dipartimento delle Antichità siriano, il tempio però
non sarebbe stato del
tutto distrutto: “La struttura, le colonne e il santuario sono intatte. Le
informazioni [che abbiamo] sono provvisorie ma mostrano che i danni subiti sono
parziali e la struttura base è ancora in piedi». Molto più allarmanti erano
state le testimonianze dei residenti di Tadmor, città nuova nata intorno al
sito archeologico: “Una distruzione totale. Le pietre e le colonne sono finite
a terra. Anche un sordo avrebbe potuto sentire l’esplosione”, aveva detto
all’Ap Nasser al-Thaer.
La dinamite che ha parzialmente demolito Bel
è arrivata a stretto giro dalla distruzione del
tempio di Baal Shamin e la brutale esecuzione dell’archeologo siriano Khaled
Asaad, responsabile del
sito. Violenze che hanno un unico obiettivo, cancellare la storia
pre-islamica e ricchissima della Siria e del
Medio Oriente. Una storia di cui Palmira è simbolo perché i suoi palazzi e i
suoi templi raccontano dei tanti popoli che per la Siria sono transitati.
Un’architettura unica che sfida il pensiero unico del califfato, la sua volontà
di repressione dell’identità araba – figlia di tante culture e tanti popoli –
da sostituire con un’identità unica e traviata, quella islamica del leader
al-Baghdadi. Nena News