03 -11- 2015
L’Akp ha giocato sull’instabilità siriana, che ha aiutato a radicare, e attirato i voti
degli indecisi con piccole campagne di arresti contro
presunti miliziani
Chiara Cruciati - Il Manifesto
Roma, 3 novembre 2015, Nena News – L’araba fenice Erdogan ha vinto la scommessa. Si
è giocato la testa sulla trita
strategia della paura e ha avuto ragione. Di certo
un ruolo l’ha avuto il cosiddetto
“fattore siriano”, parte integrante della campagna elettorale perenne: la Turchia ospita due milioni di profughi
siriani, molti dei quali forza
lavoro a basso costo nel mercato interno,
a scapito di quella locale; è la sede delle opposizioni moderate, a partire dalla moribonda
Coalizione Nazionale Siriana; è l’alleato Nato più vicino
e il paese dal quale passano
le armi inviate alle opposizioni da Golfo e Stati
uniti. E soprattutto
è il paese che più
sfacciatamente ha tentato di rovesciare il
presidente Assad, sostenendo la crescita dei gruppi islamisti
sunniti, a cominciare dallo Stato Islamico
i cui miliziani attraversano il poroso confine con
L’Akp ha giocato sull’instabilità
siriana, che ha aiutato a radicare, e attirato i voti
degli indecisi con piccole campagne di arresti contro
presunti miliziani
La
È difficile immaginare che l’esecutivo Akp opti per un ruolo
defilato in quello che si prospetta
come il periodo del negoziato internazionale sulla Siria, uscito venerdì dal primo incontro di Vienna. Con una fazione sola alla
guida, senza il fondamentale
freno delle opposizioni interne, Erdogan potrà tentare l’ultima
carta: un rafforzamento dell’asse Turchia-Arabia Saudita-Qatar, sia sul piano militare che su quello
diplomatico. Ovvero
da una parte
un ulteriore passaggio di armi e miliziani
alla frontiera a favore di gruppi
islamisti e moderati, che allungherà ulteriormente i tempi della guerra; dall’altra
una maggiore opposizione al piano di un governo di transizione
formato dal presidente Assad e dalle opposizioni, forzando così l’isolamento diplomatico a cui l’intervento russo e l’abbandono Usa del programma di addestramento dei ribelli avevano
costretto Ankara.
Ovvio anche attendersi maggiore sfrontatezza sul fronte kurdo,
siriano e turco, che non potrà che
generare maggiore instabilità in tutta la Siria: l’Akp ha lavorato insieme ai servizi segreti
alla distruzione del progetto confederale democratico di Rojava, il Kurdistan siriano, diretta emanazione delle teorie del leader del Pkk Ocalan ma anche primo fronte contro l’avanzata
dell’Isis, sostenuta da Ankara per evitare minacce all’integrità dello Stato-nazione turco.
L’appoggio e il denaro che
oggi gli Usa riconoscono alle Ypg kurde
hanno destabilizzato
Ankara, che poco prima si era vista bocciare il progetto di
una zona cuscinetto al confine siriano
dove addestrare ribelli e contenere il “contagio”
kurdo. Colpa di Putin: l’Akp
non ha mai nascosto il fastidio
per l’intervento aereo russo a sostegno di Damasco, minacciando
l’interruzione dei rapporti commerciali ed energetici con Mosca e aprendo le porte ad un eventuale dispiegamento delle truppe Nato
sul proprio territorio. Una minaccia, quella alla Russia, più concreta con un governo guidato da un partito solo. Ma concreta si fa
la minaccia anche alla nuova strategia