Si
festeggia, nel capoluogo dell’Anbar, per la sconfitta e la fuga dello Stato
islamico a opera dell’esercito di Baghdad.
E si pensa alla messa in sicurezza, senza dimenticare la ricostruzione, il
ritorno degli sfollati e la pacificazione interna
di Chiara Cruciati – il Manifesto
Roma, 29 dicembre 2015, Nena News - Il tricolore
iracheno sventola su Ramadi, capoluogo dell’Anbar. Sopra la sede del governo
due soldati appoggiano la bandiera tra i serbatoi, in strada le truppe ballano
con i fucili in mano. Restano esigue sacche di islamisti nei quartieri est, gli
scontri continuano nel 30% della città ma lo Stato Islamico sta scappando, una
fuga opposta a quella di maggio quando a dileguarsi furono le truppe di Baghdad. Sette mesi dopo
la città sunnita è quasi libera ma in macerie.
I raid occidentali hanno permesso ai soldati
iracheni – sostenuti per la prima volta da
unità sunnite volontarie – di entrare a Ramadi: «Sì, la città è liberata –
annunciava ieri con un po’ di fretta il generale Rasool – Un nuovo capitolo
della storia di questo paese».
È probabile che sia così: il governo
è riuscito dove aveva fallito a Tikrit. Accanto ai soldati governativi c’erano combattenti
sunniti, organizzati dalle tribù, e non le milizie sciite che avevano guidato
la riconquista della città natale di Saddam Hussein per poi macchiarsi di
odiosi abusi contro i civili. Resta da vedere se il futuro della
provincia (teatro del
malcontento sunnita verso il governo sciita) seguirà il percorso tracciato
dall’azione militare.
Per ora si festeggia, a Ramadi come a Baghdad, Karbala,
Bassora. E si pensa alla messa in sicurezza: il premier al-Abadi fa sapere che
ad occuparsi della difesa futura e della rimozione di ordigni inesplosi saranno
la polizia locale e le tribù. Ramadi è strategica: a 100 km ad ovest di Baghdad e
a 50 da Fallujah, taglierà le vie di rifornimento dell’Isis verso la seconda
città della provincia e impedirà l’avanzata verso la capitale. Ma soprattutto
aprirà alla vera battaglia, Mosul.
Il governo lo ha già annunciato: prossimo obiettivo è la seconda città
irachena. Che richiederà uno sforzo maggiore: a Ramadi sono stati
dispiegati decine di migliaia di soldati, a Mosul ce ne vorranno molti di più.
Ma soprattutto – è il proposito di Baghdad – alla vittoria
militare si dovrà accompagnare la ricostruzione, il ritorno degli sfollati e la
pacificazione interna: l’avanzamento dell’Isis non è figlio solo della macchina
da guerra di al-Baghdadi, ma anche della rete locale creata in Iraq.
Una rete composta da ex baathisti, membri dell’establishment politico di
Saddam, tribù locali che hanno visto nell’Isis il mezzo per scardinare l’odiata
autorità sciita post-raìs.
Siria, evacuata Zabadani
In Siria l’exit strategy dalla crisi passa
per gli accordi locali tra governo e opposizioni, in attesa del negoziato viennese sponsorizzato da Casa
Bianca e Cremlino. Dopo il successo di Homs e il fallimento di Yarmouk, ieri è
stato implementato quello siglato a settembre per Zabadani, al confine con il
Libano. Centinaia di miliziani feriti (membri di al-Nusra, Ahrar al-Sham e
Esercito Libero) hanno lasciato la città, da mesi circondata da truppe siriane
e Hezbollah. A bordo di bus e ambulanze organizzate dall’Onu hanno raggiunto il
Libano dove voleranno in esilio in Turchia.
Simile scenario, ma all’opposto, nei due
villaggi sciiti di Kafraya e Fuaa, nella provincia di Idlib, dove centinaia di
famiglie vivono sotto l’assedio di al-Nusra. Ad andarsene sono 330 civili
sciiti: dalla Turchia torneranno in Siria in zone controllate dal governo.
Spostamenti di popolazione che fanno storcere il naso a molti osservatori, già
preoccupati dai cambiamenti demografici subiti dal paese.
Gli accordi locali sono ad oggi i più
efficaci strumenti per porre fine agli scontri armati, seppure la pace non
regni ancora nelle zone interessate: ieri ad Homs 32 persone sono morte in un doppio
attentato. Nena News