02 -12- 2015
Nella città
a nord della Siria, l’unica a maggioranza araba nel cantone di Cizre, hanno
trovato rifugio persone di etnie e religioni diverse, in passato e oggi. Ma
anche qua trova spazio il confederalismo democratico teorizzato da Ocalan.
di Silvia Todeschini – dal blog Resistenza Quotidiana
Haseke (Siria), 2 dicembre 2015, Nena News – Haseke è
una città abbastanza grossa, o almeno, la più grossa della zona. Però se chiedo
quanti abitanti ci sono, non lo sa nessuno con esattezza, è la guerra, è fatta
così: c’è gente che parte, gente che arriva, non sai mai quanti sono perché
arrivano da ogni dove e poi altri partono in continuazione. Si dice, comunque,
qualche centinaia di migliaia.
Oltre che essere grossa, Haseke è una
città che racchiude diverse etnie, culture, religioni e tradizioni. Non solo
perché appunto ad Haseke trovano rifugio profughi provenienti da tutta la
Siria, ma anche per come è nata e per quella che è la sua storia. Sono
arrivata ad Haseke, l’unica città a maggioranza araba nel cantone di Cizre, con
la volontà di capire come il sistema del confederalismo e autonomia
democratiche venisse applicato da etnie che non fossero curde, o in
collaborazione con etnie e culture non curde. Ed ecco, un paio di cose le ho
viste, queste posso raccontarvi.
Haseke è attraversata da est a ovest dal
fiume Khabur e per lungo tempo la parte a nord è stata sotto controllo delle
forze del Rojava, mentre la parte a sud sotto controllo dell’ISIS. Al centro,
da entrambe le parti del fiume, alcuni quartieri sono sotto controllo dello
Stato siriano. Da pochi mesi
Il mercato principale di Haseke è in una zona
sotto controllo dello Stato siriano. Ci sono i venditori di stoffe o frutta e
verdura, e molti dei negozi chiusi hanno dipinta una bandiera siriana sulla
saracinesca. Hejar dice che è perché mesi fa, se i proprietari non la
dipingevano, i soldati dell’esercito siriano perquisivano e danneggiavano il
negozio: in effetti, è abbastanza buffo vedere come tutte le saracinesche dei
negozi chiusi siano dipinte esattamente allo stesso modo nei quartieri sotto
controllo del governo siriano, è abbastanza ovvio che non sia un’azione
spontanea. Al di là delle saracinesche e della presenza di qualche
soldato, è piuttosto difficile per uno che non sia della zona riconoscere le
zone sotto controllo dell’esercito Statale o delle Ypg-Ypj, perché non ci sono
confini segnati o posti di blocco visibili.
La cosa interessante di questo posto è una
roccaforte che, mi spiega Hejar, è stata costruita in epoca coloniale
dall’esercito francese, e poi è servita come punto di raccolta per tutti i
cristiani (suriani, assiri, armeni, e via dicendo) della zona. Da quel che ho
potuto vedere, in realtà, restano solo delle rovine sopra ad una piccola
collina. Rovine di cui nessuno dei passanti, indaffarati negli affari o nel
rivedere amici e chiacchierare, si cura più.
Racconta Hejar che quando è stata costruita
la roccaforte francese, qui c’erano soprattutto villaggi curdi, ma non una
città grossa. Da quel primo nucleo, poi, si svilupperà la città di
Haseke, che richiamerà anche arabi e curdi dalle zone circostanti, fino al
punto di diventare capoluogo
Dicevo dei cristiani: la principale etnia
cristiana qui è quella siriaca. Compagno, in lingua siriaca, si dice “auro”.
Auro Ibrahim è il responsabile della “komela cand suriani li suria”,
l’organizzazione che difende e diffonde la cultura siriaca in Siria. Auro
Ibrahim spiega che la sua comunità ha radici in Turchia: “Dal 1985 i padri dei
nostri padri hanno iniziato a scappare dalla Turchia, perché lo Stato turco li
perseguitava. Ha ammazzato 800.000 cristiani da quell’anno. È lo Stato turco il
problema: se non ci avesse perseguitato, non avremmo rischiato di perdere la
nostra cultura, non saremmo qui ora.”
Nella lingua siriaca, che Auro Ibrahim
sostiene essere più antica di quella araba, ci sono 22 lettere, e si scrive da
destra a sinistra come l’arabo. “Abbiamo appena finito un corso di due
mesi di grammatica siriaca, un corso avanzato per adulti: i bambini, da quando
abbiamo iniziato la pratica dell’autonomia democratica, imparano a scrivere
nella propria lingua a scuola”. Infatti, in tutto il Rojava, nelle scuole
legate al movimento tev-dem, l’arabo non è più la sola lingua insegnata:
esistono classi che hanno come lingua principale l’arabo, classi che hanno come
lingua principale il curdo, e classi che hanno come lingua principale il
siriaco. Così, i bambini possono ricevere un’istruzione non sono sulla loro
lingua madre, ma anche nella loro lingua madre, senza
Tornando ad Auro Ibrahim, mi mostra il
giornale autonomo siriaco, scritto sia in arabo che in siriaco, e mi spiega le
funzioni di alcune delle 11 diverse organizzazioni siriache presenti nel
territorio: c’è sutoro, la sicurezza interna,
che collabora con asais, cioè la sicurezza interna
legata più direttamente al tev-dem; c’è il MAS (majlise askari suriani), e cioè
il braccio armato del movimento siriaco, che collabora con Ypg-Ypj; c’è una
televisione, delle accademie, le organizzazioni delle donne, quelle dei
giovani, quella per la difesa e diffusione della cultura siriaca,
eccetera. “La nostra pratica deriva dalle idee di Ocalan, ma le pratichiamo
indipendentemente dalle organizzazioni curde.”
Per quanto riguarda la partecipazione alla
vita delle comuni, le cellule alla base che poi mandano dei portavoce alle
assemblee più allargate fino a quella del tev-dem, i siriaci in questa zona
sono in una certa misura slegati dal tev-dem. Nel senso che i siriaci hanno le
loro assemblee separate, ma, pur non essendo in contrasto con il tev-dem e
collaborando con esso a diversi livelli, mantengono la loro autonomia quasi su
tutto.
Parlando di collaborazioni tra persone referenti a diverse etnie, un’altra
associazione interessante è la “saziya bratiya gelan”, l’associazione per la
fratellanza tra i popoli. Mamduh Alhamed è arabo, e spiega quali attività si
svolgono in questa sede: “Abbiamo 5 comitati attivi: quello per la risoluzione
delle dispute, quello che si occupa di diffondere notizie sulle nostre
attività, quello per la risoluzione dei problemi relativi alla terra, e poi
pubbliche relazioni e difesa”.
Spiega che dall’inizio delle attività questo
comitato ha risolto 1500 dispute, mettendo d’accordo i contendenti, “ma il
nostro scopo non è solo quello di intervenire in caso di conflitto, vogliamo
soprattutto creare situazioni di conoscenza e fratellanza”. C’è una
frase di Ocalan, a proposito di questo, che viene spesso citata e che dice “Se
non diventiamo uno, uno a uno ce ne andiamo”, e cioè, se non riusciamo a
trovare un punto in comune, se non riusciamo a fare fronte unico, la
repressione ad uno ad uno ci cancella, e ad uno ad uno veniamo dispersi. La
frase originariamente era rivolta al popolo curdo, ma può essere applicata in
numerose situazioni. Questo non significa che dobbiamo essere tutti
uguali, ma che se non creiamo solide e strette alleanze all’interno della
società, o all’interno dei gruppi rivoluzionari, il Potere e il capitalismo
prevarranno. Per rendere la società forte al punto di auto-organizzarsi è
necessario ricomporla, è necessario riconnettere tra loro le sue diverse
componenti, pur lasciando a ciascun gruppo la sua autonomia, e ovviamente senza
cancellare le diverse identità.
Un esempio di questo tipo di attività di
coesione tra popoli e genti diverse è stato per l’accoglienza e il supporto ai
profughi arrivati ad Haseke a causa della guerra in Siria. “Sono arrivati da
ogni parte della Siria, fino dal confine con la Giordania”. Racconta Mamduh che
i profughi sono stati sistemati nelle scuole, o in case con affitto calmierato
(5000 sterline siriane al mese, circa 21 euro), o sono anche stati mandati in
alcuni campi profughi. “Il nostro scopo è la fratellanza tra i popoli,
per questo qui non facciamo differenze tra etnie e credenze. Per esempio, ci
sono membri di quest’associazione curdi, arabi, yazidi, cristiani… per la
verità i cristiani sono solo due, ma nel nostro coordinamento ci sono 3 persone:
un arabo, un cristiano, ed un curdo”, conclude Mamduh.
Nella casa del popolo oggi si distribuiscono
scatole contenenti sapone, detersivo e cose per la casa per famiglie in
difficoltà. A riceverle sono esclusivamente donne: vengono per scelta date alle
donne perché esse sono coloro che meglio conoscono le necessità di tutta la
famiglia. Se pensiamo che nella società primordiale, nella società naturale i
figli non sapevano nemmeno chi fosse il loro padre, ed erano le donne a
prendersene cura, la donna era responsabile dell’economia di tutta la società,
della sopravvivenza dei figli eccetera. L’esempio che qui si riporta spesso è
che quando una donna fa da mangiare, non lo fa esclusivamente per sé ma per
tutta la famiglia, per la comunità in cui risiede. Per questo, le parole “jin”
(donna) e “jiyan” (vita), in curdo e in molte lingue mediorientali si
assomigliano così tanto.
Oggi, però, le donne vengono educate in
diverse parti del mondo ad essere sottomesse e lavorare per conto dell’uomo,
senza una propria autonomia o indipendenza; oppure a rispondere a canoni e
aspettative che non sono le loro ma che sono loro imposte dalle aspettative che
una società, le cui radici sono maschiliste, ha su di loro. Ora, per
una società armonica e di uguali, è giusto che le donne riacquistino il loro
ruolo di portatrici di vita, e che anche l’uomo lo diventi altrettanto.
Sto divagando, e cercando di essere sintetica rischio di essere poco chiara o
di non esprimere esattamente ciò che voglio dire; per cui dirò solo questo:
nella situazione attuale, colei che sa di cosa necessita la comunità-famiglia è
la donna, e quindi i pacchi di sapone e detersivo nella casa
[…]
Domandando anche ad altre organizzazioni,
come per esempio i giovani del Rojava, appare chiaro come in generale sia più
facile per le persone di etnia araba si uniscano direttamente alle
organizzazioni in cui sono presenti anche curdi, mentre i cristiani
preferiscano creare associazioni indipendenti e per conto proprio. Per esempio
Silav, nel gruppo dei giovani del Rojava (YCR – yeketiya cwanen rojava, unione
dei giovani del Rojava), spiega come esiste un battaglione legato
all’associazione dei giovani del Rojava all’interno delle HPC (“Hezen Parastina
Civaki”, cioè forze di difesa della società), e che all’interno di questo
battaglione sono presenti sia curdi che arabi, ma gli unici collettivi legati
all’associazione dei giovani in cui partecipano anche siriaci sono quelli
all’interno dell’università.
[…]
Sono arrivata ad Haseke con l’intento di capire
se le idee di Ocalan, quelle su cui si basa l’autonomia democratica del Rojava
potessero essere applicate anche da altre etnie o da persone che facciano
riferimento a altre culture. La risposta l’avete trovata nelle
testimonianze e nel racconto sopra riportato. Perché mi sembrava importante
questo? Perché vorrei fosse chiaro, se ancora non lo è, che questa lotta non è
solo la lotta di liberazione
Questa lotta è perché le donne possano
tornare a portare vita, e non cieca obbedienza a canoni imposti. Questa lotta è
perché sia la gente che abita una certa terra a decidere collettivamente